31 maggio 2012

L'equilibrio

“Tutto ciò che uno possiede è per lui che lo possiede ben nascosto. E di tutte le miniere preziose la propria è l’ultima ad essere scavata”. “Molta bontà e forza nascoste non vengono scorte. I più saporiti bocconi non trovano buongustai!”  (Così parlò Zarathustra)

Nietzsche ha scoperto l'inconscio e lo ha osservato con occhi molto penetranti. Quando ne descrive qualcosa, genera un’onda tellurica, un sisma profondo che apre zolle d’interiorità e smuove le strutture della coscienza. E per questo è stato spesso dimenticato, incompreso, cacciato dalla paura (umana)…

Gli uomini "non fanno nulla per il loro ego, bensì soltanto per il fantasma dell'ego". Il senso è che gli uomini sono "sconosciuti a se stessi", poiché "vivono in una nebbia di opinioni impersonali". Nietzsche ne individua la ragione nella supremazia degli istinti inconsci sulla coscienza e sull'intelletto.

Il linguaggio, poi, non è in grado di conoscere i nostri sentimenti profondi. E le norme morali, scritte e non scritte, censurano gli impulsi e gli istinti vitali dell’uomo, ne inibiscono la libera espressione: è questo il suo suggestivo “spirito di gravità”.

Gli istinti, di cui non conosciamo né il numero, né la forza, né le reciproche relazioni, non sono il testo, di cui la coscienza sarebbe l'interpretazione: gli istinti, in realtà sono già “interpretazione” di noi stessi.

Sono loro infatti, nella continua ricerca di un soddisfacimento, a interpretare gli stimoli interni ed esterni, e a guidare tutta la nostra vita psichica. Il soddisfacimento è opera del caso: l'esperienza quotidiana getterà "ora a questo ora a quell'istinto, una preda che viene subito avidamente afferrata". Ogni avvenimento della nostra vita è dunque interpretato da un istinto in funzione del suo appagamento. Queste dinamiche sono particolarmente evidenti nel sogno, che Nietzsche considera, vent'anni prima dell'Interpretazione dei sogni di Freud, il soddisfacimento allucinatorio di un istinto rimasto insaziato.

Ne risulta del tutto destituita di fondamento la concezione della coscienza come istanza egemone e interpretante. Essa non è autonoma, ma è interpretazione di un'interpretazione orientata dagli istinti inconsci, "un più o meno fantastico commento di un testo inconscio, forse inconoscibile, e tuttavia sentito".

Io sostengo l’equilibrio. Sento che la mente conscia e quella inconscia sono forze da comprendere profondamente. Se l’inconscio spinge dove la mente soffre, lì si deve fare leva, equilibrare. Se la mente conscia spinge dove l’inconscio fa star male, pure.

Ma se conscio e inconscio desiderano la luna o un viaggio in crociera o semplicemente una doccia calda e rilassante… allora a che serve l’equilibrio? La spinta è una fionda. Un verso, una palla rotonda…

28 maggio 2012

I riccetti

Notizie del giorno: calcio scommesse, omicidi, violenze, truffe, terrorismo internazionale, stragi, bufere finanziarie…

Una migliore dell’altra. Un pollice verso la morte dell’Uomo!

Ma perché non torniamo a parlare di cose serie? Un esempio? La scienza… degli ufologi e dei contro ufologi, he he.  Quella che sviluppa teorie in grado di cambiare il mondo! hi hi! Un esempio? La teoria secondo cui i cerchi nel grano sono causati dai ricci in amore…  Ecco, sì, abbiamo bisogno di tornare nelle tane, come ricci, e studiare l’amore. Del resto, non sappiamo che farcene (del resto).

Altrimenti restiamo abbracciati al mondo che rotola giù e non sa più dove è il fondo…



27 maggio 2012

L'Atletica

27/05/2012 - Gara GTT-CRAL

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25 maggio 2012

Il coperchio

"La vita è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio devi muoverti." Albert Einstein
In movimento, con i pensieri dentro. In una pentola, d’incanto. Cuociono lenti, fagioli, contenti o adorano bruciarsi, peperoni, falsi. I nostri mal sopportano la cottura, il fuoco alto, l’arsura: sono umidi e delicati, sono pensieri privati. Hanno un coperchio, vogliono espandersi, ma sono blindati...

Il linguaggio si suddivide tra significante e significato: il significante è il concetto, il simbolo, quello che si vorrebbe esprimere, che si forma nella mente e viene trasmesso per mezzo della comunicazione; il significato invece, secondo Jacques Lacan, è ciò che viene decifrato e capito dal ricevente e, sovente, vi sono delle vere sorprese se si cerca di capire quanto gli altri hanno compreso di ciò che noi volevamo esprimere. Vero?


24 maggio 2012

Il giardino yin

"Il suo giardino ha un orecchio delicato, opposto al mio. Ha occhi grandi e unghie colorate, e non io. Ha limoni gialli e aspri da mangiare. E’ un po’ droga e un po’ erba per curare…"

In ogni tempo, in Cina, i concetti di yin e di yang hanno dominato la filosofia e l'intero pensiero. Il loro ritmare si accorda alla natura femminile per tutto ciò che è yin, e alla natura maschile tutto ciò che è yang.

E’ Yin-femminile: la notte, la luna, il nascosto, l’ombra, il riposo, l'inerzia, le energie istruttrici, la debolezza, mezzanotte, il molle, il negativo, il vuoto, il cavo, la Terra, i pari, la morte, la donna…

E’ Yang-maschile: il giorno, il sole, il manifesto, il movimento, la forza, le energie vivificanti, mezzogiorno, il duro, il positivo, il pieno, il Cielo, i dispari, la vita, l’uomo…

In realtà, ogni cosa è composta - in proporzioni ineguali - di yin e di yang. E tutto si iscrive in leggi periodiche e pendolari ove il movimento e la vita nascono dalle reciproche interazioni dello yin e dello yang.

I giorni e le notti si alternano gradualmente. Lo yang si amplifica con il progredire del giorno e declina lentamente con il crepuscolo, mentre la proporzione di yin aumenta. Allo stesso modo si compenetrano le stagioni nel corso dei mesi, imponendosi come "inspirazione” ed “espirazione” in una  grande Respirazione Universale.

Yin e Yang formano la coppia motrice della meccanica cosmica. E quest'alternanza dei due principi fornisce la spiegazione essenziale di tutti i fenomeni naturali.

Il taiji, il cerchio bicolore, è diviso in due parti uguali a forma di mandorle, simmetricamente opposte per mezzo di una curva verticale. Ogni parte presenta un pallino rotondo che simboleggia l'embrione del principio opposto. La parte chiara - yang - presenta un cerchietto scuro, l'embrione di yin, di cui è portatrice. E viceversa. Ogni individuo porta in sé, più o meno accentuati, elementi del sesso opposto.

Nella respirazione, l'inspirazione chiama l'espirazione; nel ciclo cardiaco, la sistole è seguita dalla diastole; il microcosmo umano è a immagine del macrocosmo…



23 maggio 2012

Slow food?

Oggi il sole è caldo. Asseta. Cammino piano piano, e la voglia di gelato s'impossessa di me, mi tocca una mano...

Gnam Gnam. Slurp. Grom Grom... fine. Mi guardo bene.
Ne voglio un altro. Mi pulsano le vene...

22 maggio 2012

Colpito alla Mole

Torino, 23 maggio 1953. 

Era un tardo pomeriggio di maggio, ed era appena passata una tempesta di sabbia furiosa.

Si avvicina inaspettato il temporale, violentissimo, serale. Colpisce al cuore Torino, e uccide cinque suoi abitanti.

Il vento inarrestabile stronca anche gli ultimi 47 metri della guglia della Mole Antonelliana, che cade nel giardino sottostante sgretolandosi in un cumulo di macerie.

La Mole era il più alto edificio in muratura d'Europa. Più in alto si sale, più si può cadere.



Per chi vuole approfondire:





21 maggio 2012

Sciascia zen

Questo è il mese più bello. E’ un nuovo midollo, una fettina di cavallo e tanto ferro… E’ sangue che allo zero non congela. Una crema di caffè, una mela…

Prego, due sfogliatine e un babbà. Mica sono un quaquaraquà…

20 maggio 2012

L'Atletica

20/05/2012 - Gara Borgaro

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18 maggio 2012

Cum grano Zen

Non si può rinunciare alla corsa che germoglia. La terra da semina solleva impronte, e poi gorgoglia. Di desiderio, controluce, vive l’ombra e si riposa. E’ terra silenziosa.

Ma un altro passo s’avventa senza sosta. Spinge il grano, la sua spiga. Un calcio al cielo fa volare col pensiero, come auriga. Il destino chiama, la corsa grida.

17 maggio 2012

Il daimon

Il daimon non è di carne ed ossa, e non è un essere spirituale. Non è l'Ego, nè l'Io. E' super partes.

E’ una metafora che aiuta a comprendere qualcosa sulla nostra interiorità.
Il daimon è un’immagine antica, presente con nomi diversi in diverse culture. Nella nostra, potrebbe essere assimilata a quella dell’angelo custode. Nelle culture dell’America Centrale è definito come un “nagual”, un animale sacro, uno spirito guida percepito nelle esperienze di coscienza alterata, quelle che si raggiungono con le droghe psicotrope.

Nell’antica grecia il racconto che più diffusamente ne parla è conosciuto come “Il mito di Er” che Platone riporta nel decimo libro de “La Repubblica”. Si narra di Er, un guerriero caduto in battaglia che si risveglia poco prima d’esser bruciato sul rogo funebre, e si mette a narrare la sua esperienza “fra le vite”. Er racconta di ciò che ha visto nell’aldilà: un luogo in cui le anime si raccolgono dopo aver lasciato il loro corpo terreno, scelgono un nuovo destino da adempiere e poi ridiscendono sulla terra con il loro daimon. Prima, però, il daimon guida l’anima alle tre Moire e l’accompagna nella pianura del fiume Lete, ma non beve l’acqua che invece farà dimenticare all’anima il proprio destino.

Sulla terra, dunque, l’anima percorrerà la propria vita seguendo ciò verso cui è stata orientata.

Ciò che “conduce” è il daimon: una parte dell’uomo che non ha mai scordato la propria natura, la propria scelta. La propria impronta.

Il daimon è il carattere, l’impronta che si dà alle cose quando le si toccano. E’ il modo di porsi nelle relazioni con gli altri. E’ la forza che si mette nelle azioni, soprattutto in quelle guidate dall’istinto, il modo più autentico di esprimersi. E’ ciò che decide la realizzazione di un sogno, di un desiderio. E’ un fuoco che corrode e diventa motivazione e spinta, non “solo volontà”, ma “voglia”…

Sentire il proprio daimon è appassionarsi, coinvolgersi, trarre piacere da ciò che si sta facendo, e farlo bene!
Gli antichi greci chiamavano questo stato eudaimonia: l’essere in armonia con il proprio demone. Una condizione che rende alcune delle moderne definizioni di felicità anemiche e sterili.

Felici si è se ben guidati nel momento delle decisioni, delle scelte, in tempo di crisi. I greci chiamavano kairos il momento decisivo, quello dell’atto cruciale che può fare la differenza tra la vita e la non vita.

C’è libertà di scelta. E l’anima, che sempre metaforizza (lo dice Plotino), sceglie la sua metafora.


16 maggio 2012

Io conosco

La conoscenza di sé, della propria natura, del proprio modo di essere, è il compito fondamentale della vita.

Platone fa dire a Socrate nel Fedro, più o meno così: “io non sono ancora in grado di conoscere me stesso e perciò mi sembra ridicolo, non conoscendo neppure me stesso, indagare su tante cose che mi sono estranee”.

E Galimberti dice più o meno così: “mentre l’animale può anche non conoscere se stesso - perché ha una vita regolata dall’istinto - l’uomo è delegato alla cura di sé. La carenza istintuale libera l’uomo in una terra dove è costretto a reperire la sua misura, cioè la conformità della propria vita a quello che si è”.

“Diventa ciò che sei” diceva Nietzsche, con riferimento al demone che Eraclito segnala come guida della propria condotta. Seguendo il proprio “daimon” si raggiunge l’eudaimonia, ossia la felicità, che non risiede negli oggetti del desiderio, ma proprio nella realizzazione di sé.

Conoscere se stessi significa anche conoscere i propri limiti, perché solo nell’esperienza del limite la vita acquista forma, come l’acquista il fiume che, senza argini, perderebbe la potenza della sua corrente.

Quindi l’uomo riesce a dare forma alla sua vita solo dandosi un limite: questa è l’arte di vivere, continua definizione di quel confine all’interno del quale è possibile esprimere ciò che siamo. E l’ arte del vivere produce un’etica che deve essere una mescolanza di coraggio e prudenza: il coraggio di espandere la vita e la prudenza di non oltrepassare i limiti delle proprie potenzialità.

La consuetudine a praticare l’arte del vivere forgia in noi un’abitudine che i greci chiamavano virtù, cioè la giusta proporzione tra la forza e la saggezza (senza forza, la saggezza diventa ripiegamento e rinuncia all’espressione di sé; senza saggezza, la forza tende ad oltrepassare il limite e a degenerare).

Galimberti ci insegna che la grandezza dell’uomo consiste nel dare forma alla propria forza, quella che Aristotele chiamava “enérgheia”, Spinoza “conatus”, Leibniz “vis”, Schopenhauer “volontà di vita”, Nietzsche “volontà di potenza”, Freud “libido” e ancora… E ogni esistenza ha davanti a sé un bivio: o ha la forza di esistere, o perisce.

O vive per il domani, o non vive per il ieri... 


13 maggio 2012

L'Atletica

13/05/2012 - Corsa Piossasco

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10 maggio 2012

L'illuminazione

Le certezze esistono ancora nella vita. Per esempio l'Enel, e i suoi contatori d'energia. La luce è Zen allo stato puro. Il buio è Zen dello Stato, pure... 

Speriamo che veda la luce il Decreto per la compensazione tra tasse e crediti, in modo che un'Impresa non debba fare un mutuo per pagare le tasse (che lo Stato vuole subito), quando ha dei crediti magari superiori (che lo Stato si dimentica di restituire)... 

E' questione di buon senso: quello sì che dovrebbe essere eZENntasse...

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9 maggio 2012

Il Tunnel

Non arrediamo il nostro tunnel. Percorriamolo senza sosta. Su e giù, se necessario. In ginocchio, con la febbre, senza orario…

Una strada senza uscita vista dall’altra parte è un’uscita di strada. Un nuovo giorno? Una fuga? Uno scontro?



Aneddoto Zen



C'era una volta uno scalpellino. Viveva in una terra nella quale il massimo privilegio era il potere. Riflettendo sulla sua vita, stabilì che era insoddisfatto della propria condizione esistenziale e decise di diventare l'uomo più potente del suo paese.

Un giorno passò davanti alla casa di un ricco mercante. Attraverso il cancello aperto vide arredi finissimi e visitatori importanti. "Quanto deve essere potente quel mercante!" pensò lo scalpellino. "Vorrei essere al suo posto". Con sua grande sorpresa si trasformò immediatamente nel mercante: aveva più lussi e più potere di quanto avesse mai immaginato, ma era invidiato e detestato da chi stava peggio di lui.
Di lì a qualche giorno gli passò davanti un alto funzionario in portantina, scortato da un drappello di soldati che suonavano il gong. Tutti dovevano inchinarsi davanti a lui, indipendentemente dalla loro ricchezza. "Quanto deve essere potente quel funzionario" pensò il mercante. "Vorrei essere un alto funzionario!". E si trasformò nell'alto ufficiale, trasportato dappertutto in portantina, temuto e odiato da tutti.

Era una torrida giornata estiva, per cui il funzionario si sentiva estremamente a disagio in quell'appiccicosa portantina. Alzò lo sguardo verso il sole, che splendeva orgogliosamente nel cielo, incurante della sua presenza. "Quanto è potente il sole!" pensò. "Vorrei essere il sole!". Si trasformò così nel sole che splendeva impietosamente su tutti, prosciugando i campi, maledetto dagli agricoltori e dai braccianti.

Ma un'enorme nuvola nera si piazzò tra il sole e la terra, per cui la sua luce non poteva più brillare su tutto. "Quanto deve essere potente quella nube temporalesca!" pensò. "Vorrei essere una nuvola!". Allora si tramutò nella nuvola che scaricava acqua sui campi e sui villaggi, tra le invettive di tutti.

Ma scoprì improvvisamente di essere spinto via da una grande forza, e si rese conto che si trattava del vento. "Quanto è potente!" pensò. "Vorrei essere il vento!". Allora si tramutò nel vento che strappava le tegole dai tetti delle case e sradicava gli alberi, temuto e odiato da tutti gli esseri viventi.

Ma dopo un po' andò a sbattere contro una cosa che non si spostava nonostante la forza con cui si abbatteva su di essa: un'enorme e altissima roccia. "Quanto è potente quella roccia!" pensò. "Vorrei essere una roccia!". Fu così che si trasformò in quella roccia, più potente di qualunque altra cosa esistente sulla terra.

Ma mentre si trovava là, udì il suono di un martello che picchiava uno scalpello nella superficie esterna, e si sentì trasformato. "Che cosa potrebbe esserci di più potente di una roccia?" si domandò. Guardò in basso e vide sotto di sé, lontanissima, la figura di uno scalpellino.

8 maggio 2012

La Vita (per adolescenti)



Io non sono cattiva; è che mi disegnano così.
I'm not bad. I'm just drawn that way.


Chi ha incastrato Roger Rabbit? (Jessica Rabbit)

6 maggio 2012

L'Atletica

06/05/2012 - Corsa La Loggia

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5 maggio 2012

Il buon senso

“La chiusura dell'ultimo reattore nucleare in Giappone e' una buona notizia per i giapponesi, vittima di numerosi incidenti e del disastro di Fukushima, e per il mondo che del nucleare non ha bisogno'', dichiara il WWF Italia. 

Da oggi il Giappone sarà provvisoriamente senza energia nucleare. Le autorità nipponiche hanno infatti deciso di interrompere per manutenzione l'attività dell'ultimo reattore in funzione, quello dell'impianto di Tomari, nella regione di Hokkaido (nord), sui 50 presenti sul territorio. 

Gli agenti della centrale spegneranno il reattore questa sera. Il lavoro di manutenzione dovrebbe durare circa 70 giorni, al termine dei quali l'operatore dovrebbe far ripartire l'impianto. Ma questa ipotesi resta molto incerta. Per il momento nessuno dei reattori fermati per gli stress test, dopo il disastro alla centrale di Fukushima è stato riattivato. 

Nelle settimane scorse, il premier giapponese, Yoshihiko Noda, ha dichiarato che autorizzerà la riapertura delle centrali nucleari solo dopo l'approvazione da parte delle comunità locali che ospitano gli impianti. 

Evviva! 

Ma "in Italia, proprio in questi giorni è ripartita - sottolinea il WWF - la campagna dei nuclearisti che, a poco meno di un anno dal secondo plebiscitario responso popolare contro il nucleare, chiedono la revisione del referendum'' ed ''è grave il fatto che a guidare questa nuova mobilitazione degli interessi che si muovono a favore del nucleare, in barba alla ormai dimostrata pericolosità ed anti-economicità di tale tecnologia, sia ancora una volta colui che era stato individuato come presidente dell'autorità di garanzia, il professor Veronesi''. Mi dispiace dirlo, ma troppo spesso l’età non insegna il buon senso!


Il Salone

Nei prossimi giorni (dal 10 al 14 maggio) ci sarà il 25° Salone del Libro di Torino.

Ricordo le prime edizioni. Ne rimasi affascinato. Ancora adesso sento l’odore della colla, della carta, di nuova linfa che entrava nei polmoni e scriveva pagine di sospiri. Non mancavano le esclamazioni di sconfinata ammirazione. La bellezza e lo spazio pieno di parole messe una sopra l’altra scaldavano l’umanità, e la mia generazione. 

Oggi su “La Stampa-Tuttolibri” trovo l’inserto che ogni anno richiama al Salone, e la riflessione di Gianni Riotta voglio proprio ritagliarla… 

Nel 1962 il quotidiano americano Seattle Times chiese ai lettori che futuro avrebbero avuto i libri nel XXI secolo, cioè ai nostri giorni. Con Kennedy alla Casa Bianca, i Beatles al primo 45 giri «Love me do» e Amintore Fanfani al quarto governo, il nostro presente era futuro remoto e la signora Ross disse «I libri saranno venduti ovunque, anche dal benzinaio» e fece centro. Il signor Clark azzardò «Leggeremo microfilm per mancanza di spazio, guardando i libri su visori speciali in casa, con immagini e suoni…». Ci fu anche chi intravide internet via televisione… 
Non mancano gli errori blu: «La corsa allo spazio dominerà i libri del XXI secolo», ma a rileggere il Seattle Times, impaginato nel vecchio piombo tipografico, colpisce la fantasia dei lettori 1962. Nessuna acrimonia per la fine della carta, nessuna Apocalisse culturale, grandi attese. 
Cosa direbbero gli amici di allora guardando un iPad, un e-book, un Kindle, un Nook, un tablet, scaricando il Pdf di una remota biblioteca via Google Books, acquistando un paperback islandese via Amazon? I loro più arditi sogni superati da una magica rivoluzione tecnologica, così radicale da mutare non solo l'industria del sapere, l'editoria, ma anche scuola, società, mass media, scrittura e narrativa. 
La rivoluzione digitale ci deve far riflettere sulla cultura, prima che sulla tecnologia. Siamo invece affascinati dal “retina display”, che permetterebbe ai prodotti Apple di offrire la massima perfezione d'immagine percepibile dal nostro occhio e non vediamo che la novità profonda tocca i contenuti, non le tecniche. È come se i contemporanei di Gutenberg avessero passato il tempo ad ammirare il suo torchio a caratteri mobili, invece di capire che solo la traduzione della Bibbia in Volgare apre la modernità. 
Noi, prima generazione digitale, stentiamo a creare nuovi contenuti e, dai siti dei quotidiani agli e-books, travasiamo testi tradizionali in formato elettronico, restando frustrati se il pubblico anticipa il futuro con la libera fantasia dei lettori Seattle Times 1962. Quando sul social media Pinterest nascono «board», lavagne elettroniche che sono affreschi di memoria e immagini. Quando Twitter, nato per messaggini tra amici, collega i link di qualità giornalistica del pianeta, facendovi seguire in diretta la battaglia di Kabul, tweet dopo tweet. 
Ma quando Iliade ed Odissea non vennero più cantate ma trasmesse con la scrittura inventata dapprima a Micene, non pochi si saranno lagnati della perdita di calore ai banchetti. E quando la pergamena contese il campo al papiro - i rotoli del Mar Morto usano entrambi i supporti, dopo una crisi delle esportazioni da Alessandria - la vecchia guardia avrà mugugnato, nell'equivalente a Qumran di un elzeviro di Terza Pagina, «La civiltà è perduta!». 
Il web non cancellerà l'informazione seria, gli e-book non oscureranno Lao Tzu, Dante e Shakespeare. I lettori su Kindle, Nook e iPad leggono anche molti più libri di carta della media… 
Nella più bella e meno letta delle Lezioni americane, «Molteplicità», Calvino conclude che il romanzo e la conoscenza sono «una rete», anticipando di dieci anni il web. La sfida non è contrastare la rete, ma navigarla con raziocinio. Dite che Wikipedia ha inventato l'autore collettivo? Macché, già Bibbia, Odissea, Mahabharata, fiabe e ciclo di Re Artù avevano un autore collettivo. 
Il digitale ci riporta alle radici del sapere, non le sradica: Calvino lo capì per primo e a questo Salone sarebbe felice per le sue profezie avverate. Quanto ai predicatori di sventura digitale non ascoltiamoli troppo: nel 1894 il Times di Londra previde che entro il 1950 la città sarebbe stata sepolta da tre metri di sterco di cavallo. Non calcolava l'auto, perché chi guarda al futuro come un nuovo presente sbaglia. Sempre ;).

4 maggio 2012

Il tesoro

Il cervello delle persone timide percepisce il mondo esterno in modo diverso rispetto a quanto accade per i soggetti estroversi. E si attiva per una lavorazione più profonda degli input. Lo hanno rivelato i ricercatori della Stony Brook University di New York, dell'Università del Sud Est e dell'Accademia Cinese delle Scienze, indagando i meccanismi che regolano l'introversione.

"Sensibilità per la Percezione Sensoriale - SPS": è questo il tratto della personalità che porta il 5-6% della popolazione mondiale a comportarsi in modo inibito o addirittura nevrotico. Chi nasce con questa predisposizione risulta più sensibile della media agli input del mondo esterno e necessita di maggior tempo per prendere decisioni e riflettere.

I soggetti "altamente sensibili" sono più coscienziosi, si annoiano facilmente con le chiacchiere inutili e manifestano queste caratteristiche fin da piccoli. Le persone timide vivono le proprie esperienze con più intensità, pagando il prezzo di un’intolleranza genetica a rumore, dolore e caffeina, ovvero a tutto ciò che potenzialmente può minare l'equilibrio del sistema nervoso.

La timidezza si riscontra non solo nell’uomo, ma in oltre 100 specie animali diverse, dai moscerini della frutta ai primati. I biologi hanno iniziato a valutare l'ipotesi che nella stessa specie vi siano 2 personalità vincenti: il sensibile, che rappresenta una minoranza e sceglie di riflettere più a lungo prima di agire, e quello capace di spingersi oltre ogni limite. La strategia della persona timida non è vantaggiosa quando le risorse sono abbondanti o c'è bisogno di azioni veloci e aggressive, ma è utile nelle situazioni di pericolo, quando è più difficile scegliere fra due opportunità ed è necessario un approccio particolarmente cauto e intelligente.

"Considerare l'introversione come un limite è un errore madornale", precisa lo psichiatra psicanalista Luigi Anepeta, presidente della Lega Italiana per la tutela dei Diritti degli Introversi (LIDI) ed autore del libro "Timido, docile, ardente. Manuale per capire ed accettare valori e limiti dell'introversione (propria o altrui)".

Il 60% dei personaggi più geniali di tutti i tempi, infatti, da Nietzsche a Marx, erano degli introversi e questa condizione, un modo di essere come un altro, arricchisce moltissimo. Ma purtroppo il mondo moderno ha deciso di esaltare l'estroversione ed emarginare il diverso. E questo è un errore sociale. 
Ma i sensibili sapranno proteggere i loro forzieri. E alla fine li apriranno solo per sè, o per un altro tesoro incontrato. 


Quello che ci manca...

2 maggio 2012

Le trattenute

Questa sera ho indossato il mio secondo nome (Michele), pantaloncini e maglietta Kalenji (aerodinamici e aderenti) solo per volare con la squadriglia degli arcangeli Gabriele e Raffaele, già pronti sulle rotte grugliaschesi dei “mercati generali”.

Il sole quasi all’orizzonte invitava a ricordare le gesta di Icaro. E così da terra ci siam sollevati, come pulci con le ali…

Quattro serie di “ripetute” da 2000 metri con recupero “lento” di 4 minuti, il nostro piano di volo… Ripetute ben dosate per me e Raffaele (il più veloce). Più che altro trattenute per Gabriele, affaticato, incavolato e sottotono, ma caparbiamente portate a compimento.

Una cosa è certa: al "bar Rizzo" hanno insegnato a trattenere le lacrime e a stringere i denti... anche agli angeli ripetenti!



1 maggio 2012

Il paracadute

Ad alta quota il mio tempo dura. E’ ghiaccio, tra aria pura, salito dal mare. E ogni cosa ha congelato, il rumore, le parole, il senso stesso del volare. 

Tra cirri accumulati sotto il paradiso, d’improvviso, un sorriso. Pare un raggio di sole che acceca, fa cadere. Senza paracadute, allargo le braccia, vorrei precipitare…