9 dicembre 2016

Occhi di cielo

I colori, come i lineamenti, seguono i cambiamenti delle emozioni, diceva Picasso. E metteva del rosso quando non aveva più blu. Perché il colore influenza l’anima: l'insegue, l'avvicina, fa riconoscere. E quando dico anima so bene che sto a mezz'aria, in un luogo dove i colori abitano altre pareti.

So bene che questo allenamento iniziato sulla linea dello zero mi sta proiettando in atmosfera, in mezzo a quella nuvola rossa, accanto alla mia. E' la luce del cielo al tramonto che crea il colore, o è il colore di questa pittura vivissima di te che nella mente crea la luce? E' una risata, e riscalda la brevità della vita.


26 ottobre 2016

musinè

Ho sempre vissuto da queste parti, eppure non sapevo che musinè significasse "asinello", in dialetto piemontese. Un po' mi vergogno, forse ho la testa d'asinello anch'io...

Intanto arriva la sera piovviginosa, e si fugge dal solito ufficio. Con Luca e Massimo puntiamo al Monte Musinè. Troppo in alto, sì, correggiamo la mira e accontentiamoci di una corsetta lungo la taglia fuoco. Una dozzina di chilometri saliscendi possono bastare. 

Quest'asinello d'un monte è "conteso tra esoteristi, paleo-complottisti, fanta-archeologi, ufologi, antagonisti no Tav e rampolli della Giovane Italia: ognuno ne fa strumento di battaglia, scenario di rivelazioni occulte, antenna di sante energie o rifugio d’anime dannate." Qualcosa di strano l’avrà pure, se nel corso dei secoli ha generato tante credenze da diventare riferimento preferito degli UFO o, addirittura, una base aliena...


Alcuni graffiti sintetizzano la storia al povero turista inesperto o a quello inconsapevole di trovarsi in un luogo misterioso. Noi graffiti umani seguiamo la traiettoria immaginaria che unisce la passione per la corsa all'impressionismo dell'anima, verso nuovi realismi e vecchi romanticismi. Non capire è il privilegio di questo Musinè.

19 ottobre 2016

Istanti

«Hai il tempo e ti credi povero?». Hai ragione, mi sento ricco. Spendiamo il tesoro correndo? Chiudo l'ufficio alle spalle, raccolgo Luca (che nasce a sud ovest di Milano) e insieme partiamo "a verdeggiare" tra raggi serali di libertà, sotto forma di abeti, querce, robinie e forse pioppi. La strada s'inerpica sopra Piossasco, sopra il tempo e le sue nuvole, che poi sono semplici ombrelli intrecciati di rami, come i nostri pensieri che ritornano a crescere. Si continua a salire con pendenza regolare, battiti in salita, getti sanguigni come germogli di fagioli magici salgono biforcandosi ad ogni falcata.  

«Continua ciò che hai cominciato e forse arriverai alla cima, o almeno arriverai in alto ad un punto che tu solo comprenderai non essere la cima». Arriviamo con antica filosofia fin dove il tempo si ferma e il sudore condensa qualche istante di felicità. Poi la discesa continua, sorridendo. Al tempo.



9 ottobre 2016

Circolare

Da tempo ormai inanello una serie di strade immaginarie e poi tiro dritto verso qualche luogo di raduno podistico. Circolo, come dice Ferdinando Camon a proposito di opere letterarie, speditamente, senza trascinarmi dietro l'autore (di una gara). Mi sento libero come sono liberi (gli autori) che adottano nomi falsi, pseudonimi, eteronimi, dietro cui nascondersi per esprimersi con tutta la naturalezza e la spontaneità che possiedono.

"Tra l’uomo reale e l’uomo che scrive libri non c’è identità. E non è vero che se non conosci l’identità non puoi capire quello che scrive"... dice Camon. Così tra l'uomo reale e l'uomo che corre in mezzo alle sue follie non c'è identità, almeno durante la fisica lettura interiore. E non è vero che se non conosci te stesso non puoi capire quelle sensazioni che affiorano all'improvviso, dopo venti o trenta sferzanti chilometri di corsa. Anzi, proprio non conoscendosi, non aspettandosi, chi corre è nelle condizioni di percepire l'essenza altrui che ad un certo punto emerge, dimenticando la sfida, la gara, la conquista del posto. Tra l'uomo reale e l'altrui che scrive con le gambe c'è questa assenza di identità, mutevole, folle e immaginaria. Si legge il ritmo, si ascolta una conversazione, si entra nell'altra storia. Si confrontano le amnesie, si colorano ricordi in bianco e nero, senza sapere chi è l'autore che corre al proprio fianco.

Da un po' di tempo corro così, anonimo in me stesso. La scorsa settimana ero alla maratona di Torino dove ho immaginato momenti di gloria alla Forrest Gump. Questa mattina ero al giro di Testona, a Moncalieri, partito da lontano per arrivare lontano. Una decina di chilometri per raggiungere la partenza, una decina di chilometri di percorrenza, una decina di chilometri di rientranza. 

Il viaggio interiore è stato avventuroso. Grazie a Carmelo, Fausto, Marco, Paolo, Elisa... e agli altri anonimi. Come vuoi essere chiamato? Quello è il tuo nome. L'altro non c'è più...



Scrive Ferdinando Camon: "Sul contratto di un esordiente l’editore dovrebbe chiedere: «Come vuoi essere chiamato?», come si fa col Papa appena eletto. Quello è il suo nome. L’altro non c’è più.
Ci sono aneddoti su Leopardi che mi disturba conoscere. Come non si lavava… Come risolveva i suoi problemi sessuali… Come puzzava così tanto, che se andava a trovar amici all’ora di pranzo quelli smettevano di mangiare. La conoscenza di questi dettagli non mi serve per capire l’Infinito o A Silvia, anzi m’intralcia. Voglio dire: se non sapessi quegli aneddoti, quei versi li capirei meglio. Ingenuo come un bambino nel maneggiar denaro era il Foscolo, ma quando leggo I Sepolcri devo sgombrar la mente da questo ricordo. Ottieri beveva i profumi di sua moglie, perché era assuefatto all’alcol e i profumi contengono alcol. Lo rivela il suo analista, Cesare Musatti. Non c’è peggior vizio che quello di consultare un analista per scoprire la vita segreta di uno scrittore. Non c’è identità tra l’uomo che scrive e l’uomo che va in analisi. Se ci fosse identità, non andrebbe in analisi. Dopo la Ciociara, la vita di Moravia diventò un martirio. Come quella di Bassani dopo i Finzi-Contini. Come quella di Pasolini dopo i Ragazzi di vita. Lo scrittore che scrive sotto pseudonimo scrive in sincerità e verità. È libero perché è sconosciuto. Gli scrittori che scrivono col proprio nome e cognome sono schiavi della famiglia, dei parenti, del quartiere, degli amici… Sono ricattabili."

31 luglio 2016

Pegaso

« È pigro l'uomo che può far di meglio » scriveva Ralph Waldo Emerson 150 anni fa in America.

Dall'ultimo post su questo diario sono trascorsi 75 giorni. Posso certo far di meglio ed aspettare l’autunno per digitare una nuova riflessione… Oppure ammettere che ci sono pigrizie che vanno iniziate ed altre che vanno terminate, anche solo perché “la vita è una ricerca di potenza” come ancora brillantemente suggerisce l’Americano. Qui non si tratta di potenza meccanica o termica, di sviluppare cavalli col vapore. Si tratta di potenza mentale e relativa, di sviluppare cavalli con le ali. Pegaso alato può farsi imbrigliare anche da noi che non siamo eroi. E condurci vittoriosi contro i Solimi e le alleate Amazzoni…

E’ pigro l’uomo che si limita ai cinque sensi. L’intuizione, la visione, il sogno da realizzare fanno lavorare su se stessi e con se stessi; con gli altri nelle imprese di squadra. Personalità e anima possono integrarsi per spostare “la ricerca” dal potere esteriore e manipolativo al potere interiore e liberatorio. Tutto questo è luminoso. Ma viviamo in mezzo a gigantesche nuvole d’informazione e in mezzo a idee ossessive e deliranti. Quando le parti spaventate della personalità umana si coalizzano per troppo isolamento, si spezzano le tradizioni e si radica la violenza in tutte le sue forme. Sono le parti spaventate della personalità che esaltano il dolore dell’impotenza.

Il dolore dell’impotenza si prova quando il mondo non è come lo vogliamo. C’è l’uomo che riflette e l’uomo che ha il coraggio di sfidarlo, il mondo. Certe pigrizie ora vanno terminate. Serve riflettere: la ricerca di potenza è ricerca di vita solo se si accetta la sfida a queste parti timorose, accettando anche il dolore e imparando dagli errori. Evitando di mascherare il dolore d’impotenza dietro la rabbia, la gelosia, l’invidia e l’incapacità di essere quel che non si è. Tra la vita e la morte c’è una questione di controllo e di autocontrollo. Un senso di sicurezza e di autostima da recuperare.

Si può partire dallo spirito dell’evoluzione. Oppure, rispettando le raccomandazioni dell'Oms, da 150 minuti a settimana di attività fisica a moderata intensità. 



17 maggio 2016

Up&Up

Up&Up è speranza per tutti. Time to change and time to choose. Vedere oltre, liberi di costruire fino all'ultimo guizzo di fantasia.

8 maggio 2016

Corde

“Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia.” (Goethe)


L'audacia può arpeggiare la vita. Scegliere d'inventarla con passione e libertà. E poi suonarla come un chitarrista sull'oceano. Piano piano o forte forte, ma sempre vita tra le dita...


30 aprile 2016

Flare

La fantasia è un posto dove ci piove dentro, scriveva Italo Calvino. 

Uno s'immagina che piovano ricordi e desideri, che fiocchino lenti e sciolgano guance a volti scoperti; che condividano posizioni a goccia d'inchiostro. Pioggia di fermenti e di illusioni. Fino a quando arriverà il sole, si apriranno le finestre e fioriranno alberi da frutto: forse sarà spettacolare.

O s'immagina che piovano realtà da finestre un po' scassate e bacinelle sotto il tetto che tintinnano fino ad ammalare; che arrivi il freddo insieme all'abbandono. Pioggia di agonie e ancora d'illusioni. Poi arriverà il sole, le finestre non si aggiusteranno, le muffe daranno nuovi parassiti: forse sarà solo ora di morire.

Ma Calvino, cosa voleva dire?




Il 17 aprile 2016, in una regione attiva sul lato destro del sole appare un brillamento catturato dalla NASA Solar Dynamics Observatory. Il brillamento solare ha causato blackout radiofonici, seppur moderati.

25 aprile 2016

Acrobazie

"La liberazione non è la libertà; si esce dal carcere, ma non dalla condanna" scriveva Victor Hugo nei Miserabili. Sono passati centocinquant'anni, la società non è più terrorizzata dalla miseria, il carcere è più che un'associazione ricreativa, ma la condanna resta. Si è trasformata in tante giovani condanne: sono quelle del radicalismo religioso, della crisi di appartenenza culturale, del difficile passaggio di testimoni sul lavoro, in politica e in economia...

Il sole è già alto all'orizzonte e immaginiamo di fare acrobazie. Ci liberiamo rapidamente, ma anche noi siamo un po' condannati, forse solo dannati. O nati per rincorrere la vita e quella libertà che è come un corpo senza spirito...

Corriamo nella Natura, "tra strade che si seguono impossibili", come scrive Daniele Silvestri. Vediamo il mondo dai nostri piccoli oblò, e corriamo. Più di venti chilometri passano in fretta... "Dovremmo resistere / dovremmo insistere / e starcene ancora su / toccando le nuvole / o vivere altissimi / come due acrobati / sospesi...".



Ma la fame fa riflettere ed i corpi ritornano in equilibrio, come dopo una curva, su due ruote, in una pista...


23 aprile 2016

Risvegli

Certi allenamenti sono lenti e densi come una cioccolata fumante. Ci prepariamo a diventare gli uomini che non siamo ancora stati. Corriamo contro il tempo. E concentriamo le attenzioni sulle distrazioni, i cambiamenti, le curiosità. Giochiamo sempre, nonostante l'età. Ragioniamo intorno alle cose più fluide.


La logica porta a svuotare il bicchiere. L’immaginazione porta a vedere senza guardare, a sentire senza ascoltare, respirare senza chiedersi perché: porta dappertutto. L'immaginazione cattura le risate per capire di noi: rilascia gli scarti, gli sprechi e le differenze tra ciò che siamo e ciò che vorremmo diventare. Sfiora la malinconia. 

"La malinconia è un desiderio di desideri" scriveva Lev Tolstoj. A volte "sono pronto a perdere i piedi, a lasciarmi trasportare per andare nel posto in cui si rivela il mistero della vita... Possiamo raccontarci segreti e ricordare come si fa ad amare", come in "Catch & Release" di Matt Simons... Possiamo.





17 aprile 2016

yeap

Avevo proprio voglia di tracciare una via più dinamica. Avevo voglia d'intercettare qualcosa in mezzo al cielo partendo dal solito volo radente. Impennando all'improvviso, alle spalle della vita.

L'arte di disegnare senza una gomma è per Gardner una metafora della vita. Si può scarabocchiare e si può punteggiare con cautela. Ma se uno è sempre cauto, può restare un essere umano? Si chiede Solzenicyn. 

Esco di casa dopo le 9 con un piede dolorante per una storta di due giorni fa. Il piano sembra difficile: devo raggiungere via Roma a piedi, 10 km, e arrivare un minuto prima della partenza della mezza maratona di Santander. Correre uno dei due giri in mezzo alla folla, 10 km, e poi ritornare di corsa. Una traiettoria di 30 km. E zoppico. Ma nonostante tutto sono felice. 

Seneca mi ha appena detto che le cose sono difficili perché non osiamo, e non viceversa. A volte gli credo. Questa volta credo ai suoi occhi azzurri. Sento l'onda di calore arrivare. La vita dall'altra parte è spettacolare. Immagino ogni cosa. La musica, la danza, i colori. Al più rischio un piede. 

Ci sono rischi che non possiamo permetterci di correre e rischi che non possiamo permetterci di non correre. In "Sweet disposition" dei Temper Trap: "A moment, a love, a dream, aloud. A kiss, a cry, our rights, our wrongs...". Non possiamo smettere di correre tutto questo e per questo... 

"Won’t stop 'til it’s over...". Non si fermerà finché non sarà finita. 

Intanto saluto l'Orco Pippo impegnato sulla mezza maratona; poi finisco di correre i 30 km. Sono volate 2 ore e 30 minuti.

(volo radente)

(obbiettivo salute)

(traiettorie)

11 aprile 2016

#cloud

Sentirsi tra le nuvole. Poi più nulla. L'anima dispersa nel cloud, più o meno da quando Andrew Bird suonava così:

5 aprile 2016

Via Lattea

Marble Machine: un’orchestra magica alimentata a biglie

Mi occupo di automatismi e di sequenze di manovre eppure sono rimasto a bocca aperta davanti a quest'opera d'arte dei meccanismi. Sempre a bocca aperta ho chiuso gli occhi ed immaginato un piccolo universo musicale, pieno di pianeti, stelle, cosmi, microcosmi e buchi neri...

In svedese, la parola Via Lattea si scrive così: Vintergatan. Se al posto della V ci mettiamo una W, abbiamo il nome di una band svedese, i Wintergatan. Della band fa parte il musicista Martin Molin. Ed è lui che ha ideato e costruito il gioiello meccanico che suona così: Wintergatan Marble Machine...

Molin è un artista appassionato di strumenti esoterici come il theremin, lo xilofono e il vibrafono, ma anche di carillon, macchine antiche e orologi musicali. 

3000 parti interne completamente realizzate a mano, moltissime in legno, per un circuito ciclico meccanico, basato su un labirinto di piste, ingranaggi e pulegge, guide, cinghie, tubi e imbuti, dove 2000 biglie di acciaio seguono un percorso guidato verso un vibrafono per creare una melodia stupefacente... E programmabile! 

Il concetto è lo stesso dello xilofono, quindi si tratta di uno strumento a percussione, dove le biglie una volta guidate nella frequenza e nel percorso, vanno a cascata a impattare sugli strumenti adattati per l’occasione. A questo si aggiunge il metodo classico dei sequencer: velocità e frequenze di caduta delle biglie sono collegate ad un unico ingranaggio madre, una sorta di griglia di un sequencer divisa in 1/32 dove ogni nota equivale ad una biglia...

E come biglie facciamoci rotolare giù dal tubo fantastico, fino alla coclea. Fino alla trasduzione dell'impulso cinetico in impulso elettro-chimico. Di meraviglia?!


2 aprile 2016

belong

"Love is the answer" è il risultato dello "Studio Grant" dell'Università di Harvard, la madre di tutti gli studi sociali e psicologici, la più lunga, costosa e probabilmente esauriente ricerca sulle radici del benessere fisico e psicologico umano, ricerca iniziata nel 1938 e tuttora in corso. 

"La gioia è connessione e si può sperimentare e apprendere solo attraverso le relazioni umane": questa è in altre parole la conclusione attesa, attendibile, venerabile. La partenza è stata una semplice domanda: "quali fattori contribuiscono alla fioritura di un essere umano?"

Nello studio si analizzano i meccanismi di difesa empatici e non empatici usati per adattarsi (alle frustrazioni). Questi meccanismi formano una "capacità" che oggi chiamiamo resilienza (quella sportiva, per esempio, è necessaria per affrontare ultra-maratone). 

I meccanismi di difesa empatici "fanno insieme" e sono: umorismo, sublimazione, soppressione. L'umorismo è vitalità. La sublimazione è quello che fece Beethoven, depresso e ormai sordo, componendo l'Inno alla gioia anziché uccidersi. La soppressione (stoicismo) è saper affrontare responsabilmente i propri problemi mantenendo gentilezza e rispetto verso chi ci circonda. 

I meccanismi di difesa non empatici "fanno isola" e sono: aggressività, proiezione, fantasia, abitudine (di certi atteggiamenti). L'aggressività è mortificante. La proiezione è dare sempre la colpa a qualcun altro dei propri problemi. La fantasia è costruire persone finte, trattare con loro invece che con persone vere. L'abitudine è di lamentarsi e rifiutare l'aiuto altrui.

Però la Natura ha sempre giocato in attacco, non in difesa. E il meccanismo di attacco più naturale che esista, lo diceva anche Lenny Kravitz, è quello dell'appartenenza, che attacca, conquista e poi annienta... 


27 marzo 2016

Ciondolare

Siamo bicchieri da riempire fino agli orli, ai lati degli occhi, o alle malinconie delle rughe. Se siamo fortunati il tempo ci riempie di "noi". E si invecchia al plurale. 
"Un uomo è quello che ha commesso. Se dimentica è un bicchiere messo alla rovescia, un vuoto chiuso." (Erri De Luca)
Molte delle cose accadute sono state errori di tempo e di luogo. Cose da dire: non ora, non qui. 
"Vengono il tempo e l'occasione, vengono quando due persone si fermano: allora si incontrano. Se uno si muove sempre, impone un verso, una direzione al tempo. Ma se uno si ferma, si impunta come un asino in mezzo al sentiero, lasciandosi prendere da una distrazione, allora anche il tempo si ferma e non è più la soma che sagoma la schiena." (Erri De Luca)
Eppure alcune cose accadono di nuovo, o forse sono solo a ciondolare per la mente. Riconoscere la differenza è presunzione d'innocenza?
"Il tempo non è un sacco, magari è un bosco. Se hai conosciuto la foglia, poi riconosci l'albero. Se l'hai vista negli occhi, la ritroverai. Pure se è passato un bosco di tempo." (Erri De Luca)

21 marzo 2016

Cardamomo

Questa sera si esce dal parco. Giù verso i labirinti di case popolari. Uomini grigi hanno reso disumana questa parte di terra. Vorremmo restituire la bellezza della natura e del tempo perduto. Ma ci perdiamo sui limiti, vaghiamo per i gradini e le rampe logorate. Sarà il profumo intenso di cucina che mi fa annusare come un cane tutta l'aria che respiro. Fino a quel pulviscolo di cardamomo e cannella che mi trasporta con il corpo e con la mente. Letterariamente.

Calvino scriveva per descrivere l’ignoto, l’indeterminato e il vago. E ricercava questi spazi osservando il molteplice, il formicolante e il pulviscolare intorno alle cose del mondo, osservando cioè l'infinito e l'illimitato. Leopardiano. Poi elaborava i suoi frammenti di cardamomo e in qualche meraviglioso modo li sparpagliava dentro romanzi geometrizzanti, rigorosamente strutturati.

Vorrei anch'io creare una mappa del labirinto, per riconciliare il limitato e l'infinito. Resa o sfida al labirinto, questo è il dilemma. Calvino opta per la sfida, ben conscio che non si possono dividere con un taglio netto i due atteggiamenti, perché “nella spinta di cercare la via d’uscita c’è sempre anche una parte d’amore per i labirinti in sé”. Io fatico, poi mi fermo e attendo un suono. Non decido, e mi arrendo al cardamomo.




P.S.: Italo Calvino nasceva a Cuba, nel 1923. Oggi Obama fa nascere a Cuba (all'anagrafe della storia) una nuova spezia americana che io chiamerei "cubama", dimenticando ogni forma di castrazione della fantasia e della libertà di origine castrista.

20 marzo 2016

Sfumature

A differenza di Pavese che scriveva "ogni nuovo mattino uscirò per le strade cercando i colori", anche se poi smise di farlo, ogni nuova sera potrei uscire di strada cercando le sfumature quando è sereno, uno strano disegno quando è nuvoloso o l'arcobaleno che liberasse, come immaginava Matisse.

Comincio ora che è primavera e verso sera si liberano gli spettri. Il mantello viola-blu, il cappuccio verde, il viso giallo-rosso. Mi attardo a cercare l'arancione e l'indaco, indebolendomi di oscurità. Gli occhi spalancati catturano due raggi randagi che abbagliano. Poi un gradino sposta l'orizzonte fuori strada e finisco quasi per suicidarmi nel tramonto senza sonniferi o esaltazioni.

Nella frazione di secondo della caduta entro in un fumetto noir. Nel bar c'è un tavolino, e sopra un libro intitolato "Dialoghi con Leucò". In prima pagina una riga scritta a mano da Cesare Pavese: "Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi"... L'ultimo tweet al suo mondo, per comunicare il suo tramonto. Scorro le pagine e leggo sottolineato: «L'uomo mortale, Leucò, non ha che questo d'immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia». In un foglietto, ancora due tweet di Pavese: "ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti», e «ho cercato me stesso». Esco dal fumetto e mi rialzo... 

Cercarsi, spostarsi, nascondersi. Sono sfumature di luce che l'anima proietta. Sul tramonto si colorano quando l'oscurità si mette in movimento e corre verso est. Per questo io corro verso ovest. Lo so, prima o poi ci si incontrerà nel buio.

Intanto domenica prossima si sposteranno i colori di un'ora. Qualcuno ha già spostato le pecore in avanti. Qualcun altro cercherà la propria pecora in una nuvola di sonno. Ma c'è ancora da dormire prima di svegliarsi e sentire che non c'è più nessuna divisione, nessun grado di separazione, nessun tipo di esitazione... tra l'alba ed il tramonto di noi.


17 marzo 2016

coaching

"Immagina di essere in un bosco e di non trovare l'uscita. Non ti dirò: spostati a sinistra, lì troverai un viottolo. Ma ti chiederò di spostarti in alto, sopra il bosco, per avere una visuale completa e a quel punto sarai tu a decidere che strada prendere". 
(Giovanna D'Alessio, fondatrice della Federazione Nazionale Coach)

Il coaching è questo: ascoltare, consigliare, sfidare, incoraggiare. Si dice sia un metodo orientato all'azione e finalizzato al cambiamento concreto.

"Coach" deriva dall'inglese medioevale "coche" che nell'inglese moderno corrisponde a "wagon" (carro) o "carriage" (carrozza, vettura). 

Un "coach" è quindi un veicolo, un vettore, che trasporta una persona da un luogo di partenza a un luogo d'arrivo, normalmente desiderato.

La disciplina del coaching considera ogni individuo assolutamente unico e inimitabile e si fonda sulla scoperta delle risorse o capacità interne (della persona) per formulare desideri e obiettivi scelti su misura. Viene ribaltato il concetto classico del: "se qualcuno può fare qualcosa, chiunque altro può impararlo", visione esterna all'individuo, tipica della programmazione neurolinguistica.

Muovendo dall'assioma dell'assoluta unicità della persona, il coaching considera la complessità del simbolismo personale, la biochimica delle emozioni, le esperienze reali e quelle oniriche, l'unicità genetica. Il coaching è bello ed è facile se non si pensa troppo: bisogna sottrarre abitudini, convinzioni, idee preconfezionate, standard...

Perché nel coaching non esistono interpretazioni, non si va a ritroso nel tempo, nei ricordi, nel passato più o meno remoto. Si crea un ponte verso il tempo a venire, una struttura agile e sicura dove condurre con sé la sensibilità della fantasia...


15 marzo 2016

Iron sky

L’importante non è ciò che hanno fatto di noi, ma ciò che facciamo noi stessi di ciò che hanno fatto di noi.  (Jean-Paul Sartre)

L'importante non è sentirsi degli iron-man, ma essere
liberi di morire al di sopra degli iron-sky.  Al di sopra della paura, dell'amore e dell'odio. Libertà, rain on me...



* Il discorso è tratto da "The Great Dictator", film del 1940 scritto, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin.

14 marzo 2016

run to west

Sul tuo piccolo pianeta ti bastava spostare la sedia di qualche passo. E guardavi il crepuscolo tutte le volte che volevi. "Un giorno ho visto il sole tramontare quarantatré volte!" E più tardi hai soggiunto: "Sai, quando si è molto tristi si amano i tramonti..." "Il giorno delle quarantatré volte eri tanto triste?" Ma il piccolo principe non rispose.

Ho sempre desiderato rincorrere il tramonto. E corrergli in faccia mascherato dai raggi perlati di blu. "Il cielo al tramonto sembrava un fiore carnivoro" scriveva Roberto Bolaño. Carnivoro, sul far della sera mi sento intrappolato dal fiore che uccide. Cosa prende? Un tramonto per due, vista mare. E il dolce sogno da sfumare.

13 marzo 2016

diario-trail

13.03.2016 - I due monti di oggi, una passeggiata al cubo. Vinta l'insopportabile fatica di non far nulla, di rinunciare. Tanti sguardi prima di mettere i piedi in fila indiana. Però mi insegue. Questa insopportabile fatica mi aggredisce e si mette a giocare tra i muscoli e la mente. Resisto, ma non so come. Quando l'accetto e mi lascio dominare e sto per camminare, lei passa oltre. Risale la strada di montagna come vento da respirare inevitabilmente. Rigenera solo se si respira e si smette di pensare di non essere all'altezza di chi si vorrebbe essere. Costa fatica non pensare alla fatica. Di sostenere l’eterno peso di un compito non concluso. 
Arrivo in cima al primo monte nello stesso tempo dell'anno scorso. Sullo stesso percorso non avevo incontrato la cosa, la fatica. Ero più insensibile o solo più giovane, non lo so. Ora una luce strana e intensa arriva sul crinale innevato. Non fa freddo e mi aggancio ad un gruppetto per vivere queste sensazioni e condividerle. Fa bene parlare. Qui siamo tutti fratelli. Arrivo in cima al secondo monte un minuto prima dell'anno scorso, credo. E basta quest'illusione certissima per ricordarmi d'avermi alle spalle del passato. 
Tante rocce, tanto fango, neve che entra nelle scarpe e dà sollievo. Ora corro, animaloso fino al traguardo. Sono passate due ore e cinquantaquattro minuti esatti. Tre minuti meno dello scorso anno! 
Sisifo non morirà di fatica, ma di noia

11 marzo 2016

Trail running

Il 13 marzo, dopodomani, il Trail dei 2 monti (22 km, 1500 m D+). Pare con meteo avverso, non diverso da quello dello scorso anno. 

Nello stesso giorno, 25 anni fa, iniziavo il CAR nel 72° Battaglione Fanteria "Puglie" ad Albenga. Riesco a dimenticare tutto, ma non la Caserma dei bersaglieri dove si correva sempre, e si saltava anche nelle latrine. Correva una sola parola d'ordine: "sveglia", seguita da "muoversi-muoversi" razza di smidollati... Da tempo non esiste più. Evolution.

Ora guardo dall'alto della montagna del tempo dentro quella bocca di pozzo dei disperati che è stata la leva obbligatoria. Un tempio lontano, come di una civiltà Maya: una piramide a gradoni dove al calare e al sorgere del sole si ballava l'alza bandiera dentro l'inno di Mameli, a proiettare ombre a forma di serpenti sulla ghiaia fine di mezza luce.

I due monti di dopodomani sono il Musinè ed il Curto. Anche nell'anima esistono templi e costruzioni montuose che proiettano mostri in sogni ricorrenti. Corpi amici e corpi nemici. Si rincorrono e costruiscono pensieri di vita e di morte. Quando la vita prende il sopravvento possono formarsi, nell'anima, artistiche mousse al cioccolato con crema catalana dentro ganache di fondente e briciole di pasta frolla. Quando non è la vita, solo mucchi di terra.

E penso al Musiné, la "montagna del villaggio", e anche luogo dello spirito. Sul pilastrino di vetta sono riportate queste parole: "Qui è l'Una Antenna dei Sette Punti Elettrodinamici che dal proprio nucleo incandescente vivo la Terra tutta respira ed emette vita. Qui operano le Astrali Entità che furono: Hatshepsut, Echnaton, Gesù il Cristo, Abramo, Confucio, Maometto, Buddha, Gandhi, Martin Luther King, Francesco d'Assisi, e anche Tu, se vuoi. Alla fratellanza costruttiva tra tutti i Popoli. Pensaci intensamente tre minuti: Pensiero è Costruzione".

Musinè

Tempio Maya

Chichen Itza
Pensiero è costruzione sta scritto. Ora guardo la montagna, e poi dentro il pozzo. C'è un filo di dolcezza che porta il secchio nelle profonde inquietudini dove attingerà anche la pioggia, la polvere ed il vento, prima che la corsa finisca... Alla sorgente del running.

5 marzo 2016

Color's sweat

Oggi il cielo tinteggia di bianco, anzi di grigio verde muschiato; no, di azzurro. Adesso è blu genziana perlato... E' visibile una declinazione sensoriale... In un sistema del genere, numeri e casi linguistici coinvolgono la mente, il corpo e pure le emozioni.

Il mio spirito vorrebbe vivere in mezzo a territori colorati, in uno spazio che non opponga il bianco al nero, ma si componga di sfumature, di aperture di tonalità, luminosità e saturazioni. Vorrebbe vivere le sue onde, dimenticando d'essere un semplice spettro...

Tenere insieme le componenti della vita, questo è lo scopo dello spirito. Se lo scopo di correre è imparare a correre, quello dello spirito è imparare a vivere. E provare l'armonia, la serenità, l'arcobaleno che unisce gli occhi alla memoria. E respirare il vento al passaggio delle inquietudini, paure, tristezze...

La vita scommette sullo spirito non quando lo accerchia e lo comprime, ma quando lo recupera in tutte le componenti umane. Gli occhi ed il silenzio, per esempio, sono due componenti spirituali essenziali mentre corro, ovunque io sia, fermo sul nastro che scorre o in mezzo ai larici sempreverdi ed innevati. Occhi e silenzi innervati nelle trame del tempo. Registratori di salti nel passato e salti nel futuro. Passato e futuro colorati, declinati con sfumature a volte sorprendenti..

E così registro, nelle ripetute alternate di un chilometro a 3'45" ed il successivo a 4'. Insisto più volte, per costringere i colori dello spirito a colarmi addosso come sudore. E scopro che sono strani: c'è l'uovo di pettirosso, il solidago, il bruno Van Dyck, l'uva americana, l'eliotropo, il verde caraibi, l'ametista... E chi li distingue!

Alla fine, stremato, intuisco che lo scopo di correre è solo quello di imparare a colorare...


28 febbraio 2016

One day...

"Per capire qualcosa spiritualmente c’è un solo modo: bisogna farne l’esperienza"
(Wayne Dyer)


Ogni giorno di più che trascorro su questa terra è colpa del dialogo incompiuto con il mio spirito. Ho iniziato a comprenderlo, ma lui sfugge e mi costringe alla rincorsa. Quando sento d'essergli vicino non risponde. Mi tiene in vita in questo modo. Rinuncia a materializzarsi, a spiegarsi di sé, m'impone di proteggermi. Vuole che mi difenda, che attenda a chiedergli la vita. Ma questa esperienza andrà pur fatta. E con il corpo.

Oggi ho deciso di stanare la spiritualità. Mi sono spinto ad assorbire il dolore, altro lato d'amore: avrei così fermato le macchie del pensiero. Ho corso senza limiti interiori. Privo di forze, ho chiesto di non fermarmi. Qualche senso sarebbe intervenuto su qualche lacrima di pioggia. E dire che c'ero quasi, dopo venticinque chilometri, alla resa dei conti. Poi un raggio di felicità sfuggito dal passato ha lasciato sulla retina la sua condanna. A vita. E' stato bello comunque viverla...


21 febbraio 2016

Fly low

“Spesso mi capita di osservare dei luoghi all'aria aperta e pensare senza accorgermene che sarebbero perfetti per un’azione militare. Mentre una persona normale guarda un paesaggio e pensa alla bellezza della natura, io, contro la mia volontà, mi accorgo di valutare dove si potrebbe mettere la mitragliatrice.” (Nicolai Lilin, Caduta libera)
Questa mattina il sole era una grande medaglia da indossare. A tutti i costi. E' stato necessario mettere le gambe in modalità di volo e salire, e poi scendere, per due volte consecutive il San Giorgio. Ma quanti giovani abbiamo incontrato? Tantissimi, finalmente! La pista dello sport semplice e liberatorio è ormai pronta per accogliere il rullare di motori umani in formazione. Di nuova generazione. Una piccola squadriglia l'abbiamo trascinata io e Paolo. Ci hanno seguito ed è stata la cosa più bella che poteva capitare. I mille metri di dislivello e i ventun chilometri ci sono sembrati pochi, troppo pochi. Il miracolo era indossato, anche se brillava rimbalzando sopra i giorni in fuga dal corpo, come il passaggio dei soli.

Al ritorno, la metafora è volata letteralmente addosso ad una mezza parolaccia. Inciampando su una pietra sono atterrato con la spalla sul sentiero, in caduta libera. Occhi chiusi e sorriso d'inevitabile... Volati via, istinto e orgoglio militare... 

17 febbraio 2016

Hole, olé

Fin da piccolo notai che l'alluce produceva un buco sulla punta dei calzini: così smisi di indossare i calzini (Albert Einstein)

L'intuizione del fisico applicato e la fantasia della fisica teorica si rincorrono con asimmetria nel genio irresistibile. E poi accelerano vistosamente nella speranza di deformare la realtà, anche solo per un capriccio di infinitesimi impercettibili alla vista ed all'olfatto...

Senza accendere sinapsi, sperimento un progressivo allenamento serale. E osservo i capricci di  un fisico non più abituato alle sofferenze. A quelle che scavano l'Essere bucandolo come un flauto, che poi l'anima ne esce più melodiosa... 

Mi alleno così come viene, in stile rococò, ma mi alleno. E dato che insisto con le vecchie scarpe, dal buco del calzino compare il bel ditone, come da una serratura il cupolone dell'Aventino. E ringrazio per la vista oltre quel portone...


16 febbraio 2016

Atlas

Si è alzato un po’ di vento, credo mi sia andato a finire un sorriso negli occhi.
(Twitter)


E' chiaro che starsene seduti ad aspettare non aiuta. Lo diceva anche il sommo Michelangelo: l’attesa è il futuro che si presenta a mani vuote. E allora perché dubitare, perché rimandare questo gioco di illusioni ai margini della vita? Certo le note di zenzero e vaniglia possono allietare l'attesa. E' una musica che si prende gioco di me. Mi chiede di uscire nella pioggia e correre ancora come allora, a perdifiato, fino al limite dell'essere disperato... 

Mi sembra di voler ricordare l'allenamento a velocità crescente. Dieci minuti lenti, poi accelero. Sento lo smaltimento dinamico dell'acido lattico. Dieci minuti medi e accelero. Sento il passaggio di metabolismo nell'organismo. Altri dieci minuti e forzo lo stimolo dei meccanismi di recupero... Dieci minuti senza più ossigeno. Quanto vorrei recuperare il volo sopra quei cieli, alzare gli occhi e dimenticare l'Atlante in cui sono sconfinato.

13 febbraio 2016

LIGO

Le onde gravitazionali sono onde emozionali. Le rilevo ogni volta che mi deformo in un sorriso. Ogni volta che un sorriso emesso dalla collisione di due pupille raggiunge il battimento. E l'emozione sta nel corpo come la gravità sta nell'anima dell'universo. Bastano i desideri a rivelarlo alla coscienza.

Ma la scienza è qui: ascoltate!

6 febbraio 2016

Sorrow

Io sogno la mia pittura. Poi dipingo il mio sogno.
(Vincent Van Gogh) 

Ero ancora ragazzo quando provai il senso dell'abisso. Ricordo che rimasi appiattito in uno specchio di luce, schiacciato da ammassi di nubi tagliate dai colori. Ero in una dimensione sfumata e non capivo. Quei tagli luminosi stavano aprendo l'anima come i desideri aprono i sogni. Cercavano l'alba che orizzonta, incidendo corpi senza troppe spiegazioni; rigando le rocce come rugiada. E i suoni e le onde liquidavano la mia natura, in attesa di essere l'aria rarefatta, quattromila metri sopra il mare. 

Ero ancora ragazzo quando provai quell'abisso familiare. Senza mani, senza piedi, con il solo desiderio. Fuori dalla terra anche un minuscolo germoglio è un miracolo. Tutto fa vita, soprattutto le vibrazioni dei sogni; e l'angoscia che sale dall'abisso dei miracoli infranti, sognati e abbandonati per sempre nel vuoto. 

In questo video immergersi è familiare, nostalgico. E' sorrow. 



3 febbraio 2016

Risus

Noli me tangere. Non mi toccare, non mi trattenere...
Le risate.

Esiste una pianta medicinale detta "noli me tangere" o anche "erba impazienza" o "balsamina" per la caratteristica di sparare i semi nel terreno circostante quando viene toccata. E' così anche per il cocomero asinino, mentre la mimosa pudica, battezzata nello stesso modo (noli me tangere) ripiega su se stesse le foglie appena sfiorate.

Sentirsi un cocomero. Sentirsi asinino. Sentirsi così...
Noli me tangere. Risus.








28 gennaio 2016

Gloomy

"La strada è lunga e verso sera ti parrà di aver sognato la vita. Ma la stanchezza e le ferite ti diranno quanto avrai vissuto." (Nino Salvaneschi)

Ecco, si tratta di sognare la vita, in quest'inverno ancora fermo nel server aziendale. Non di vivere, ma d'immaginare, e a volte neppure quello. Sono a corto di continuità, non riesco a perseverare. Qualcuno ha detto che la perseveranza è il duro lavoro che si fa dopo che ci si è stancati del duro lavoro che si è fatto. Allucinazioni da lavoro.

Il fastidio all'unghia del piede sinistro m'impedisce di saltare. Riposo dunque, e intuisco d'essere in numerosa compagnia. Ma questa cosa è un gran tormento. Per l'inconscio potrei essere un artista se è vero, come sostiene Karl Kraus, che tale è chi sa fare della soluzione un enigma. E io mi chiedo come posso riposarmi se non corro o se non lavoro. Non c'è soluzione.

L'anarchico filosofo Charles Fourier diceva che "le attrazioni sono proporzionali ai destini" immaginando che fosse la provvidenza a distribuire le passioni all'umanità, come forze attrattive da non reprimere, ma soddisfare. Ponti tra il divino e gli umani. Passaggi attraverso cui incamminarci per la vita con la sensibilità da preservare e i desideri da realizzare nella misura in cui l'intensità dell'Essere li attrae a sé.

Se oltrepasso quest'idea, abbandonandola senza rifletterci, torno alla stanchezza, e poi alla tristezza che m'immobilizzano corpo e mente. Christian Bobin dice bene quando sottolinea che la stanchezza è tristezza che penetra nella carne, ma la tristezza è stanchezza che penetra nell'anima.


23 gennaio 2016

Popcorn

A volte lo sport è salutare le proprie debolezze. In tal caso lo sport intenerisce ed instaura una comunicazione a livello del subconscio. Passo dopo passo, si passa da un subconscio all'altro. In qualche modo si percepisce la compassione e la forza. Debolezze e valori si affiancano e si osservano. E' una gran cosa saperle riconoscere entrambe come parte di noi. 

In questo periodo della mia vita sono più debole, e mi intenerisce l'idea di esserlo. Inizio a percepire segnali indiretti di cedimento. Cedo alle idee alternative alla corsa. Cedo agli strati tissutali che chiedono farciture di calore, besciamelle e sughi da cui ingrassare. Cedo e passo il turno. Cedo e incedo senza meta verso una nuova consapevolezza.

Qualcuno ha detto che "per una salute di ferro occorre l'antiruggine". Gli credo. Anche se non sento il gusto della ruggine, sento che la vernice fresca di questa debolezza mi potrà rafforzare. Ci appiccico sopra queste parole che fermentano di desideri che ramificano radicando nel cielo. Dopo tutti questi "che", cosa posso aspettarmi? Aspetto e basta, davanti ad uno schermo gigante. Dopo tutto, questi che corrono su e giù per le montagne sono popcorn umani...


17 gennaio 2016

Ciliegi

Selvatici come ciliegi di amarene collinari, resistenti al freddo; avventati, avventurosi. Così sembriamo io e Gabriele intenti a sciroppare frullati di gelato immaginario che la Natura ci offre quand'è festa per il Sole, ma è inverno per errore.

Con i piedi (piote) e con le amarene (griote) passiamo in rassegna la terra "di fuori" che calpestiamo brutalmente ed il cielo "di dentro" che decifriamo parzialmente con i nostri vocabolari. La terra è densa, aspra di cemento e piena di gravità. Il cielo è immenso ed azzurro dappertutto. Non ci serve fare il giro del mondo per capirlo. Ci accontentiamo di una ventina di chilometri. Parliamo ininterrottamente.

I racconti sono più divertenti quando finiscono tutti con una ciliegina. Come le barzellette. A volte ci inventiamo quello che non ci ricordiamo, quando l'ossigeno del cielo cerebrale scarseggia. Ma in discesa o nella pausa di una fotografia ecco qualche meringa che si affaccia o qualche savoiardo inzuppato nello sciroppo di amarena e di rum. 

La fame ci assale dopo circa due ore. E non c'è più controllo. Come in "Rapsodia viennese" di Anacleto Verrecchia anche "il cielo diventa un quadro ingannevole dipinto sul soffitto dell'inferno". Troppi dolci racconti.

16 gennaio 2016

Big Babol

Da qualche giorno mi alleno o mi altaleno? Caro subconscio, sono grato della tua domanda che mi dà l’occasione di non risponderti. Nessuna risposta è una risposta, e questa è logica.

Charlie Brown dice che "quando pensi di avere tutte le risposte, la vita ti cambia tutte le domande." Anche per questo è bene rassegnarsi a vivere l'incertezza. Specialmente se si tratta di sollevare o dondolare i piedi, o se si tratta di intossicare o massaggiare i muscoli. 

Forse è bene rassegnarsi a vivere in una bolla anche quando le domande ci masticano ogni istante della giornata, dalle profondità dell'inconscio. Ci sono domande che riducono l'Essere ad un mattoncino di colore rosa suino profumatissimo di fragola. Altre che illuminano il mappamondo dell'esistere. Non rispondere è come lasciarsi gonfiare indefinitamente l'anima dal vento della vita.  Prima o poi  tutto questo respiro alimentato dalle relazioni, scaldato dalle emozioni, umidificato dalle incerte debolezze, si nota a distanza esplodere. E divertire chi resta vivo.

Chissà come sarebbe se dentro di noi ci fosse una mongolfiera rosa profumatissima di fragola che ci lasciasse oltrepassare il magma del nostro vissuto. Una mongolfiera sopra l'inconscio che esplode se si pensa di avere tutte le risposte. Che conduce oltre il vulcano, al prato infinito di fiorito se non si pensa che a dondolare. Inalando e masticando come fa un bambino che crede nella sua immortalità.
 

10 gennaio 2016

Inside out

La montagna più alta rimane sempre dentro di noi 
(Walter Bonatti)


Non potendo superare la vertigine del primo giro, l'OrcoDoctor ci guida in una doppia salita al monte San Giorgio, così da appagare i mille metri di dislivello che scintillano nei suoi occhi. Sono loro che illuminano la nostra spedizione. 

Non patendo nella normale salita, l'OrcoDoctor devìa per la variante est della montagna, inseguendo pendenze imponenti dove proiettare l'immagine della propria roccaforte interiore. Calpestiamo le rocce della zona, peridotìti ricche di magnesio. Le scavalchiamo faticosamente aiutandoci con le mani che si stringono sui tronchi emergenti, fino alle corde fisse poco prima della vetta. 

Nella salita, una certa solitudine è indispensabile. Una certa sensibilità animale si fa più acuta. Sono questi artigli emotivi che spuntano dal corpo. Quando il corpo risolve la formula del movimento attraversando in equilibrio la Natura che lo circonda, allora la propria natura si rivela, e graffia sempre. Assetata di spazi liquidi di cui riempirsi, affamata di vuoti d'aria da cui farsi risucchiare. La nostra natura cerca di risalire la variante est della cima mentale (dove la parte cosciente si rifugia). O almeno ci prova. 

Dopo due ore e un quarto di movimento arrivo ai piedi della mia montagna. Non mi sembra così alta. Forse sono cresciuto. Forse è la mia vista che è peggiorata, e la neve si confonde con il cielo.

Bosco del San Giorgio
Nature umane al San Giorgio