27 novembre 2012

L'identità di Eulero

Dalla fantascienza di Blade Runner sappiamo che ci sono cose che noi umani non potremmo mai immaginare, come "navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione", o strani raggi balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser, chissà in quale universo. Passato da replicante, militante nei corpi speciali extra-mondo, il grande Rutger Hauer sente che "tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia". E conclude: "È tempo di morire".

Correndo in salita, concludo come il replicante... E penso che il record mondiale del chilometro verticale, 30 minuti e 55 secondi, stabilito dal giovane Bernard Dematteis, a luglio in Val Chiavenna, è un tempo da extraterrestre. Ho avuto modo di vedere e salutare personalmente Bernard, al cross di Scarmagno, all'inizio del 2012. Certo un replicante, un cuore da equazione divina. Geneticamente dotato, ha soffiato il primato al fratello Martin. Sono sequenze familiari che andrebbero approfondite.

Dalla fantascienza alla realtà, nello sport e nella matematica. Il salto è casuale, bello, eu-lero.

“Eulero calcolava senza sforzo apparente, così come gli uomini respirano o le aquile si sostengono nel vento”. Così infatti diceva il matematico e fisico francese François Arago.

Tutti quei calcoli andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia... No, non è tempo di morire (per la matematica). E se esistesse un modo perfetto per morire, sarebbe proprio quello toccato in sorte a lui, il grande matematico svizzero Leonhard Paul Euler, alias Eulero.

Colui che già da vivo era stato accostato a Pitagora, Euclide e Newton, che ha indagato ogni branca della disciplina madre dalla geometria alla trigonometria, dal calcolo infinitesimale all'analisi, dedicandosi anche alla fisica e all'astronomia, concluse la sua vita così come l'aveva vissuta: stando insieme alle persone più care e facendo ciò che più amava, in una giornata di fine estate del 1783, a settantasei anni suonati. Eulero ricordava ancora perfettamente tutte le formule matematiche più importanti, le potenze fino al quarto grado e L'Eneide di Virgilio parola per parola.  Aveva perso l'occhio destro appena trentenne. Era il “Ciclope della Matematica”, come lo chiamava Federico il Grande di Prussia. Poi aveva perso anche la vista dell'occhio sinistro, quindici anni prima di morire, ma nulla lo distoglieva dalla sua passione, la matematica.

Ma veniamo al giorno di fine estate del 1783. Dedicata la mattinata alla sua amata matematica, Eulero aveva pranzato piacevolmente insieme a tutta la famiglia e ad alcuni amici nella sua casa di San Pietroburgo. Ad animare il pranzo erano state le conversazioni sui palloni volanti dei fratelli Montgolfier e la recente scoperta di Urano. Poi improvvisamente, quando ormai si erano fatte le cinque del pomeriggio, il genio svizzero venne colpito da emorragia cerebrale e morì sul colpo. Anzi, come disse il matematico francese Nicolas de Condorcet: “il cessa de calculer et de vivre”.

I contributi di Eulero sono inestimabili. Quando studiavo, era tra i nomi che firmavano i più straordinari teoremi, sempre sparso come l'origano sulle pastasciutte immaginarie delle dimostrazioni indigeste.

Correndo si va in cerca della propria identità, e qualcosa si trova. Ci si deve accontentare. Certo non sarà una formula magica ad identificare noi umani...

Ma l'identità di Eulero è la formula più bella della matematica, a detta degli esperti, da Feynman in poi. E questa mi accompagna nei pensieri di qualunque natura, reale o immaginaria, ormai da sempre.

Eccola, finalmente:


... un numero irrazionale (e) che elevato ad un altro numero irrazionale (pigreco) moltiplicato per un numero immaginario (i) dà come risultato -1!

Ci sono tutti i protagonisti e operatori ecologici e matematici fondamentali, compresi lo zero e l'uno.

La realtà supera la fantasia.

Qualcuno potrebbe concludere che un matematico è il modo che ha la mente di sapere qualcosa sulla fantasia, così come qualcuno già ha concluso che un fisico è il modo che ha l'atomo di sapere qualcosa sugli atomi...

Io concludo che tra la fisica, il fisico e la matematica ci sono legami di sangue, naturalmente capaci di stupire chi lo desidera. E chi desidera con entusiasmo.



24 novembre 2012

Trail(er)

Ieri sera ho vissuto un nuovo tipo di allenamento. Intensi chilometri per congiungere la città di superficie, esteriore, con il tempio sotterraneo, interiore. Nel viaggio, la percezione di un corpo in movimento pronto a riconoscersi e a superarsi, in bilico tra scale, pietre, sudori e sensi di vertigine. Che stupori, che vapori. Saliscendi immaginari. Itinerari e mappe evolutive...


C'è chi sostiene che la vita esteriore è come un fiore, e la vita interiore è come la sua fragranza. Senza profumo, non si apprezza il fiore. Il corpo e l'anima sono prati da attraversare nel movimento e nella meditazione. Alla sensibilità dello spirito si deve la percezione della natura interiore, e il desiderio di nuove escursioni. Allenare la vita spirituale ha la capacità di trasformare il corpo fisico. Si può attingere alle energie più profonde.

Occorre imparare a farlo. Certi allenamenti solitari, le maratone, i supertrail, sono eccellenti fonti di esercizi spirituali. Occorre interpretare i segni, seguire le tracce, cercare il motivo, sfidare il divino, desiderare il sacro, immaginare il traguardo e conquistarlo. Occorre un atteggiamento vincente per mantenersi in forma, pronti a superare i precedenti traguardi.

Progredire è l'esperienza più illuminante, abilita accessi e forma felicità. Sport e musica sono tensioni evolutive. Potenziali dinamici estremi e latenti. Incipienti, per quanto mi riguarda...



21 novembre 2012

Allenamento (in)significante

Anche nel più insignificante degli allenamenti esiste un punto di fuga, una prospettiva, un piano di proiezione. Sono tutti disegni di un corpo in movimento. Sono segni in movimento verso un corpo. Giochi di immagini che aiutano a connetterci con la parte spirituale. Quella che si nasconde, ed è invisibile agli occhi...

Il salto non è scontato, specie a tre giorni dalla maratona. Eppure tutto gira a meraviglia, gambe, neuroni e percezioni di una realtà migliore. Esco al buio, e mi lascio illuminare dalla naturalezza. Penso, vuol dire che l'andatura è sufficientemente lenta. Comunico, e anche il Garmin risponde con altri beep per ognuno degli otto chilometri.

La comunicazione è tuttavia complessa. Io non sono una macchina, ho dei sogni. E chi comunica utilizza dei segni, che non sono la stessa cosa. Il segno è "qualcosa che sta per qualcos'altro, a qualcuno in qualche modo" dicono i linguisti, con una definizione su misura per loro, ma sufficientemente spaziosa per tutti. Il segno linguistico è qualcosa che ha a che fare con il corpo e con la mente. Ha cioè una forma tangibile e un contenuto immaginabile.

Per queste cose, addirittura, i linguisti usano due parole che si differenziano per la coda, cioè significato e significante. Il significante è la forma, fonica o grafica, utilizzata per richiamare l'immagine che, nella mente, è associata a un determinato concetto, o significato.

Ogni lingua crea i propri segni convenzionali e il significato può variare in base a fattori sociali o soggettivi. L'immagine mentale del cane, ad esempio, può essere richiamata da grafemi e fonemi assai diversi fra loro.

Il significante di cane:       
Il significato di cane:


La comunicazione è complessa, ma si sbroglia con la voglia di comunicare. E' proprio come la corsa, che utilizza "qualcosa che sta per qualcos'altro a qualcuno in qualche modo". Non è solo questione di linguistica. E' una questione di segni lasciati dentro il corpo, sul corpo e fuori dal corpo. La corsa ha una forma, un'espressione estetica e un contenuto, una motivazione. La corsa, come la poesia, ridona la vista. E' un collirio per distinguere i sogni. Per distinguere le pietre, l'acqua, le montagne, l'erba, il cielo e tutti i colori dell'anima...



P.S.: Giava, adesso sarà KM VERTICALE!

18 novembre 2012

Turin Marathon 2012

(link alle mie foto)

"Ci vuole un fisico bestiale, perchè siam barche in mezzo al mare" cantava Luca Carboni. Per resistere agli urti della vita, per bere e per fumare. "E come dicono i proverbi e lo dice anche mio zio, mente sana in corpo sano, e adesso son convinto anch'io!"


"Io apro gli occhi e ti penso ed ho in mente te. Io cammino per le strade, ma ho in mente te. Cos'ho nella testa, che cos'ho nelle scarpe, no non so cos'è. Ho voglia di andare uoh uoh..." cantava l'Equipe 84.

I dischi sono stati un buon numero, tutti un pò gracchianti per l'usura del vinile mentale. Sono loro che mi hanno accompagnato nei primi chilometri di questa galoppata. Poi è sceso un pò di silenzio. Ho chiuso tutte le applicazioni non indispensabili e lasciato che i microkernel potessero accedere alle astrazioni interiori, pochi e semplici accessi ai muscoli, cuore compreso. E' stata una tattica vincente.


Dall'inizio: alle 9 meno un quarto ci troviamo in gruppetto al meeting point. C'è Max con un doratissimo telo per ripararsi dal freddo, visto che ci sono solo 5 gradi (per fortuna niente nebbia). Ci sono Diego ed Ennio, perfettamente attrezzati con superbike da supporter, dinamici come sempre. Sono loro gli "angeli di Marco", quelli che tifano per il nuovo maratoneta della squadra! Arrivano i cugini Vito e Gianni, anche loro con bici accessoriate, a disposizione come messaggeri di collegamento tra noi (undici) della squadra in corsa. Arriva Fabrizio, concentrato come sempre. Vedo Carlo, poi Maurizio. Ed ecco Raffaele e Gabriele che già corricchiano minacciosi. Gabriele ha in testa una bandana con l'effige di pirata e teschi colorati sulla fronte. Ha gli occhi furbi di Captain Sharkey pronto ad assalire qualche nave nel Mar dei Caraibi. Mi guarda ed è come se volesse incrociare la mia rotta e spaventarmi: all'arrembaggio del miglior tempo! Fuggo lo sguardo, mentre Raffaele mi tranquillizza, come sempre: è lui quello che deve fare la corsa migliore, e chiudere una stagione al top, come dice Briatore. Non vedo Luca, Gianluca ed altri che dovrebbero esserci, da qualche parte.


La folla s'ingrossa, siamo più di quattromila. Ci raduniamo nella splendida Piazza San Carlo, salotto di Torino. Il presidente della Regione spara puntuale, spaventandosi del botto, e via! Ma quando ci muoviamo? Conto quindici secondi prima di fare qualche passo, poi un lungo incanalarsi su via Roma. Ah! Avevo proprio voglia di correre! Il clima è quasi perfetto: temperatura in leggero aumento e pallido sole che bacia lungo Via Po e dentro Piazza Vittorio Veneto. Poi si devia, ed il percorso punta verso il sud di Torino. Ci sono tanti ragazzini che si dimenano strapazzando batterie più o meno professionali, sul ciglio delle strade: il suono si sovrappone scalzando le mie melodie, ma è una bella ginnastica mentale che affronto inconsapevole. Molte persone sorridono, applaudono, incoraggiano, vorrebbero in cuor loro provarci. Si avvicinano bambini per un cinque con le mani: è una sensazione di bella umanità. Dai balconi osservano senza troppa attenzione, un pò infreddoliti; e scendete a scaldarvi con noi!


Tutto distrae, e i chilometri volano. Sono leggermente sotto la media dei 4 minuti e mezzo, fantastico. Al quindicesimo chilometro inizio a prendere un sorso di Gatorade: è il mio primo ristoro, e devo lentamente reidratarmi. Come si dice dalle parti del podismo, le sensazioni sono buone. Chiacchiero anche un po' con quelli che mi superano, non sono molti, ma mi va di distrarli. Si arriva alla mezza dei 21 km e il timer segna esattamente: 1h 34:00. Il chip nei piedi suona forte e mi rassicura del tempo passato.


Inizia una lenta salita di quattro chilometri, e qui patisco un po' il ritmo. E soffro, ed inizio a spegnere le distrazioni inutili. Mi concentro sui pensieri forti, sull'immaginazione che rende possibile liberare la spiritualità dell'uomo. Immagino di correre nella nebbiosa pista ciclabile di Orbassano, con Giava che conosce tutti e tutti saluta per nome. Poi immagino di correre sulla sabbia e allora tutto si fa più vicino alla realtà.


Al venticinquesimo km termina la salita. Siamo nel mio paese. Sara, Laura, Raffaele (il mio grande vicino) mi salutano e mi applaudono. Saluto l'ex-sprinter degli Artigianelli, Mauro, in tenuta da volontario ausiliario dei carabinieri: ha abbandonato un talento assoluto, ma potrebbe ancora tornare, se solo lo volesse. Vedo poi tutti quelli dell'Atletica che sono di servizio al ristoro. Mi fermo il tempo di bere tre sorsoni di Gatorade, salutacchiare e ripartire. Ma ecco che Domenico Amorosi, l'atleta vero della squadra, oggi assente, mi intravvede e mi rincorre per una fotografia: sono molto onorato!


Inizia una parte della corsa che ricordo con piacere: la discesa di Corso Francia. Siamo intorno al trentesimo chilometro e la mia media è ancora intorno ai 4 minuti e mezzo al chilometro. Spettacolare! Non pensavo proprio di correre così bene. Altre facce, altri giovani che salutano e inneggiano allo sport. Tutto è come nei diari di viaggio di Charles Darwin, per la vista leggermente distorta da mille effetti collaterali. 


Ritmo costante e nessun risentimento fino al trentottesimo chilometro. Qui inzio ad innervosirmi perchè il percorso non è più rettilineo e molte auto sgasano sulla corsia opposta. C'è stato un pezzo, vicino a Corso Vittorio Emanuele, vergognoso: a pochi metri dalle auto che sfrecciavano in senso opposto, per fortuna molto breve. Ecco l'ultimo ristoro. Mi fermo a bere, come nei precedenti, per qualche secondo, ma la ripartenza è più difficile, molto più difficile. E così perdo lentamente terreno. Cerco motivazioni, le trovo e tengo duro.


L'ultimo chilometro è una passeggiata quasi ad occhi chiusi. Tutta via Roma è un tripudio di corpi e braccia e anche i balconi sono aperti. La mia testa è rivolta al cielo, bianco con qualche venatura di grasso azzurino un pò scaduto. Non finisce più! Mentre raccolgo informazioni per l'inconscio, ecco che arriva il Traguardo: alzo le braccia e punto gli indici verso il timer sopra di me: 3h 14' e 56", media: 4'36" al chilometro!


Mi faccio fotografare e tutto scompare per qualche istante. Dopo pochissimo mi sento chiamare da Gabriele, stremato da una folle rincorsa: per poco non mi raggiungeva: 3h15 per lui. Arriva dopo pochi minuti anche Raffaele: 3h19, leggermente deluso, ma consapevole d'aver duramente lottato per sette chilometri con i crampi. Arrivano gli altri, tanti altri, e Davide, che si congratula con me, felice, ma non completamente soddisfatto. Arriva anche Mastro che mi abbraccia e sorride.


Sul traguardo, dagli spalti, mi saluta anche l'amico Gianni della Settimese: peccato per l'infortunio, altrimenti saresti stato con noi! Sul resto, infine, un pensiero di Gianni Papini: "Fra molti anni un uomo verrà certamente da me, in una calma sera d'estate, a chiedermi come si può vivere una vita straordinaria. Io gli risponderò con queste parole: rendendo abituali le azioni e le sensazioni straordinarie e facendo rare le sensazioni e le azioni ordinarie." E' possibile?

P.S.: Giava, CE L'ABBIAMO FATTA!





17 novembre 2012

Sempre fratelli

Hey, Roby, amico mio!
Dopo le Stratorino ci faremo mai la Maratona?
- Vai vai... io devo riflettere
La maratona è da pazzi!
- Ma tu sei pazzo...
Beh, serve un po' di coraggio, un po' di voglia di vivere...
- Allora, mentre io pedalo, tu corri ok?
Ok, ma pedala, capito?
- Tu sai quanto ho pedalato in questi mesi, al San Luigi...
Sì, amico, lo so, lo so... ho sofferto con l'anima
- E allora non farmi fare brutta figura, visto che siamo "sempre fratelli"!
Ok, Roby, domani correrò per te!



16 novembre 2012

Ogni cor si rallegra (italiano)

Quando leggo notizie come questa il mio cor si rallegra e va ripetendo ciò che resta di una "Quiete dopo la tempesta":

Passata è la tempesta:
odo augelli far festa, e la gallina,
tornata in su la via,
che ripete il suo verso. Ecco il sereno
...
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
risorge il romorio
torna il lavoro usato.
...
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
per li poggi e le ville. Apre i balconi,
apre terrazzi
...
Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
l'uomo a' suoi studi intende?
O torna all'opre? O cosa nova imprende?
...
(Leopardi)



Da: l'Espresso del 22/11/2012

Il capovaccaio, l'origano e le vacche

< Ci vuole una certa fantasia, ma il risultato merita senz'altro lo sforzo, per immaginare il giorno in cui il neophron percnopterus, o capovaccaio, ha fatto per la prima volta il suo ingresso nell'austera sala del consiglio di amministrazione dell'Enel. Già, perché la tutela del pennuto, che secondo Wikipedia appartiene alla famiglia degli Aegypiinae, e che in sostanza è il più piccolo degli avvoltoi africani, è uno dei motivi che bloccano la riconversione della centrale del colosso elettrico nella valle del Mercure, nella zona del parco del Pollino. Un progetto costato finora 70 milioni di euro, inizialmente sollecitato per motivi occupazionali dai comuni interessati (che anni fa, per sveltire la pratica, arrivarono a rivolgersi addirittura al Quirinale, a palazzo Chigi e all'allora ministro dell'industria), e poi sprofondato nella palude della giustizia amministrativa, arrivata finora a pronunciarsi per quattordici volte dopo essere stata chiamata in causa dall'ente locale o dal comitato ecologista di turno.
Se Fulvio Conti deve fare i conti con il capovaccaio, al numero uno di Terna, Flavio Cattaneo, è toccata in  sorte la grana dell'origano biologico. La storia porta in Sicilia, dove l'azienda dovrebbe costruire la nuova linea elettrica Chiaramonti-Gulfi-Cimina. Dopo aver condiviso il progetto con tutti i comuni interessati, Terna ha avviato l'iter di autorizzazione. Trovandosi la strada sbarrata da un sindaco che si è fatto portavoce delle preoccupazioni della piccola azienda agricola locale. Il titolare sostiene a gran voce che la presenza di un elettrodotto farebbe perdere il marchio di coltura biologica al suo prezioso origano. I ricercatori di Tema hanno passato giorni interi con il naso sprofondato nei più diversi protocolli di certificazione delle colture biologiche senza mal rintracciate alcun riferimento agli effetti di  infrastrutture elettriche sul territorio. Vai a sapere. Ma quella dell'origano non è l'unica rogna di Cattaneo. Nella zona tra Foggia e Benevento, dove Terna deve potenziare la linea elettrica già esistente, su iniziativa di un allevatore di bestiame preoccupato per la salute delle sue vacche è nato il "Comitato per la salvaguardia del territorio sannita". Che ha già raccolto duemila firme. >


8 novembre 2012

Allenamento banale

Un quarto d'ora di riscaldamento, sette mille a quattro con recupero di trenta secondi tra luci ed ombre del solito parco. Ecco l'allenamento di ieri sera, in compagnia degli amici  dell'Atletica leggera.

Pareva un allenamento e basta, dinamico, inerziale. Invece mi sono dovuto piegare sull'essenza d'erba, l'assenza di luce, l'usanza di pregare. Padre nostro che sei nella terra oscura, dentro al pozzo e alla paura, sia fatta la tua volontà superiore alla mia, nella corsa e per la via...

Dalla periferia al centro dell'essere pensiero, agnostico a me stesso. Fibre da sfamare, cartilagini da sopportare, pelle da confinare. Tutto si mette in gioco nello sforzo solo umano di assegnare un obiettivo e motivarsi. Che fatica ritrovarsi...

La nuvolosità del cielo è totale. La forma delle nuvole scompare. Cerco l'unità di misura, quella vera, meteorologica, per il cielo oscurato. Ha un nome molto strano, si chiama "Okta". Ok come "Ok" e ta come tapascione
, il podista chiacchierone. Oktas 8, quindi, era il cielo sopra di me, ieri sera. Oktas O (zero) è il sereno, quello dell'anima che non c'è.

Così chiacchiero senza sostare, nei tanti secondi nuvolosi ed annebbiati che precedono la maratona. Sarà da correre o da rianimare?



4 novembre 2012

La Folle del Ruffini

Il cielo è bianco e grigio un po’ perlato, quasi un camice usurato d’infermiere, o l’uniforme da karate sporca di sudore. Ci sono tredici gradi, ma sembra tutto rigido e invernale più del solito.

Arrivo nei dintorni del Parco Ruffini, qui a Torino, e intravvedo il fermentare anaerobico di centinaia d'atleti pronti a ribollire. Mi avvicino attratto dal fiuto e parcheggio nel primo buco che trovo. Intorno c'è la spettacolare ramificazione dei colori che insegue un orizzonte (di Mandelbrot) verso l'infinito e oltre.

Oggi si corre la tredicesima edizione della gara provinciale FIDAL denominata “La folle del Ruffini". Per me è la prima volta, e mi chiedo perchè folle, ma subito mi do una buona risposta da solo. Mentre approfondisco le cause, vedo Ennio e Diego e mi aggrego.

Dell'Atletica siamo in pochi oggi, e guarda caso neppure mi hanno iscritto. Il Direttivo si attiene scrupolosamente alle regole, senza eccezioni, e le richieste automatiche vanno manualmente inoltrate a tutti gli interessati (evvai!). Le iscrizioni alla competitiva sono chiuse. Mi travesto dunque da clandestino e corro la gara sotto falso nome.

 

Il cielo è ancora bianco e grigio argento, quasi un trofeo luccicante  di carrozzeria Fiat e capigliatura brizzolata del primo Agnelli. Abbasso lo sguardo, e come per magia ci troviamo nella pista di atletica dello stadio Primo Nebbiolo. Calpestiamo gomma Sportflex Super X, il materiale utilizzato alle Olimpiadi di Pechino, color azzurro cielo. Altro che terra! E rimango così, sospeso in un regno animale che regala istinti di competizione e di sfida.

Mi accorgo di essere io solo quando un flebile sparo mette tutti in fuga. Il Garmin si attiva al volo come una Red Bull, e spiego le ali (nel senso dell'importanza del quadricipite in corsa...). Mi raccolgo bene e poi libero la falcata, ma c'è sempre qualcuno più veloce, per almeno un paio di minuti. Sulla scia di Raffaele e Gabriele tocco il primo chilometro, mentre non vedo più il giovane Domenico, già venti secondi davanti a noi. Mi affianca Andrea ed inizia un sodalizio di tre-quattro chilometri, prima io, poi lui, tra una chiacchiera e l'altra; poi lui allunga leggermente e mi assesta una ventina di metri che dureranno fino al traguardo. Bravo Andrea!

Al quinto chilometro mi affianca Gianni e prova ad invitarmi nella scia, ma non riesco a soffrire di più: 3:54 3:58 4:03 4:07 4:08 i tempi fino a qui. Ora cerco la tenuta e chiudo un po' gli occhi per immaginare un'altra corsa, dove il cielo non sia più grigio e l'orizzonte così scuro. Sogno ad occhi aperti e non vedo più il confine dei corpi tra gli alberi secolari, dei volti tra i nastri ad ansimare. Tutto diventa confuso, annebbiato, luminoso. Chiudo la seconda cinquina con: 4:07 4:12 4:15 4:09 e 3:56.

Sul finale, nei 400 metri di pista dello stadio, provo a chiamarmi per nome, a serrare i ranghi delle articolazioni. E' un mediocre intervento, ma alla fine, circa 200 metri dal traguardo, un ragazzo in tenuta arancione della Podistica Torino mi affianca, mi supera: ingaggio la sfida del mese. Ci spingiamo fin oltre le possibilità e arriviamo in volata folle (ecco perchè) uno sopra l'altro, prima lui e poi io, stremati, finiti. Gli stringo la mano mentre è ancora sdraiato che ansima; mi risponde che è un ex-centometrista e mi sorride. Folle io, folle lui, Gian Marco,  ma che bellezza sentirsi così vivi! Il tempo finale è 40:55 per questi 10 km, settantesimo assoluto su oltre trecento giunti al traguardo.

E torno a casa, felice d'essermi conosciuto un po' di più.