28 ottobre 2012

Lunghetto scherzetto

Oggi si è aperto il frigorifero celeste ed ho visto che le provviste per l'inverno sono già lì che attendono la distribuzione a pioggia sulla terra da calpestare e sull'ansia occidentale. Le umidità del suolo e del cielo si sono suturate in una lampo, molto sopra le nostre teste perdute alla ricerca di un senso ancora intatto.

Ci siamo ritrovati alle 8:30: io, Gabriele e Raffaele. Fuori una manciata di gradi sopra lo zero; dentro il fuoco sacro a riscaldarci la corsa. Una signora gentile molla il cane e ci fotografa qui:




Corriamo sotto la pioggerellina fredda fredda verso il Parco della Certosa di Collegno. Alle 9 ci uniamo al gruppo dei temerari dell'Atletica che attendono al ritrovo. C'è il coach Fabio che stabilisce il percorso dell'allenamento e ci sono Gianluca, Roberto, Gianni e Max, oltre a noi tre. Direzione Rivoli, salita al Castello, giro del parco di San Grato e ritorno. Per noi saranno 25 km.

E' in questi momenti che si muove l'ago della bilancia in mezzo alla psiche e in mezzo al corpo. Il freddo non pesa molto, la pioggia neppure. Le scarpe inzuppate suonano sull'asfalto delle note primitive. Si balla insieme, e questa danza legale come l'ora della corsa ci permette di attraversare il tunnel. Non dirò cosa c'è al di là, ma di colpo la luminosità del cielo è aumentata, la fatica è svanita, l'ansia dissolta. Le parole conosciute non sono sufficienti e si fatica a raccontare. Si condivide, e si respira l'aria per la vita. Che sogno, e che gita!

27 ottobre 2012

Bi(sogni) di corsa

La corsa è ricerca, esplorazione, viaggio. La corsa è fatica, tensione, coraggio.

Ci sono premi neurologici che conducono all'euforia, e i biologi sanno riconoscere questa chimica affine alle droghe, frutto dell'evoluzione, che pervade il corpo dopo la corsa, naturalmente.

Ci sono premi psicologici che invitano alla riflessione, e chiunque può riceverli, aprirli e smontarli per farci qualcosa. Ma cosa?

Chi corre è alla ricerca di qualcosa. L'ho capito.

L'atleta cerca il risultato, è selezionato dalla Natura, segue una via che è per pochi. E' solo, è sopra gli altri e cerca i limiti della specie. Suscita l'ammirazione, ma non mi incuriosisce.

Il non-atleta, invece, cerca il mandato, la tessera del puzzle personale. E' una folla di esseri senza tempo portatori di conti in sospeso con la vita. Il non-atleta mi parla di imprese personali, dimagrisce, si trasforma e si vede incompleto. Sì, mi incuriosisce moltissimo.

Il non-atleta runner quotidiano è un portatore sano di bisogni psichici. Non è abbastanza sofferente per vedersi normale, e corre. Non è abbastanza sofferente per vivere i sensi senza colpe, i profumi senza ansie, e corre, immaginando di toccare il cielo con un dito, ad occhi chiusi e denti stretti, senza raggiungerlo mai.
Ogni runner cerca, con la sofferenza e la fatica, la sua regola di vita, la misura di un'esistenza, una posizione sociale all'interno di una realtà che non ha strutture e che esiste solo nella sua mente; una realtà intransigente e meritocratica, il risultato di una costruzione della volontà.

L'impegno e il risultato sono valutati da numeri e tabelle, da confronti molto attenti. Tanto razionali sono i parametri di giudizio quanto irrazionali sono le spinte e le scelte di intraprendere la corsa, l'allenamento, la gara. Insoddisfazioni profonde spingono a vivere la corsa come un duro lavoro, una schiavitù inconsapevole e pericolosa. Insoddisfazioni superficiali, invece, stimolano a vivere per colmare bisogni psichici.

Perché il runner qualunque ha a che fare con la psicoanalisi e porta sicuri argomenti per lo psicoterapeuta, ma generalmente non lo ammette e non lo comprende. Lo rifiuta e non si pone ulteriori domande, ma sta di fatto che chi corre quotidianamente cerca in sé, nella corsa, un aiuto che non trova a portata di mano. Forse non ha la possibilità, il carattere o la consapevolezza di accettare una condizione che non desidera, di mutarla, e per questo si lancia in un viaggio del corpo, attraverso il mondo perduto (della psiche), alla ricerca di modi e tempi del sudore e del cuore per declinare ancora la felicità e i suoi (bi)sogni.

Bisogni secondari? Sicurezza e stabilità, affermazione e miglioramento, premio e privazione. Sogni e bisogni di controllo sull'essere umano (ovvero su se stessi). Bisogni secondari solo alla sopravvivenza.

Il runner qualunque rincorre un insieme di cose che non potrà mai raggiungere consciamente. Può accadere di affiancare alcuni sogni nei fatti psichici profondi e perdere alcuni stimoli dinamici, ma non tutti.

C'è una bilancia corpo-mente: la corsa da una parte e i bisogni psichici dall'altra. L'equilibrio è il risultato di un bilancio tra la chimica e la psicologia in cui lo sforzo fisiologico segue il bisogno psichico e non viceversa. Ovvero è la mia testa che mi dice di correre, non altri, non altro.


21 ottobre 2012

L'Atletica

Apro gli occhi e ci penso. C'è da giocare alla corsa, è domenica. Mi sento un esploratore del tempo libero. Certo non un matematico, che è anche un esploratore della realtà mentre crea strumenti di pensiero (come accade negli insiemi di Mandelbrot).

La corsa della domenica è una frazione di realtà che ha una dimensione imprecisata, a seconda dell'umore, delle condizioni familiari al contorno, della luce che si percepisce dentro, quando albeggia.

L'inconsapevolezza fa emergere rircorsive emozioni di traguardi felici. Numeri di pettorali, minuti secondi e attimi che accendono e sbrigano ad occhi chiusi le pratiche per arrivare in tempo alla Circoscrizione 2 di Torino, Cascina Giajone, dove so che si corre la "8 km alla 2", prova di campionato regionale UISP.

Faccio la coda individuale per iscrivermi, non essendomi aggregato all'Atletica. Poi ripercorro le superfici delle facce note e ignote, degli occhi amici e di quelli alla ricerca di un cenno per fare amicizia o per chiedere informazioni. Sono occhi che seguono una traiettoria immaginaria prossima alla matematica del caos (poi succederà qualcosa e tutti seguiranno una precisa formula che li condurrà al traguado).

Oggi ho in mente le frastagliate immagini della natura che si sfoglia, cade ai miei piedi e nasconde meravigliosi regni gialli e verdi della biologia e universi di strutture matematiche sconosciute ai non frattali...

Vedo i compagni in carne ed ossa. Mi inserisco nel cerchio magico e tutto riappare normale. Oggi il presidente è assente, è stato poco bene ieri sera. Ecco una costante che viene meno all'improvviso. Gabriele è in forma, ha lo sguardo illuminato che lo assiste nell'attesa. Raffaele arriva leggermente raffreddato, con il piumino addosso. Gianni osserva e saluta sorridente. Roberto arriva all'ultimo, la batteria del suo scooter lo ha mollato, si affanna un pochino e infatti partirà in ritardo per colpa delle scarpe non ancora allacciate e della partenza anticipata di dieci minuti. Max non c'è, è andato al mare.
Il gruppetto dell'Atletica è abbastanza nutrito: ci sono i fedelissimi storici sempre presenti, oltre a Giuliano M., l'unico dei nostri top aggi al via.

Si parte. Due giri veloci intorno al Parco Salvemini con partenza e arrivo all'interno della Cascina. Le vie sono abbastanza strette e le auto parcheggiate sono ostacoli da controllare continuamente.

Raffaele piano piano si allontana. Gabriele è avanti di qualche decina di metri, in lenta progressione. Per un pò, tutto resta quasi immobile. Esploro chilometri di asfalto interiore, crepati, pieni di radici emergenti. Mancano tre chilometri e mi raggiunge Luca: mi supera, si gira e chiama me e Gianni alla rincorsa. Niente da fare, non posso accelerare. Gianni invece accetta e allunga, ma non tiene il passo e si sgancia poco dopo.  

Il traguardo sopraggiunge presto, ed è subito allegria. Vedo Andrea che corre, è soddisfatto della sua media Garmin, identica alla mia: 4'01" al chilometro! Peccato, il muro dei 4 era prossimo alla caduta. Bravo Andrea!

Ma che sorpresa! Incontro Giuliano D. con l'amico Mauro e due dei loro figli in bicicletta! E' paonazzo, ma strafelice d'aver corso nelle sue strade, proprio sotto casa sua. Ci vediamo a cena presto!

Questo il mio ritmo: 3:52-4:02-3:59-4:00-4:00-4:13-4:08-3:54.

La classifica generale (Atletica UISP) dovrebbe comparire presto a questo link.




16 ottobre 2012

Felix Baumgartner

Anch'io, come milioni di altri esseri umani, dedico all'uomo coraggioso e addestrato un lungo applauso. La sua impresa m'era sembrata folle, ma ho cambiato idea.  E domenica sera, dopo averne compreso lo spirito, mi sono quasi commosso.


Prima guardare qui

Poi leggere l'articolo di Matteo Pucciarelli, Repubblica Sera

È uno strano deserto, per essere un deserto: perché fa freddo anche di giorno. Ed è qui, nel New Mexico, che l'austriaco Felix Baumgartner ha vinto la scommessa che lo ha reso immortale. Perlomeno nel suo settore: quello della spericolatezza.

  
Il 43enne si è buttato da un'altezza di 39mila metri, superando il muro del suono con una tuta speciale e toccando i 1300 chilometri orari. Un proiettile sparato a tutta velocità, in volo per quattro minuti e quindici secondo. "Il lancio è stato perfetto ma poi ho cominciato lentamente ad avvitarmi. Pensavo che avrei fatto solo qualche giro ma ho preso velocità. Quando ti avviti in quel modo, è come l'inferno e non sai se riuscirai a uscirne fuori". 

La carriera di Baumgartner, ammirato in patria ai livelli di Arnold Schwarzenegger, comincia come semplice paracadutista dell'esercito austriaco. Poi diventa base jumper. È il 1999 quando realizza il salto più alto con il paracadute da un edificio, saltando dalle Petronas Towers a Kuala Lumpur, in Malesia. Quattro anni dopo un altro Guinness dei primati: il 31 luglio 2003 è il primo uomo ad attraversare il Canale della Manica con una tuta alare in fibra di carbonio.

Poi di mezzo altre imprese: il base jump più basso, saltando dalla mano del Cristo Redentore a Rio de Janeiro; il primo a saltare dal Taipei 101 da circa 390 metri, allora il più alto edificio del mondo. Una vita spericolata: "La paura è mia amica. È quello che mi permette di non fare il passo più lungo della gamba", raccontava. Sul braccio destro ha un tatuaggio che non poteva non essere questa frase: "Born to fly", nato per volare, mica come Bruce Springsteen che al massimo correva.

Mancava la ciliegina sulla torta: "Un giorno - spiegò ai giornalisti prima dell'impresa - sarà possibile far tornare a casa gli astronauti in completa sicurezza, nel caso di malfunzionamento delle navette. Sembra quasi fantascienza, ma è questa la direzione in cui si sta muovendo la ricerca aeronautica. E poi chissà, magari tornerà utile per quando ci saranno i turisti dello spazio".

La progettazione del lancio era stata seguita da ingegneri ed esperti di prim'ordine, alcuni provenienti dalla Nasa. Lì ha trovato un grande amico, un padre putativo: Joe Kittinger, 84 anni, colui a cui ieri è stato rubato il record. Lui, nel 1960, soldato dell'aeronautica Usa, si buttò col paracadute da 31mila metri. E Kittinger è stato l'unico che durante l'ascesa della capsula e durante il volo ha parlato con Felix.

Quasi una droga: "Quando mi sono avvitato per i primi 10-20 secondi, non ho temuto per la mia vita ma ero infastidito poiché in quel modo rischiavo di non ottenere il record", ha candidamente ammesso. Uno sportivo e un duro, o anche no: "A volte bisogna andare veramente in alto per vedere come siamo piccoli", ha detto appena ritornato coi piedi sulla terra. 


Poi guardare qui

14 ottobre 2012

Lungo Po, di domenica

Nella vita ci sono appuntamenti di ogni genere, alcuni di lavoro, altri d'affari. Alcuni noiosi, altri gioiosi. Ma gli appuntamenti sportivi sono sempre i più vissuti. A volte anche straordinari, come quello di oggi, il lungo di 35 km di corsa da La Loggia al Valentino e ritorno.

L'appuntamento è ormai abituale per alcuni affiatati amici dell'Atletica che preparano la Maratona di Torino. Il ritrovo è a casa di Raffaele, in un quartiere nuovo circondato da vegetazione e terra grassa e marrone, ora a riposo autunnale, ai bordi di La Loggia. Alle 9:30 ci contiamo, siamo in sei. Pronti? Si parte. Aspetta, facciamoci una foto:



Ora si può andare. Correre di domenica d'autunno in compagnia, tra la bruma che da nebbia si dissolve in umida foschia di profumi campestri, è un ritorno al passato. E' tutto ciò che si può chiedere qui a Nord Ovest. Fermare il tempo, e lasciar passare le nostre gambe per miglia e miglia.

Percorriamo qualche chilometro di terreno battuto lungo il canale del Po che ha il colore del cobalto e dei suoi pigmenti blu e verdastri come la livrea dei folletti che popolano la zona, insieme agli scoiattoli che attraversano la strada...

Poi la risalita del canale termina in prossimità della centrale Iren di Moncalieri, una centrale termica che dispone delle più avanzate tecnologie per la produzione simultanea di energia elettrica e termica, sorgente principale del calore per la rete di teleriscaldamento di Torino. Le due larghe torri incuriosiscono Raffaele e Gianni. Già, qui si brucia gas metano e si arriva ad una potenza complessiva di circa 800 MW.
 

Lasciamo la tecnologia e dopo i primi 8 chilometri ci troviamo in mezzo al traffico di Moncalieri che ci conduce rapidamente al parco delle Vallere, costeggiando corso Trieste. Adesso siamo nel verde e ci avviciniamo al cuore di Torino. Il fiume Po è a poche decine di metri e le vie del parco sono piene di runners colorati e di volti immersi in mille pensieri.

Al 14° chilometro, Gabriele ricorda a Gianni che qui e non oltre c'è la loro boa. Ritorneranno per non rischiare infortuni. Raffaele e Roberto sono davanti qualche metro e proseguiranno come da programma. Io e Max siamo dietro di qualche metro, ma non abbiamo ancora deciso cosa fare di noi e dei nostri corpi. Ecco il cenno e l'invito a rientrare. Mi giro verso Max e gli chiedo se se la sente di proseguire ancora un paio di chilometri. Lui annuisce e quando decidiamo di comunicarlo, correndo, ci siamo così allontanati che Raffaele e Roberto sono ormai invisibili. Non ci resta che inseguire il duo di testa.

Ci accorgiamo che passano i minuti e si accumulano i chilometri. Arriviamo al Ponte Umberto I di Corso Vittorio Emanuele, lo passiamo e proseguiamo per corso Moncalieri, a ritroso sull'altra sponda del Po, quella trafficata. Ma le auto sono poche e si respira normalmente. Proseguiamo fino a quando, al chilometro 17 e rotti, rivediamo Raffaele e Roberto che tornano indietro, stupiti di incontarci, ma felici di poterci accompagnare.

Io e Max capiamo subito che la faccenda si fa complicata e comunichiamo l'intenzione di fare il nostro passo e non il loro. Non serviva, dopo un chilometro siamo di nuovo soli ad arrancare. Maciniamo mezzi pensieri e mezzi racconti, poi decidiamo di concentrarci sulla strada del rientro. Passiamo al 21,195 km nel tempo di 1h43' e già siamo contenti dell'allenamento, considerando il percorso tortuoso. Ora tutto si fa più faticoso. Per me è territorio inesplorato, infatti oltre a due mezze maratone non sono ancora mai andato. Mi affido comunque alla ciclicità degli eventi, e con leggerezza trotterelliamo fino al 30° km, faticando anche un po' per non sbagliare strada. Qui ci stringiamo la mano, camminiamo dieci secondi e sorridenti ripartiamo.

Il Purgatorio inizia proprio adesso. Max continua ad avere visioni mistiche, auto pronte a riportarlo a casa, sofà e pastasciutta. Poi attacca a cantare "Come è profondo il mare" di Lucio Dalla e prosegue fino al termine della traccia; ne inizia un'altra, ma poco prima del 34° km si ferma di colpo, mi guarda e dice stop. Serbatoio vuoto. Fine corsa.

Io mi accorgo che la fatica è tanta, che le gambe sono diventate molto pesanti, e il polpaccio sinistro è dolente. Finalmente so cosa si prova. E memorizzo. Non procediamo oltre. Chiudiamo l'ultimo chilometro a passo tranquillo, felici di essere andati molto lontano, dentro di noi. La media è soddisfacente: 5' e 10" al chilometro su 34 km.

A casa, Raffaele sta già facendo la doccia e Roberto aspetta il suo turno. Hanno chiuso con medie intorno a 4'50". Gabriele e Gianni hanno corso meno e più veloci ancora, ed ora hanno iniziato i preparativi del super mega pranzo! Ci facciamo qualche foto al volo:


Raffaele sfoggia un accappatoio long model:


Dopo le docce si è più rilassati:



Poi Max ci saluta e rientra, mentre Vito arriva per il pranzo, sale e ci delizia con le sue meravigliose pizze farcite:



Ma ci sono molte altre meraviglie: due teglie di pasta al forno (di Gianni), qualche metro di salsiccia con patate al forno (di Raffale), un chilo di mozzarella di bufala, due pintoni di Dolcetto delle Langhe, speck, olive taggiasche e parmigiano reggiano a volontà. Torta di mele (di Roberto), e tanti altri "avanzi" non mangiati per sopravvivenza. Si finisce con il Limoncello di Gabriele, extra ghiacciato! 

La pasta al forno:


La tavola:


I "cugini che corrono":


Roberto finge d'essere ubriacone:


La festa ha inizio.


Facciamo il bis di tutto, ma non si bisticcia mai. La chimica e le endorfine ci fanno solo ridere.

E la festa continua...



11 ottobre 2012

Piccoli spazi


Ci sono molti spazi in cui muoversi o stare fermi. Ci sono spazi psicologici, fisici, sociologici, filosofici, biologici. In questi spazi siamo stati educati da piccoli e poi abbandonati. Mi piacerebbe ritrovarne i confini più lontani, anche nel tempo, quelli interiori.

Negli anni Sessanta, l'antropologo americano Edward Hall indagò sulle esigenze spaziali degli uomini e sui legami comunicativi. Fu proprio lui  a coniare il termine prossemica che tanto mi affascina. Il latino proximus ci avvicina al prossimo, nel senso di intorno spaziale. La prossemica è lo studio del significato dei messaggi non verbali che riguardano la gestione dello spazio degli esseri umani. Per telefono, per dire, non c'è prossemica che tenga lontani dalla cornetta...

La distanza tra le persone è stata catalogata. E' definita intima, personale, sociale o pubblica, e va dal contatto ai 3 metri e mezzo. La distanza alla quale ci si sente a proprio agio con altre persone dipende dalla cultura: gli arabi preferiscono stare molto vicini, gomito a gomito; gli europei e gli asiatici si tengono fuori dal raggio di azione del braccio. I maschi, poi, si trovano più a loro agio a lato di una persona, invece le femmine di fronte. Gli ecclesiastici accorciano la distanza relazionale e spaziale chiamando "figli" le persone che incontrano...

Ma in uno spazio ristretto le dinamiche si esasperano sempre. Ecco che in ascensore gli europei si dispongono in cerchio con la schiena alle pareti, mentre gli americani in fila con la faccia alla porta.

Leggo sulle news di oggi che il dottor Lee Gray, professore alla University of North Carolina, soprannominato "Guy Elevator", ha come propria attività il controllo di questa forma di trasporto pubblico. Così spiega: "L'ascensore diventa un interessante spazio sociale in cui ci comportiamo stranamente. Spesso è un luogo difficile".  Quando entriamo in un ascensore ci disponiamo istintivamente come i puntini della faccia di un dado. All'arrivo di un nuovo passeggero potremmo essere costretti a spostarci, e qui si osserva una specie di danza a quadrato, il tutto per mantenere una distanza massima con gli altri al fine di evitare contatti indesiderati. Se siamo soli ci disponiamo dove più ci piace, mentre in due occupiamo gli angoli opposti in diagonale. La terza persona che entra si pone a formare un triangolo, rompendo l'analogia con i puntini su un dado e la quarta completa il quadrato. Una quinta persona, probabilmente, è costretta a posizionarsi nel mezzo. Per tutti, all’interno, lo sguardo è diretto verso il basso.

Lo sguardo è basso sia che l'ascensore salga sia che scenda. Ma quando scende, verso l'uscita, l'ansia diminuisce. Non più serrate i ranghi, ma tana libera tutti...

Chissà se è così anche negli ascensori di Montecitorio...




10 ottobre 2012

La politica

La politica, secondo un'antica definizione scolastica, è l'Arte di governare le società. E la comica, secondo la mia esperienza, è la moderna Arte di fare politica.

Si sa che in base all'aspetto di una società, alle sue movenze, la politica si fa chiamare con accattivanti inglesismi: politics, policy e polity. Per politics si intendono le dinamiche attuate dai vari partiti o gruppi di pressione per riuscire a conquistare il potere politico. Per policy si intendono le leggi o altri atti giuridici attuati dal potere politico per gestire la cosa pubblica. Per polity si intende il consenso da parte della collettività al potere politico e la coesione intrasocietaria delle classi.

Ora, potrei fantasticare che in base all’essenza di una società, alle sue radici culturali, la comica (o arte di fare politica) si fa chiamare: comics, comicy e comity. Per comics si intendono i fumetti, quelli pieni di colorate sfumature e sgargianti interiezioni, verdi, grilli, a cinque zampe nei comizi. Per comicy si intendono i caratteri dei comici, le qualità morali, che dietro l’ironia esaltano il bene e l’interesse di un popolo. Per comity, infine, si intende la cortesia della collettività verso il potere comico della politica. E questo è il tasto dolente: di comity, non ne possiamo più.
Di polity e comity siamo saturi! In due parole, rivogliamo i muppets show! Almeno si capiva qualcosa.


9 ottobre 2012

Libertà?

In ogni caso, Felix raggiungerà una velocità di 1.110 chilometri all'ora prima di attivare il paracadute. Nessuno sa cosa succede al corpo umano quando viene superato il muro del suono, in mezzo all'onda d'urto.  


8 ottobre 2012

L'Atletica

7 ottobre 2012 - Gara Sociale

Un flash sull'esperienza di corsa di ieri. L'eccesso si paga. Ed è così che dopo due chilometri corsi a ritmo over limit sono costretto a rallentare. E poi a gestire quel che resta dell'energia, per i successivi sei chilometri. Ho accusato una specie di iperventilazione e sollecitato qualche fascio muscolare neonato, tant'è che ne ha risentito anche il disco rigato del russare notturno.

Insomma, otto chilometri da dimenticare, in una bella mattina d'autunno, con un parco tutto per noi.

Al traguardo così:

1 Amorosi Domenico       29'54
2 Robbe Domenico         30'18
3 Lacerenza Luciano      30'28
4 Crepaldi Fabio         31'18
5 De Luca Raffaele       31'20
6 Biagi Mariano          32'12
7 Cavaliere Gabriele     32'15
8 Giglio Giovanni        32'31
9 Gatti Fabrizio         32'44
10 Nanotti Massimiliano  33'04
11 Mastrosimone Roberto  33'20
12 Bisterzo Marco        34'00
13 Sansonne Francesco    34'29
14 Colbertaldo Alberto   35'35
15 Tommasin Marco        35'45
16 La Sana Luca          35'58
17 Buscemi Andrea        36'08
18 Moretti Giuliano      37'48
19 Pegoraro Roberto      38'45
20 Raciti Magda          40'07
21 Ilardo Francesco      41'25
22 Damiano Aniello       43'45
23 Congiu Vincenzo       44'32
24 Bosco Laura           46'12
25 Lorusso Pietro        46'14
26 Stivala Carmelo       51'00
27 Borbone Giuliana      55'56

Nella foto mancano i top runner della squadra: Domenico Amorosi, Maurizio Giacobbi, Luciano Lacerenza e Giuliano Moretti, quelli da 3:30 al chilometro, per intenderci. Si stavano muovendo durante il fermo immagine, riscaldando o meglio già sudando nel parco.  







7 ottobre 2012

Cieli d'ottobre

Eccomi qui. Avevo intenzione di fissare un paio di immagini vissute durante la gara sociale dell'Atletica, questa mattina, e allegare un paio di foto... Ma poi, con la Nikon in una mano ed il cavetto USB nell'altra, ho iniziato a correre via e a gareggiare con la fantasia. Mi sono perso nelle foreste di immagini ricaricate sul pc dalla macchina foto. Ha vinto la fantasia. Sono stato circondato da antenne d'insetti spaventosi e da volti soddisfatti e inclini a formare la vetta. Fatiche di ultimi mesi non cancellate; molti fili di natura reale e altrettanti figli di cultura digitale. 

Mi sono sdraiato a testa in su e ho canticchiato Giorgia... "Ah che bellezza, ah che dolore... e come un 747 sono decollato, sorretto dal tuo sguardo come vento sulle ali e verso il sole qualche cosa mi diceva sali, oh sali!".  Sì, mi porto su, con lo sguardo bambino, e appiccico la foto del 27 settembre: è un tramonto dal balcone di casa. Eccola:



E penso che alzando gli occhi al firmamento, in queste notti d'ottobre, potrei osservare uno spettacolo distante due milioni e mezzo d'anni luce, magari contando su un buon binocolo. Come spiegato dall’INAF, infatti, nelle prossime notti e per tutto il mese, guardando in alto verso oriente tra le costellazioni di Cassiopea e Pegaso, si dovrebbe scorgere una piccola macchia biancastra ed allungata. Eccola, naturalmente ingrandita dalla scienza:


Si tratta di M31, altrimenti nota come Andromeda, la galassia dalla forma a spirale simile per conformazione alla Via Lattea, ma molto più estesa. Insieme alla nostra, alla M33 e ad un’altra cinquantina di galassie, fa parte del Gruppo Locale, ovvero l’insieme di galassie “legate” tra loro a causa della reciproca attrazione gravitazionale.

Se penso che Andromeda si sta sempre più avvicinando alla nostra Via Lattea ed è prevista
una collisione tra le due Galassie da cui si formerà un solo e gigantesco ammasso di stelle e gas, non posso che essere preoccupato. E lo sono perchè la fusione si verificherà tra circa quattro miliardi di anni. E che faccio in tutto questo tempo? Giro tondo?


6 ottobre 2012

Cioccolato neostriato




Mi gira la testa, il cranio mi (ar)resta. Guardo dentro. Ci sono indicate due cuffiette intracerebrali, rosso Ferrari. Che razza di sagome aerodinamiche!

Sono porzioni di cervello in area subcorticale che hanno nomi stranissimi. L'area rossa è detta striato. Qui la medicina ha scoperto che avvengono cose sensazionali e chimicamente molto complesse per quanto riguarda la pianificazione e la modulazione dei movimenti, ma anche correlate alla cognizione esecutiva del movimento stesso. Lo striato è attivato da stimoli associati alla ricompensa, ma anche stimoli da avversione, nuovi, inattesi o intensi. Se diminuisce l'innervazione dopaminergica allo striato, si arriva ad avere il morbo di Parkinson. Lesioni a questo livello generano tante altre malattie dai nomi impronunciabili: coreoatetosi, dischinesie, tutti inauditi per quanto mi riguarda.

Una parte dello striato è detta neostriato e anche qui rabbrividisco nel leggere che si tratta di due nuclei battezzati caudato e putamen. Una lesione da queste parti genera ipercinesie, ipotonia muscolare, ma anche labilità dell’umore.
Insomma, in questa piccola zona del cervello avvengono migliaia di cose pazzesche. E una in più sembra essere stata osservata da un gruppo di ricercatori dell’Università del Michigan in uno studio pubblicato sulla rivista Current Biology. È proprio in questa area che i ricercatori hanno scoperto il rilascio di una sostanza chimica, molto simile all’oppio, che aumenta quando si mangia il cioccolato. Si tratta dell’ “encefalina”, un neurotrasmettitore coinvolto nella regolazione della sensazione di dolore e nel meccanismo di ricompensa.

Già sapevamo che il cioccolato provoca dipendenza. Però lo si vuole dimostare. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno eseguito una serie di esperimenti sui topolini. Alle cavie sono state somministrate dosi di un farmaco eccitante direttamente nel neostriato per capire quale effetto potesse sortire la sostanza. Ebbene, i topolini hanno iniziato a mangiare doppia razione di noccioline ricoperte di cioccolato rispetto al normale. Non solo. Gli studiosi hanno anche osservato che, più i topolini mangiavano, e più i livelli di encefalina si alzavano. Questo ha indotto i ricercatori a ipotizzare una sorta di “ effetto droga” da parte del cioccolato.

L’encefalina potrebbe quindi essere quindi la benzina che alimenterebbe il neostriato, il motore che indurrebbe a consumare il cioccolato.

Tutto ciò mi porta a dedurre che in qualche modo il cioccolato sia legato ad un movimento psico-fisico denso di meravigliose sensazioni (cacao). Ma perchè ai ristori delle nostre corse c'è sempre tanta marmellata e poca cioccolata?





5 ottobre 2012

Fiato amico

Io sono sensibile al fiato. Avrò un naso di cane qualunque. Anche la mia nonna era una specialista molecolare, e sentiva l'avvicinarsi del nonno con grande anticipo, senza scomodare altri sensi. Dai piedi alle essenze bluastre di formaggio, esal(t)azioni o veri tormenti dell'anima. Sta di fatto che non sopportava niente che non fosse simile all'aria pura della montagna. Quella stessa aria che respiro troppo raramente, soprattutto da quando corro sul cemento o nei vicoli limitrofi.

Perché il fiato è essenziale per correre. Il fiuto, non di meno, può essere un grande amico, e un animale.

Riporto da Google news - sanità il seguente articolo:
L'ospedale assume due labrador: «Fiutano i tumori prima dei test». Addestrati a identificare le cellule malate in campioni di urine. Dalla Gran Bretagna a Trento, usati come supporto.

UN CANE COME DOTTORE. Lucy e Glenn non si offendono. Sono i primi «medici a quattro zampe» a lavorare in Italia. Due labrador addestrati nel Regno Unito sbarcati in Trentino, a Pergine Valsugana. «Laboratori d'analisi» viventi, dai nasi che non sbagliano un colpo. Fiutano i tumori prima anche dei test scientifici. Non solo. Sono attenti anche al calo di zucchero nel sangue di diabetici di tipo 1 (senza alcun test sul sangue) e possono diagnosticare il raro morbo di Addison (ghiandole surrenali in tilt) o la narcolessia. E come i loro «colleghi» che fiutano droghe o esplosivi, sembrano non sbagliare un colpo.

LA TECNICA - Lucy si «esibisce» in una sala appositamente allestita nella residenza sanitaria assistenziale di Pergine. È il suo nuovo ambulatorio. Dei supporti in alluminio contengono urine congelate e appositamente trattate in modo da rilasciare alcune particelle volatili attraverso delle aperture. Lucy annusa con attenta professionalità, due volte nei casi dubbi, tutti i campioni e si siede (o si sdraia) solo di fronte a quello in cui fiuta la malattia, le cellule malate. Quando il campione è negativo il labrador resta in piedi e fissa insistentemente il conduttore. Si cambiano i campioni e Lucy riparte con le analisi. L'attendibilità di questi cani è altissima, anche per gli stadi iniziali. Commenta il medico inglese Claire Guest: «Sono più di 15 anni che facciamo ricerca e addestriamo cani per questo scopo e forse la conclusione più importante è che se le cellule tumorali hanno un odore, allora anche virus o batteri ne hanno uno e quindi possono essere individuati dagli amici a quattro zampe».

OLFATTO PREZIOSO - I dati pubblicati in uno studio della rivista scientifica British Medical Journal nel 2006 indicavano addirittura il 98% di attendibilità. Il primo caso riconosciuto è del 1989: un dalmata, dopo aver ostinatamente annusato per mesi un neo sulla gamba della padrona, ha permesso che se ne riconoscesse la natura maligna. Il caso descritto sulla rivista Lancet ha aperto la strada alla validazione scientifica dell'olfatto dei cani. Che supera di centomila volte quello umano. E i tessuti cancerosi, a causa del loro particolare metabolismo (che produce idrocarburi ed elevate concentrazioni di composti azotati), hanno un odore particolare che si manifesta precocemente anche nel fiato e nelle urine dei pazienti. I cani, con gli oltre 250 milioni di sensori olfattivi del loro naso, possono per esempio individuare un cancro al polmone quando non è ancora diagnosticabile.


 

4 ottobre 2012

Allenamenti ombrosi

La penombra è vaga, indeterminata, lenta. Non è buio, non è ombra, è un'area impersonale confusa e attenuata, incerta e riposante. Si corre benissimo nella penombra, c'è più fresco. Le piante, le cose, le vite si interpongono opache tra il cielo e le zolle acciuffate dall'erba già grigia di tramonto. Si corre qui, pietrosi e offuscati. Come ieri, in gruppo, al parco, accelerando l'imbrunire, spingendo gli spazi di nebulose sensazioni di fatica. Ripetute veloci di mezzi chilometri, di mezze smorfie e sorrisi più lenti e sudati, unici affidatari dei colori di occhi da istruire all'autunno. La penombra è nell'aula di questa scuola di corsa e fa la maestra.


Di seguito, dal best-seller di Pierre Sansot:  "Sul buon uso della lentezza", traggo e riporto:
"L’uomo e la sua ombra, cosa c’è di più banale? Preferirei essere un uomo e la sua penombra. Parlare per mezze parole, perché le parole intere sono troppo grosse. Bisognerebbe dividerle in quarti, in ottavi, così diventerebbero preziose particelle di significato. Le parole di ogni giorno, quelle comuni, sono più ricche perché hanno girato per le strade e nelle case. I concetti si disperdono in fretta, le metafore e strane mescolanze tra l’alto e il basso li sciolgono. Spalanco l’anima per accogliere miriadi di immagini, e mi sento come il pastore che osserva una notte d’estate dal suo alpeggio."

3 ottobre 2012

Micra Jaguar

Di solito chiudo gli occhi ed è tutto nero. Qualche volta inseguo un orizzonte nella penombra grigia, il tempo di un battito di ciglia, poi di nuovo tutto nero. Cenere più, cenere meno.

Oggi no. Chiudo gli occhi e punto al rosso senza esitazione. Sogno un inseguimento su una Micra. Ma il sogno vira all'ocra, nello spazio surreale di una moka. Sgommo giù dal terrapieno giallo di battuto ed entro nella palla della nipponica bandiera. Mi sento un Samurai che governa la vettura spaventata. Inseguo. Corro e tocco con la lama quella Jaguar. L'ho quasi presa! So che dentro c'è un vigliacco. Lo sperono, lo immobilizzo e me lo sbrano. Sono io, non tu, il Giaguaro disumano...

Dal Corriere della Sera online di oggi:

Il presidente dell'Aler (Azienda lombarda per l'edilizia residenziale) di Lecco - Antonio Piazza - aveva parcheggiato la sua Jaguar in un posto per disabili. Costretto a spostare l'auto dai vigili urbani chiamati dal disabile, si era vendicato bucando le gomme della macchina del portatore di disabilità. Ma le telecamere lo avevano registrato. Invitato dal Pdl a dimettersi risponde: «È ingiusto». Poi comprende, si fa mansueto e dice: «Chiedo scusa a tutti per quello che ho fatto. Le dimissioni? Le ho date, devo fare atto di penitenza, poi con il tempo, se c'è la passione e la possibilità di ripartire... Ma c'è gente che ha fatto cose peggiori di me ed è ancora lì. Io non sono così. Cercherò di tornare umile, di ripartire. Gli sbagli fanno crescere».
E allora cresci, caro Amministratore, e vai a catramare! Se ti incontro un'altra volta, devi fuggire...
 

 

2 ottobre 2012

La corsa romantica

Il Romanticismo attinge all'Infinito. All'Assoluto, all'ironia, al desiderio del limite. Dev'esserci atmosfera romantica nella corsa, perché questa seduca: l'idea è di Maurizio (Stoppre), ed è molto buona.

Mi ci tuffo, ci provo. La corsa rifiuta la Ragione illuminista e concepisce l'Uomo secondo nuovi modelli e possibilità d'azione. La corsa tenta nuove vie d'accesso all'Assoluto e all'Incondizionato, oggetti metafisici. La corsa si distingue nel superamento del limite, nella ricerca dell'oltre limite e di ciò che non ha alcun limite (perché eterno, imperituro, immutabile).

La corsa romantica cerca l'ebbrezza d'Infinito; è per anime assetate di Assoluto. Sperimentare questa ricerca, esprimerla, è parte di una cultura globale, dove arte e poesia sono invisibili a chi non la pratica.

La natura, il mondo, la storia sono la vivente realizzazione dell'infinito. Accedervi è questione di sentimento, di feeling. Una categoria spirituale dominante che può aprire a nuove dimensioni della psiche e risalire alle sorgenti primordiali dell'essere.

Il sentimento spinge il maratoneta perché appare come Infinito stesso, nella forma dell'indefinito. E' puro spirito di sacrificio, e può generare felicità o qualsiasi altra cosa, anche senza nome. Precede ed anticipa un discorso, arriva là dove la logica non intende arrivare. Maratoneta è una condizione dell'anima romantica, un modo di essere.

Ogni impresa umana, ogni aspirazione verso il più e l'oltre senza confini, tuttavia, si risolve nel desiderio di avere l'impossibile, di conoscere l'inconoscibile, di sentire il soprasensibile. Ed è perciò ironicamente inadeguato, impari davanti all'Infinito. Si può tentare la sfida, ribellarsi, oppure amare la corsa e basta. Fondare una nuova storia di sé e del proprio romantico universo. Io ci provo.


1 ottobre 2012

Corri, lo Zen t'insegue...

"Quando siedi, siedi; quando cammini, cammina; quando lavori, lavora." In quasi tutti i libri che parlano di Zen c'è sempre questa frase del Maestro.

Certo non è proprio la nostra visione delle cose. Occorre imparare a fare quello che stiamo facendo "ora e adesso". Lo spirito Zen è quello della vita quotidiana, dalla mattina alla sera, dalla sera alla mattina, di ora in ora, istante dopo istante.

Un monaco chiese al maestro: "Che cos'è lo Zen? Ti prego illuminami". Il Maestro replicò: "Hai terminato il tuo pranzo?" "Sì, maestro" rispose il monaco "Allora” gli disse, "lava le tue scodelle."

Nulla di particolare, una filosofia. Il nostro corpo, il suo movimento. Il nostro agire, e l'osservazione del nostro agire. La luna, il tramonto, il sole. La nostra vita quotidiana, nulla di straordinario è lo Zen.

Un monaco chiese: “Maestro, puoi indicarmi alcune delle regole fondamentali della suprema saggezza?" Il Maestro afferrò subito carta e pennello e scrisse: "Attenzione". "E' tutto?" disse il monaco "non vuoi aggiungere qualche altra cosa?" Al che il Maestro scrisse:"Attenzione. Attenzione". "Beh," disse il monaco, "non vedo davvero molto di profondo in ciò che hai appena aggiunto." Allora il Maestro riprese il pennello e scrisse: "Attenzione, attenzione, attenzione".

Esercitare l'attenzione e non oltrepassare l'attimo, viverlo e non giudicarlo. Percepire la corsa per quella che è, e non pensare al ritmo. Calmare la mente e controllare il respiro dell'aria.

I pensieri devono essere nuvole bianche, passare senza lasciar traccia. Ascoltare la corsa è fare ciò che in quell'istante richiede, passo dopo passo, un pezzo di strada dopo l’altro e senza pensare mai alla strada tutta insieme.
La corsa non-mente; leggera, può andare oltre i nostri limiti.