30 gennaio 2012

I fiocchi di neve

Nel suo libro: “Che forma ha un fiocco di neve?”, il matematico britannico Ian Stewart spiega come le leggi della matematica trovino espressione nella bellezza della natura, come la somiglianza tra le onde del mare e quelle della sabbia non sia l'effetto di una pura coincidenza. Spiega tante altre cose, e sempre in relazione alla vita sulla terra. 


Quando introduce l’enigma del fiocco di neve, inizia così: 
“Anche a occhio nudo posso vedere che il mio fiocco di neve non è un ammasso casuale. Ha una forma precisa. Se lo osservo con la piccola lente che ho portato con me, vedo un'immagine mozzafiato: è simile a una felce, una felce di puro cristallo. Per essere più precisi, somiglia a sei felci, identiche e unite alle radici. Il mio fiocco di neve è uno sconcertante miscuglio di regolarità e casualità, di ordine e disordine, di configurazioni precise e di baraonda sconclusionata. Ha una simmetria esagonale quasi perfetta, sei copie della stessa figura, ma è una figura che non si è mai vista nella geometria euclidea. Non è esattamente casuale, ma nessun dizionario ne riporta il nome. Quel che si può trovare in un dizionario è la parola «dendrite», che è il termine usato dagli scienziati per descrivere questo genere di figura, però si riferisce a una categoria di figure, non a una figura in particolare. Deriva dal greco e significa «albero». Che forma ha un albero? Una forma ad albero. Un fiocco di neve non è un albero, né una felce, né una piuma. 

È un fiocco di neve ed è a forma di fiocco di neve.  
A fianco del primo, atterra un altro fiocco di neve. Anch'esso ha una simmetria esagonale. Ed è diverso dal primo. Pare che l'espressione «a forma di fiocco di neve» dia per scontata quella che è invece una questione cruciale." 
In realtà, si sa che all’interno delle nubi esistono tre forme di acqua: acqua liquida super-raffreddata, vapore e ghiaccio. Microscopiche gocce d’acqua infatti possono essere raffreddate fino a -40° C prima di congelare. E’ uno stato di equilibrio instabile denominato soprafusione che può verificarsi quando la goccia è in quiete e sottoposta ad un raffreddamento molto lento; basta una minima sollecitazione, ad esempio ad opera di particelle solide microscopiche, per far sì che la goccia si trasformi subito in ghiaccio. Infatti, la nucleazione dei cristalli di ghiaccio in atmosfera inizia con minuscole particelle di pulviscolo. 

Il cristallo è immerso in un ambiente caratterizzato da un gradiente di concentrazione di molecole d’acqua e man mano che esso cresce il gradiente di concentrazione comincerà ad avere un ruolo predominante sulle dinamiche di formazione. Alcune direzioni di crescita sono privilegiate rispetto ad altre e generano i tipici rami del fiocco di neve. Questo tipo di crescita dendritica è un tipico esempio di formazione di una configurazione frattale in sistemi che crescono in situazione lontane dall’equilibrio. Le differenti microscopiche condizioni di pressione, temperatura, umidità e concentrazione di acqua generano fiocchi sempre diversi tra loro. E’ tutto molto complesso: c’entrano il caos, le biforcazioni e le transizioni di fase... 

E’ bello immaginare d’essere anche noi un po’ figli dei fiocchi di neve. E di caos e biforcazioni quotidianamente attraversati, più o meno consapevolmente. A volte, transitiamo e basta su una zolla di terra secca...




27 gennaio 2012

Il terremoto

Quando corro non sento il terremoto, lo produco. Fuori e dentro gli strati di fibre e cartilagini e altro magma ancora (che rivestono le bianche ossa imprigionate nella danza). E’ un cortometraggio stile Walt Disney, dove lo scheletro usa se stesso come xilofono e racconta la paura, il tremore, la follia esilarante della libertà ritrovata. 


Certo per gli insetti della terra che calpesto l’esperienza è devastante. Nel fango, uno tsunami potrebbe cancellare intere popolazioni di microrganismi della cui sensibilità non mi sono mai curato… 

Per gli scaffali che avevo nella testa prima di iniziare a correre, il terremoto è un’onda (sul respiro già ritmato) che sbatte i ripiani sulle ossa parietali. Cadono giù le frasi, i nomi, le parole straniere. I numeri rimangono impigliati nei montanti, dondolano ad ogni chilometro e poi cedono anche loro alla forza oscillatoria e sussultoria della mezz’ora in movimento. 

E’ qualcosa che va sperimentato per essere compreso. Alla fermata, lo spazio interno è più ampio di prima. Le cose rotte vanno sostituite o rilette, e la vita rivissuta daccapo. Questo il significato di una vera corsa. Un terremoto fisico non ben governato e un terremoto non fisico di cui si deve governare ogni particolare sensazione, emozione, gioia ed euforia… 

E sono anche più sereno quando leggo che ieri... 
“sono bastati 5 millimetri per scuotere l'intero nord Italia. Di tanto infatti si sposta ogni anno la placca adriatica, il frammento di crosta terrestre responsabile dei sismi in Pianura Padana e nelle Prealpi Venete. La placca sotto accusa occupa il fondale del Mar Adriatico, ha il suo margine occidentale sul crinale degli Appennini, fino alla punta della Calabria, e confina a nord con quella porzione delle Alpi che attraversa Friuli, Veneto e Lombardia. 
La Pianura Padana in passato ha sperimentato sismi molto forti pur essendo considerata relativamente sicura. Il più violento di cui si abbia traccia risale al 1695 ed è avvenuto nell’Asolano con una magnitudo di 6.6 gradi Richter. Nel Veronese bisogna andare al 1117 con 6.4 gradi. In terza posizione c’è Brescia nel 1222 (6 gradi). In Emilia Romagna il record è stato raggiunto nel Reggiano nel 1832 con 5.6 gradi. Tra Est e Ovest, però, i comportamenti sono molto diversi anche nelle conseguenze. Se le aree centrali della pianura e quelle a Ovest sono tranquille, cioè generano terremoti di contenuta intensità, a Est, in Friuli, la situazione cambia perché in quella zona c’è una convergenza tra le placche da cui si sprigionano movimenti della crosta più violenti. Tutti ricordiamo il terremoto del 1976 (6.4 gradi). 
Prima del terremoto dell´Irpinia il 25% del territorio italiano era considerato a rischio, e quindi doveva adottare determinate misure antisismiche. Questo valore fu portato poi al 70% e innalzato all´80% dopo la strage di San Giuliano di Puglia. Con il risultato che il 70% degli edifici italiani sono costruiti con criteri insufficienti per lo stato di rischio attuale. 
Nel mondo, dal 2001 a oggi si sono verificati undici terremoti catastrofici. E in nove casi il pericolo era stato nettamente sottostimato. Prevedere con precisione i terremoti resta comunque un´impresa al di là della nostra portata.” 


26 gennaio 2012

Il tempo

Quando il passo diventa corsa, inizia il tempo del viaggio. Non è dove si va che conta, ma come si vive il tempo in cui ci si racconta. Come stanno le fasce muscolari, le articolazioni verbali…

Nei racconti spezzati dal fiato, il tempo può essere vissuto come amico, o come acerrimo nemico. La bellezza del viaggio si sciupa nella misura del tempo e nel suo confronto. Con il Garmin, si sale senza biglietto sul Frecciarossa, mentre il controllore alle spalle sogghigna. E poi si paga, o si scappa clandestini da se stessi…

Pellegrini della sera del benessere, aspettatemi! Ho chiuso nel cassetto il mio orologio, e da oggi ricomincio il Viaggio, al battito del mio cuore. Più leggero e impreciso, ma felice di pulsare…

Il tempo sarà quello che basta per arrivare alla fine di una maratona, e sorridere al traguardo nella foto e nel ricordo. Perché non c’è un limite alle cose, finchè non lo mettiamo noi…
“Nei giochi olimpici di Stoccolma del 1912 c’è la storia più curiosa della maratona. E’ quella del giapponese Shizo Kanakuri e del suo “straordinario" tempo finale di 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti e 23 secondi! L'atleta nipponico, accreditato della migliore prestazione mondiale di 2 ore 32 minuti e 45 secondi, era fra i favoriti (la gara sarà vinta con un tempo di oltre quattro minuti superiore). Al 30º chilometro, però, il caldo e l'arsura uniti all'invito di uno spettatore perché si rinfrescasse con una bibita all'interno della sua casa, fecero sì che succedesse l'irreparabile: Kanakuri si sedette nel soggiorno dell'ospitale casa svedese e si addormentò. Si svegliò dopo molte ore e per la vergogna non si fece trovare (tornerà in patria con mezzi di fortuna). Fu dato per disperso dagli organizzatori ed il suo nome non figurò fra gli arrivati, né fra i ritirati. Fu "ritrovato" da un giornalista svedese nel 1962 in occasione del cinquantenario dei giochi di Stoccolma e, cinque anni dopo, gli fu data la straordinaria possibilità di riprendere la "sua" maratona olimpica da dove l'aveva interrotta e di concluderla, finalmente, col tempo che si è detto.”


25 gennaio 2012

Il capitalismo

Mi trovo con un interessante articolo in mano, tratto dal Corriere della Sera di oggi. Lo leggo e mi accorgo d’essere al capezzale di un’idea che ha mosso l’umanità e indirizzato l’evoluzione delle principali società civilizzate. Il capitalismo è sdraiato e appare così, agli occhi ben aperti di Danilo Taino: 
“Non ha mai avuto una faccia tanto brutta e incattivita come oggi, il capitalismo. In pochi anni, è invecchiato e si è irrigidito. Un tempo sollevava speranze, oggi non attrae più e qualche volta repelle. Non è che sia in crisi. È che è così potente da essere insopportabile. Vittima del suo stesso successo, dilagante dopo il crollo del socialismo reale, è diventato il contrario di ciò che ha sempre predicato: invece di liberare forze, come spesso nella storia ha fatto, oggi tende a schiacciarle, a limitare lo sviluppo del nuovo oppure a mangiarselo subito. La crisi finanziaria esplosa nell'autunno del 2008 è stata probabilmente la porta che lo ha introdotto in una sua fase nuova, quella della distruzione, invece che della creazione, della ricchezza.

Il disagio dell'Occidente contro i nuovi capitalisti è molto più vasto: perché, per la prima volta, la classe media sente che le ricchezze accumulate e le differenze sociali sono ingiuste, non meritate, non frutto di imprenditorialità, di premio del lavoro, ma risultato di rendite e di partecipazione ai network del potere e del denaro. Se il capitalismo diventa un club chiuso, ha finito di essere la forza motrice del mondo che è stato per decenni.

Lenin con il sigaro, come fosse un tycoon americano. È questa la copertina dell’Economist, il settimanale britannico che dedica una lunga inchiesta alla crisi e alle trasformazioni del capitalismo.

Il quotidiano finanziario della City di Londra, il Financial Times, dedica articoli e articoli a un dibattito che va sotto il marchio Capitalism in Crisis.

Succede che i vecchi paradigmi sui modelli di capitalismo si sono come dissolti, sembrano non avere più senso: contrapporre il modello anglosassone a quello renano, di gran moda per vent'anni, fa sorridere, oggi che sulla scena il modello crescente è quello centralizzato cinese. In discussione è l'anima stessa del capitalismo. E la domanda che sale, a Occidente come a Oriente, è questa: c'è ancora una relazione creativa tra capitalismo e mercato oppure il primo ha appiattito se non azzerato il secondo?

La globalizzazione ha portato sotto l'ombrello capitalista gran parte del mondo: la Cina, l'India, il Vietnam e quasi tutta l'Asia, oltre che molti altri Paesi un tempo attratti dalle economie pianificate o da modelli caotici, dal Sudafrica al Brasile. In questi Paesi, però, non è stata l'economia aperta a trionfare. Per costruire le loro economie, spesso gli ex Paesi poveri ricorrono alla creazione di enormi aziende controllate dallo Stato - o dal regime come nel caso della Cina. Potenti conglomerate che usano denaro pubblico e agganci politici per farsi spazio nelle economie domestiche e internazionali. Sono le società dell'energia come la saudita Aramco, la russa Gazprom, l'iraniana Nioc, la Qatar Petroleum, la Petrochina che ormai dominano il business del greggio e del gas. Sono le telecom, le imprese di costruzione, le banche, le società minerarie dei Paesi emergenti che, appoggiate e finanziate dai loro governi, stanno dando l'attacco ai mercati internazionali a suon di acquisizioni.

Il fenomeno non è in sé nuovo. Anche la East India Company britannica fu, più di tre secoli fa, sostenuta dalla corona britannica nella sua espansione in Asia e fu funzionale alla nascita del capitalismo. Nuovo è il fatto che queste portentose imprese - capitaliste nella logica ma di Stato nella proprietà - stiano attaccando il modello privato conosciuto finora. E con notevoli successi. A livello globale, nell'energia oltre il 65% delle imprese (in valore) è controllato dallo Stato; nei servizi come acqua, telefoni, luce, oltre il 50%; in finanza il 35% e via dicendo. Tra i maggiori dieci gruppi internazionali per capitalizzazione, già quattro sono controllati da governi: la cinese Sinopec, la China National Petroleum Corporation, la rete elettrica della Cina, le Poste giapponesi. L'80% del valore della Borsa cinese è fatto da imprese pubbliche. In Russia siamo al 62% e in Brasile al 38%. Il legame tra capitalismo e privato, in altri termini, non è più un fatto scontato, anzi: nei Paesi emergenti il capitalismo è una delle facce dello Stato (spesso totalitario).

Il fatto più straordinario è però che lo Stato sia sempre più determinante anche in quella che una volta era la terra del libero mercato, l'Occidente. La crisi finanziaria ha mostrato al mondo l'esistenza di imprese - soprattutto banche ma non solo - così grandi, intrecciate a infiniti settori dell'economia e così potenti da rappresentare elementi di sistema, cioè qualcosa che è privato nella forma (e nei profitti) ma ha una caratteristica pubblica, perché se fallisce crea disastri a tutti. Sono le cosiddette imprese too-big-to-fail, troppo grandi per fallire, che di fatto hanno imposto a tutti l'obbligo di salvarle con denaro dei contribuenti anche quando dovrebbero finire a gambe all'aria.

In altre parole, il capitalismo è sempre più intrecciato allo Stato, a Oriente come a Occidente, nei Paesi poveri come in quelli ricchi. Ciò significa, nella grandissima parte dei casi, corruzione, scambi di favori tra politica e business, formazione di élite cooptate e non fondate sul merito e soprattutto pratiche brutali per tenere fuori dagli affari chi non ha protezioni, con conseguenti barriere alte all'ingresso e limitazioni della creatività e dell'innovazione. In sintesi, nei Paesi emergenti il modello cinese avanza. E nei Paesi ricchi siamo di fronte a un capitalismo che premia poche oligarchie, cresce sulle rendite e così facendo distrugge il capitale…

Zio Ugo

Questa sera è bene correre. Non dico volare, non dico sognare, ma correre. Come uomo normale che si appresta al sorpasso di se stesso, e lo fa per allontanarsi dai pensieri che gli volano intorno come avvoltoi in un grande canyon assolato.

E solo con se stesso, anche se circondato da figli e parenti, è sempre chi si appresta alla morte. Il passaggio al centro ristretto della clessidra è avvenuto, con sofferenza, anche per mio zio. Un uomo fortissimo, ridotto a granello di sabbia. Un esempio di lottatore estremo che ha stupito i medici per un mese ancora dalla loro dichiarazione di fine. Ciò che resta del suo corpo è stato calato nella tomba, nel cimitero di Bussoleno, questo pomeriggio. Ora riposa in pace e il suo spirito può correre di nuovo libero nelle riserve divine della speranza.

Corri zio, corri qui al mio fianco per stasera… E poi diventa memoria per i tuoi cari.
 

24 gennaio 2012

La puzza

La corsa della sera è sempre bella. Rilassa, tonifica, ma a volte puzza. E più fa freddo più derivati fenolici e odore di bruciato e polverina nera si mettono a galleggiare nell’aria, dentro il mio naso, e su fino al rivelatore molle della puzza. 

Ad ogni giro mi ricopro di micro ceneri, e stasera è peggio delle altre. Non bastavano gli idrocarburi e il particolato e le polveri dai mille nomi che le automobili, gli autocarri e le motorette sempre in viaggio lanciano dentro tutte le fessure della cancellata del parco… Questa sera il peso della puzza d’altro è insopportabile. 

Penso alle mascherine, ma la cosa mi nausea. Penso allora al PM10, all’NOx e al benzene che d’inverno s’accresce proprio per colpa delle caldaie senza regole. Nei transitori d’accensione e spegnimento sicuramente si rilasciano le peggiori specie di sostanze inquinanti, incombuste. Ci vorrebbero “marmitte catalitiche per caldaie”, oppure semplicemente passare al metano. E’ possibile fare qualcosa? E poi tossire (meno) qualche incentivo (in più)… 

Ho letto da qualche parte che: 
“il 30% degli impianti di riscaldamento di una città italiana è alimentato a gasolio. Le caldaie a gasolio sono responsabili dell’80% dell’inquinamento da riscaldamento e hanno lo stesso potere inquinante dei mezzi diesel, responsabili delle emissioni di black carbon, la componente più tossica del PM10. Il riscaldamento incide per il 20% (su base annua) sull’inquinamento atmosferico e per il 40% durante l’inverno. In media, è responsabile del 32% delle emissioni di poveri sottili. Sostituendo tutte le caldaie si ridurrebbe di un terzo la fonte di inquinamento. Invece di belle parole come protocollo di Kyoto, ai sindaci basterebbe una delibera per tagliare di un terzo le emissioni di smog. 

I vantaggi del metano? Permette un risparmio energetico del 30% e inquina 10 volte meno del gasolio. Sostituire le caldaie (da gasolio a metano) è praticamente a “impatto zero” dal punto di vista economico: le aziende ormai offrono piani di ammortamento per l’acquisto dei nuovi impianti che permettono ai condomini di pagare le rate delle caldaie nuove, insieme al riscaldamento. O meglio, pagando il riscaldamento i condomini spendono un pochino di più rispetto al solito, acquistando un impianto il cui costo sarà ammortizzato (con una minore spesa per il riscaldamento) nel giro di 4 o 5 anni. A ciò si aggiungono sgravi fiscali pari al 55% (ancora per il 2012). E questo creerebbe centinaia di posti di lavoro…”
Certo i tesserati d'Atletica dovrebbero reclamare un incentivo: i polmoni sono loro, ma sono messi a disposizione giornalmente e gratis per la pulizia ed il filtraggio dell'aria collettiva e cittadina...

Basterebbe un euro a chilometro. Sarebbe una pensata buona anche per il ministero della salute! 
Italiani, investite in BCP, Buoni Corsa Pluriennali!


20 gennaio 2012

Le previsioni

L’altro ieri Cassius Clay (Mohamed Ali) festeggiava settant’anni e alla radio “proiettavano” le tappe del suo tour de force internazionale di pugni incrociati, mascelle colpite e giri intorno all’avversario, “leggero come una farfalla e pungente come un’ape”... 


Un’altra frase del pugile, ricordata da Rino Tommasi, mi ha colpito di striscio quasi ferendomi: incontro del 1 ottobre 1975 nelle Filippine, tra Ali e Joe Frazier. “La cosa piu’ vicina alla morte che abbia mai vissuto. Siamo andati a Manila come due campioni, io e Joe, siamo tornati come due vecchi uomini” raccontava Ali riferendosi a quel match… 
...

Questa sera, nella fredda normalità della corsa, sono veloce come una lepre della Manciuria. Inizio a pensare, ma all’improvviso incrocio le scarpe e mi piego su una radice poco sporgente. Tutto si trasforma in disarmonici suoni interni ed esterni, e verbi all’infinito degli arti, aperti come andare a quel paese abbracciando l’umidità della terra sotto e sopra il cielo… 

Rido e mi rialzo subito alla ricerca di un guanto, quasi fosse un guantone perso sul ring e penso d’essere già stordito per nulla. Neanche una capriola. Una sbandata solitaria e qualche macchia di fango sulle ginocchia dell’orgoglio… Caspita… chissà come doveva essere il match di Manila… 

Poi riprendo a correre più veloce di prima, ma ho ancora una gamba quasi tremolante. Rallento un pochino e mi rilasso. La strada si allarga e si allunga e posso pensare ad altro. 

Caccio fuori una previsione. E’ qualcosa che veramente potrà avvicinare l'uomo alla morte più di tante altre sventure. E’ il programma di potenziamento nucleare cinese, sospeso dopo l'incidente di Fukushima, ma pronto a ripartire con la costruzione di nuove centrali. Una dozzina di centrali in fase di costruzione e altre venticinque quasi completate. 

Così il Dragone potrà vincere sul ring, con la follia dell’energia difficilmente controllata e sfidare, oltre la Grande Muraglia, i 373 gigawatt prodotti ogni anno nel mondo dal nucleare. 

Le previsioni sono spaventose: 80 gigawatt entro il 2020, che nel giro di un paio di decenni trasformerà la Cina nel principale produttore di energia atomica del pianeta. 

Ma potrebbe essere solo l'inizio. Alcuni esperti del settore stimano che, entro la metà del secolo, per tenere il passo con i suoi consumi di energia, Pechino dovrà costruire altre 200 (se non addirittura 300) nuove centrali nucleari. Se questa prospettiva dovesse concretizzarsi, entro il 2050 Pechino si ritroverà con 400 gigawatt di potenza nucleare installata, cioè un terzo della capacità atomica mondiale complessiva prevista per quella data dalla International Energy Agency. 

Ecco la cosa più vicina alla morte, una radiazione per tutte le generazioni a venire…

19 gennaio 2012

Il solare

Di seguito un estratto dell'articolo "Quel bene comune chiamato sole" pubblicato su il manifesto di oggi. Il solare potrà diventare essenziale. E speriamo che lo diventi!

Il vantaggio competitivo tedesco nei confronti dell'economia italiana risiede in misura preponderante nel formidabile attivo della Germania negli scambi internazionali di merci e servizi, a differenza del passivo dell’Italia. In molti suggeriscono di risalire la china, riconvertendo il sistema economico e sociale del paese per disporre di merci esportabili, contenenti più innovazione di prodotto, oppure di produrne attraverso processi più efficienti.

Sommessamente suggeriamo un'altra via. Quella di imitare sul serio i tedeschi, ma nella loro transizione alle energie rinnovabili e al contemporaneo abbandono delle energie fossili, nucleare compreso. Questo percorso è quello che un autore, un vero e proprio scienziato-politico, Hermann Scheer, sociologo, ha descritto per intero nel suo ultimo libro, Imperativo energetico pubblicato alla fine del 2011 nei Kyoto Books delle Edizioni Ambiente. Il tema è riassunto nelle frasi che completano il titolo originale: «100% rinnovabile ora! Come realizzare la completa riconversione del nostro sistema energetico».

L'avvocato del verde Scheer, salutato come «avvocato del sole», «eroe verde», se ne è andato nell'ottobre del 2010. Il suo ruolo non è stato soltanto quello di pensare il futuro «rinnovabile» e di scrivere libri per spiegarlo e renderlo familiare ai tedeschi e agli altri, in Europa e nel mondo, ma anche quello di costruire una straordinaria opera di convinzione, attraverso associazioni come Eurosolar.

Scheer ha operato senza tregua nella sfera politica, utilizzando in parlamento, nel suo partito, l'Spd e anche nelle amministrazioni delle città e dei Länder, ogni spazio consentito. Alla ricerca di scelte concrete e di leggi per rendere il mondo «rinnovabile» pratico, vantaggioso e convincente. L'imperativo energetico va letto come un programma molto concreto per coloro che continueranno la sua opera e si dedicheranno alla riconversione energetica della società, o meglio alla rivoluzione sociale praticata attraverso il cambio di paradigma energetico.

L'energia di origine solare deve sostituire del tutto e al più presto quella oggi utilizzata che è quasi interamente di origine fossile. Per Scheer non vi sono mediazioni possibili, le lungaggini risultano intollerabili; non si può accettare compromessi, soluzioni pasticciate. Le grandi imprese tradizionali del gas, del petrolio, elettriche, atomo compreso, mostrano ormai per lo più un atteggiamento tollerante nei confronti delle energie rinnovabili. È falso. Fingere di fare spazio alle novità è una mossa che consente di mostrarsi alla moda, serve per dare una patina di eleganza a un mondo energetico ancora e sempre dominato dalle energie fossili.

Il solare e il fossile sono modelli del tutto alternativi, anche da un punto di vista economico. Non ci sono capitali sufficienti per entrambi, una vera politica di sviluppo per le rinnovabili implica che i fondi disponibili per l'energia siano tutti messi a disposizione di quel progetto, escludendo ogni scelta diversa. Non un altro soldo, non un altro metro quadro di territorio all'espansione dell'energia da petrolio, carbone, gas, nucleare. Le loro reti, i loro giganteschi impianti sono arrivati alla fine. Non si deve rivitalizzarli con nuovi capitali, con altro spazio, con riedizioni di concessioni amministrative.

Occorre finalmente calcolare l'economia dell'energia fossile, non trascurando i costi addossati nascostamente alle comunità. Solo così si potrà giudicare se i costi effettivi dell'energia tradizionale siano o meno più alti degli incentivi al solare. Attualmente i media proclamano che questi ultimi hanno costi esorbitanti sulle bollette, ma il più delle volte i conti provengono direttamente dagli uffici studi delle società elettriche e simili e quindi sono poco attendibili. Gli interessi vitali delle compagnie energetiche sono difesi senza equivoci.

Scheer non ha avuto modo di conoscere la scelta del governo tedesco di chiudere interamente il capitolo del nucleare, entro il 2022. Egli ne avrebbe di certo apprezzato l'indirizzo generale, pur criticando qualche compromesso di troppo.

L'energia che serve nasce da un mix di tutto quello che c'è, a partire dalla cultura, dalla conoscenza della storia e di chimica e fisica, e poi il sole, il vento, le scorie agricole, l'acqua; il risparmio ottenuto con i materiali progettati per i nuovi edifici e le nuove macchine, fatte in modo da consumare il meno possibile. Tutto questo e il denaro necessario per mandare avanti la ricerca di macchine, sistemi, materiali sempre più adatti a catturare la forza del sole saranno presto sufficienti a coprire tutte le esigenze energetiche dei viventi in una zona determinata.

Si apre il confronto fondamentale: c'è un'energia rinnovabile, solare, che è anche locale, cittadina, cresce sui tetti e lungo i muri, è controllabile da vicino, è sempre sostituibile, si può ripararla, è facile da cambiare e da migliorare, senza interrompere il servizio; non costa troppo, anzi diventa concorrenziale se la si lascia vivere e al tempo stesso non si facilita l'ipotesi energetica contraria: un bene comune, insomma, per il quale si devono costruire, giorno per giorno le condizioni. Un modello di società in cui tutte le persone sono «costrette» a discutere, a scegliere un modello di vita, a elaborare un progetto comune per raggiungerlo: a fare, un giorno dopo l'altro, la democrazia.
                                                                  (Guglielmo Ragozzino, il manifesto 18/01/2012) 

Il riscatto

Anche questa sera i miei appunti di corsa per la vita eleggono il capitano a fenomeno sociologico da approfondire. La voce è quella del giornalista Aldo Grasso che dal "Corriere della Sera" illumina il tramonto di un mito. Di seguito, un estratto del suo ottimo articolo di oggi. 

         Grazie, Capitano
Quando ci vuole ci vuole. Ci sono espressioni che, pur usurate dalla quotidianità, conservano una loro volgarità di fondo. Ma in circostanze come queste, quando l’intontito comandante della Concordia sembra non rendersi conto del disastro che ha combinato, assumono persino un che di nobile, quasi fossero l’ultima risorsa della disperazione. La drammatica telefonata tra Francesco Schettino e il capitano di fregata Gregorio Maria De Falco della Capitaneria di porto di Livorno è forse il documento che meglio testimonia le due anime dell’Italia. Da una parte un uomo irrimediabilmente perso, un comandante codardo e fellone che rifugge alle sue responsabilità, di uomo e di ufficiale, e che si sta macchiando di un’onta incancellabile.
Dall’altra un uomo energico che capisce la portata della tragedia e cerca di richiamare con voce alterata il vile ai suoi obblighi. In mezzo, un mondo che affonda con una forza metaforica persino insolente, con una ferita più grande di quello squarcio sulla fiancata.
Il capitano De Falco fosse stato sulla nave sarebbe sceso per ultimo, come vuole l’etica del mare. Al telefono non può che appellarsi al bene più prezioso ed esigente che possediamo: la responsabilità personale. Ogni volta che succede un dramma la colpa è sempre di un altro, persona o entità astratta non importa. Eppure la responsabilità personale - quell’insieme di competenza e di senso del dovere, di cura e di coscienza civica - dovrebbe essere condizione necessaria per ogni forma di comando, in terra come in mare. E invece le nostre miserie e le nostre fragilità ci indicano sempre una via di fuga, ben sapendo che il coraggio rende positivi anche i vizi e la viltà rende negative le virtù. 
 
Quella frase «Vada a bordo, cazzo!» («Get on Board, Damn it!» così tradotta nei tg americani) è qualcosa di più di un grido di dolore, di un inno motivazionale, di un segnale di riscossa. Il naufragio è uno degli archetipi di ogni letteratura perché illustra i rischi dell’esistenza umana nel corso della «navigazione della vita». Esso rinvia agli atteggiamenti fondamentali che si assumono nei confronti del mondo: in favore della sicurezza o del rischio, dell’estraneità o del coinvolgimento negli eventi, del ruolo di chi sprofonda e di chi sta a guardare dalla terraferma.
Ma ci vuole un grido che scuota e ci infonda coraggio, che, ancora una volta, ci richiami alle nostre responsabilità. Ecco perché vorremmo, in ogni occasione, per chi guida il Paese o per chi fa semplicemente il suo mestiere, ci fosse qualcuno come il capitano De Falco che ci richiamasse perentoriamente all’ordine. Vada a bordo, e quello non ci è andato (ora è a casa agli arresti domiciliari in attesa che la giustizia faccia il suo corso e che la coscienza gli ridesti il senso dell’onore). Due uomini, casualmente due marinai campani, due storie: l’una che ci umilia, l’altra che tenta di riscattarci. Grazie capitano De Falco, il nostro Paese ha estremo bisogno di gente come lei.
         Aldo Grasso, Corriere della Sera, 18 gennaio 2012 

18 gennaio 2012

La vergogna

Le immagini della “grande balena spiaggiata” del Giglio parlano di morte, angoscia, dispersi, inquinamento, stupidità, atti di coraggio, infamia. Urlano contemporaneamente al mondo, come dal mercatino della Forcella di Napoli, l’illegalità degli straordinari costumi italiani… 

Vergogna, pubblica gogna! Basta con gli arresti domiciliari a chi si merita gli onori della cella, perché fatto di pasta d’un Capitano di sventura…

Gita al Giglio 
Ricorre il secondo anniversario del terremoto di Haiti. Nella prima settimana arrivarono, al resort di Labadee, a centotrenta chilometri da Port-au-Prince, epicentro del disastro, quattro grandi navi tipo Concordia; ognuna portava in giro per i Caraibi tremila gitanti, ognuno dei quali aveva diritto alla sua razione di divertimento; aveva pagato per questo. Le navi avrebbero potuto offrire un sollievo a centomila terremotati; ma disgraziatamente essi non avevano prenotato. 
Passarono tre mesi; un po' più su, nel Golfo del Messico, esplose e s'incendiò la piattaforma petrolifera Bp, Deepwater Horizon: undici vittime, disastro ambientale, milioni di barili di petrolio in mare, molti miliardi di dollari i danni accertati. Il governo Obama, commosso, prima sembrò vietare le prospezioni lungo le coste atlantiche, poi tergiversò, infine ammise che la conquista dello spazio, ogni spazio, anche e soprattutto quello marino profondo, doveva continuare. L'altissima torre, prima di finire negli abissi, aveva girato il mondo, piano piano, dal cantiere coreano in cui fu varata al Golfo finale. Ne arrivarono altre. Un lungo percorso, degno delle imperscrutabili leggi del capitale. Il versamento di greggio, si sospetta, e le riparazioni saranno poi serviti ad aumentare il pil Usa e degli stati rivieraschi, dalla Florida alla Louisiana, al Texas. 
Il pil del Giglio, o quello in generale dell'Italia aumenteranno anch'essi, per l'urto della Concordia con gli scogli di granito del Giglio? Lo diranno i tecnici, capaci di non distrarsi per le bellezze dei luoghi, di computare ogni vita per quello che vale, in termini attuariali, non affettivi. Per sicurezza, per evitare ogni contraccolpo, a parte l'emozione, prevedibile ma di breve durata, alla City di Londra e a Wall Street, dove è quotata la società Carnival, cui fa capo Costa Crociere, già si conteggiano i danni e le riassicurazioni, il gasolio versato e quello recuperato, i risarcimenti alle famiglie delle vittime, le possibili class action e la pubblicità, non necessariamente solo negativa. Tutto lascia presagire che le crociere continueranno, con forse un po' di cautele in più, per qualche tempo. Anche qui da noi la conquista dello spazio deve continuare; e la governance italiana sembra convinta che una Grande Nave sia in sostanza una nave spaziale come tutti hanno imparato a conoscerne nelle «Guerre stellari» di Hollywood; invece di raggiungere Alpha Centauri, costeggia il Giglio e attraversa Venezia; ma è sempre una bella, insperata avventura. 
A conti fatti, sembra siano millequattrocento le navi di stazza gigante che si infilano a Venezia, nel canale della Giudecca, in un anno. La follia è di casa in Italia. La follia aumenta perché alle obiezioni sollevate si è risposto che una rotta diversa dev'essere stabilita dagli armatori all'unisono; altrimenti nun se pò ffa, come dicono a Roma.
Nel mare di follia galleggiano stupidità, incompetenza, vigliaccheria. Se è questa la cifra nazionale e non si prevede di cambiare e nessuno si batte per questo fine, per ritrovare impegno e moralità pubblica, allora hanno davvero ragione quelli che contano di andare in gita ad Alpha Centauri. 
(il manifesto, 17/01/2012)

17 gennaio 2012

Il capitano

Il capitano di una nave è più di un comandante. E’ una figura rapita dalla mitologia e dalla letteratura, dalle cronache di pace e di guerra; un esempio, un modello e forse un sogno. C’è una sorta di capitano in ognuno di noi, che sovente evochiamo per farci guidare nella realtà…
Se gli antichi Romani avevano Palinuro, il mitico pilota della nave che conduceva Enea e che morì colpito dal dio del sonno (narra Virgilio), nel mondo moderno abbiamo Herman Melville che ha inciso nell’immaginario la figura del capitano Achab, comandante del Pequod, la baleniera che caccia Moby Dick (la grande e simbolica balena bianca). Achab significa “il padre è fratello” e rimanda a una relazione con Dio. Nel IX secolo prima della nostra era ci fu un Achab re d’Israele che nella Bibbia passò alla storia come il peggiore degli idolatri perché si lasciò trascinare dalla sposa Gezabele al culto delle divinità straniere. Il comandante di Melville ne eredita l’aspetto negativo perché mostra meglio di ogni altro gli idoli che noi moderni inseguiamo con ostinazione.

Anche un capitano inflessibile fino alla crudeltà attira una qualche simpatia: è il caso del comandante William Bligh che fu al centro del più celebre ammutinamento della storia, quello del Bounty, una fregata mercantile della marina britannica, con 28 cannoni, che salpò nel dicembre 1787 diretta a Tahiti. Sulla vicenda si sono girati molti film, e c’è anche un racconto di Jules Verne, ma quel che rende orgogliosi gli inglesi è che il capitano Bligh, costretto dai ribelli ad abbandonare la nave, riuscì comunque a raggiungere la colonia olandese di Timor percorrendo oltre 3600 miglia nautiche con una semplice imbarcazione di fortuna, pochi mezzi e 47 giorni di viaggio, stabilendo un record ancora imbattuto.

Molti comandanti coraggiosi. Quello del Titanic, Edward Smith, che nell’aprile del 1912, dopo la collisione con un iceberg nel nord dell’Atlantico, affondò con la sua nave, in meno di tre ore. Quello dell’Andrea Doria, Piero Calamai, che nel luglio del 1956, dopo lo scontro con la Stockholm, rifiutò di mettersi in salvo… E il capitano Shackleton: lui merita un racconto a parte. Nel 1914 scrisse: "si cercano uomini per un viaggio pericoloso. Bassi salari, freddo intenso, lunghi mesi di tenebre, rischio costante, ritorno incerto. Onori e riconoscimenti in caso di successo". Era la conquista dell'Antardide. Si salvarono tutti...

In ogni capitano, infine, la cultura occidentale tende a evocare riflessi dell’Ulisse di Omero. C’è sempre un’isola da raggiungere, si chiami Itaca o assomigli a un sogno. C’è continuamente qualcosa o qualcuno da sfidare…

C’è o forse c’era “quel” Capitano. Oggi il mito si è infranto sulle coste di un’altra Itaca, pallida come un Giglio illuminato dalle luci di un tramonto di significati. Il tramonto del fascino di un condottiero dalle mille patrie, confuso in un ruolo troppo grande e troppo serio per il mondo circostante.


Un capitano, quello della Concordia, Francesco Schettino di Castellamare di Stabia, che merita la gogna mediatica, l’insulto della gente, ed anche uno sputo generazionale...

15 gennaio 2012

Il motivatore

Roberto Re è un formatore, un motivatore, un personal-coach. E' fondatore di HRD Training Group. Decine di migliaia sono le persone che hanno partecipato ai suoi corsi. 
Nel video sotto riportato (visibile con google chrome) ci ricorda come sia decisivo, per qualsiasi miglioramento, uscire dalla propria zona di comfort e iniziare ad esplorare... 



Solo dopo essere cresciuti, se è necessario, si può tornare da dove si è partiti...

14 gennaio 2012

No nukes


In Giappone e altri paesi orientali quello appena iniziato è l'anno del dragone, animale di fantasia e d'aspetto minaccioso che i giapponesi considerano un protettore contro le afflizioni della vita.

Circa diecimila persone sono attese (da domani) a Yokohama, la città portuale confinante con Tokyo, per partecipare a due giorni di «Conferenza globale per un mondo libero dal nucleare» organizzata da sei associazioni antinucleari giapponesi, tra cui Peace Boat e Greenpeace Japan.

«Come nel secondo dopoguerra quando i migliori scienziati si sono dati alle ricerche di fisica nucleare sperando di trovarvi la ricetta per riportare il benessere nel paese, ora dobbiamo raccogliere tutte le nostre risorse per trovare una soluzione alternativa al nucleare» dice Akira Kawasaki, uno degli rappresentanti di Peace Boat.

Nonostante le recenti dichiarazioni tranquillizzanti del governo di Tokyo, a Fukushima l'allarme è ben lontano dal rientrare, a dieci mesi dall'incidente. Anche negli ultimi giorni si è registrato un sensibile aumento della presenza di cesio nella zona.

Un apposito spazio - la Fukushima Room - è stato allestito per dialoghi tra gli abitanti e chi vuole offrirgli un sostegno. E «partire da Fukushima» è il motto dell'iniziativa: pensare al futuro senza il rischio di ripetere la tragedia, attraverso la conoscenza approfondita della realtà dei fatti e la solidarietà con le vittime.

Da Fukushima, infatti, è cominciata tra ieri e oggi la visita degli ospiti stranieri: una cinquantina di attivisti, vittime-testimoni del nucleare, politici e scienziati provenienti da una trentina di paesi sparsi in tutti i continenti. La delegazione più numerosa viene dalla vicina Corea del Sud, dove ci sono 21 reattori nucleari, al secondo posto l'Australia, terzo produttore mondiale di uranio.

Un tema che attirerà l'attenzione sono le iniziative popolari in corso in Giappone per chiedere un referendum consultivo sul nucleare. Per la società giapponese, ancora abituata a delegare le decisioni ai dirigenti politici, sarà impresa irta di ostacoli, ma la conferenza sul «mondo libero dal nucleare» servirà comunque a favorire la presa di coscienza e la circolazione delle informazioni.
(fonte: il manifesto del 13/1/2012)

13 gennaio 2012

Il presente

In un sutra, Buddha raccontò una parabola:
« Un uomo che camminava per un campo si imbatté in una tigre. Si mise a correre, tallonato dalla tigre. Giunto a un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l'orlo. La tigre lo fiutava dall'alto. Tremando, l'uomo guardò giù, dove, in fondo all'abisso, un'altra tigre lo aspettava per divorarlo. Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite. L'uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l'altra spiccò la fragola. Com'era dolce! »



Riesco appena ad immaginare il coraggio spietato, e quello normale. Il coraggio dei soldati americani durante l'offensiva delle Ardenne, la successiva ritirata e l'assedio da parte dei tedeschi a Bastogne. Alcuni soldati della 101ª Divisione Aviotrasportata (Airborne) appartenenti ad unità gravemente compromesse vennero riuniti in una nuova unità (ai comandi del generale McAuliffe) che venne nominata Task Force SNAFU. 
SNAFU è l’acronimo di Situation Normal, All Fucked Up, ed indica che qualcosa è andato male, come al solito. Risale al gergo dei meccanici durante la seconda guerra mondiale, ed in particolare ad un colloquio tra due militari, Don Taylor e Johnny Paup dell'Army Signal Corps americano, di stanza a Camp San Luis Obispo nel 1941. 
L’origine, tuttavia, risale a prima della guerra e al gergo tecnico dei riparatori di telefoni: qui si usava la parola FUBAR dal significato simile (Fucked Up Beyond All Recognition) durante i controlli tecnici alle cabine telefoniche, dove l'acronimo risultava utile per comunicare in tempi brevi con la centrale anche su linee poco funzionali.

12 gennaio 2012

Il rifiuto

Spesso il corpo si rifiuta di collaborare e il ritmo di gara declina inesorabile verso tempi lontani da quelli moderni. Il film della corsa si inceppa negli ingranaggi della fatica e sciupa tutte le buone intenzioni accumulate poco prima della partenza.

Il rifiuto di andare oltre è un’abitudine dura a morire. Mi accompagna ad ogni inizio allenamento, coccola l’orologio poco prima e poco dopo ogni beep chilometrico, facendomi pesare il suo sguardo indiscreto di coscienza di uomo maturo.
Ma questa sera ero preparato all’inganno e sono riuscito a distrarre il mio vigile apparato di controllo: ho cambiato direzione di corsa e introdotto, per la prima volta, un concetto molto simile, credo, a quello delle “ripetute”. Ho iniziato con un giro del parco (un chilometro) in senso orario, alla massima velocità o quasi, informando il centro del pensiero che sarebbe stato una tantum. Dopo il beep leggo: 3’33”, ma invece di fermarmi proseguo, lasciando l’acceleratore e riposando l’affanno incipiente fino al termine del secondo giro (4’43”); poi mi fermo per 1 minuto a camminare di lato inoltrandomi nel centro del parco. Ripeto la sequenza (giro veloce, giro lento e recupero) per quattro volte, partendo sempre dallo stesso punto, con giri orari alternati ad antiorari… Una bella confusione per il mio vecchio cervello, ma non per il mio nuovo Forerunner210. Gli altri tempi veloci sono eccellenti (per me): 3’39”, 3’44” e 3’55”.

Ho condannato il mio corpo alla sentenza della suprema Corte di volontà per i rifiuti in gara e in allenamento, qualcosa che suona di liberatorio, proprio come questo articolo di oggi preso da “Il Sole24ORE”:

Italia condannata per i rifiuti in Campania
Strasburgo apre le porte ai ricorsi per l’inquinamento causato dai rifiuti in Campania. E lo fa con una sentenza di condanna all’Italia depositata ieri (ricorso n. 30765/08), con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato che le autorità italiane hanno violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti per l’incapacità dello Stato di provvedere alla raccolta, al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti. Per i giudici internazionali, il deterioramento ambientale in sé può causare una violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo, anche se non è dimostrata l’esistenza di un danno diretto per i ricorrenti. La vicenda ha preso il via dall’emergenza rifiuti in Campania iniziata nel 1994. I 18 ricorrenti di Somma Vesuviana si erano rivolti alla Corte europea. Il governo ha messo in campo una debole difesa sostenendo che i ricorrenti non potevano essere considerati vittime perché non avevano subito un danno diretto alla propria salute. Ma i giudici internazionali, per la prima volta, sono andati oltre, riconoscendo l’esistenza di un diritto a vivere in un ambiente salubre non solo a coloro che abitano in modo stabile in una determinata zona, ma anche a chi vi lavora senza averne la residenza.

Era ora! E’ ora di lottare contro il rifiuto di pensare (che non possa esistere) un mondo migliore…

Ora (Jovanotti)
Dicono che è vero che quando si muore poi non ci si vede più
dicono che è vero che ogni grande amore naufraga la sera davanti alla tv
dicono che è vero che ad ogni speranza corrisponde stessa quantità di delusione
dicono che è vero sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione
per non farlo più, per non farlo più
ora
dicono che è vero che quando si nasce sta già tutto scritto dentro ad uno schema
dicono che è vero che c'è solo un modo per risolvere un problema
dicono che è vero che ad ogni entusiasmo corrisponde stessa quantità di frustrazione
dicono che è vero sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione
per non farlo più, per non farlo più
ora
non c'è montagna più alta di quella che non scalerò
non c'è scommessa più persa di quella che non giocherò
ora
dicono che è vero che ogni sognatore diventerà cinico invecchiando
dicono che è vero che noi siamo fermi è il panorama che si sta muovendo
dicono che è vero che per ogni slancio tornerà una mortificazione
dicono che è vero sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione
per non farlo più, per non farlo più, ora

non c'è montagna più alta di quella che non scalerò
non c'è scommessa più persa di quella che non giocherò
ora, ora, ora, ora…

Che testo, è un sogno: anche fosse vero, non sarebbe giustificazione per non farlo più, ora...

11 gennaio 2012

La condivisione

La condivisione è fantastica quando è festa, passione, progetto, amore. Un po’ meno in altri casi, ma è comunque sostanza della vita, tempio della costruzione dell’uomo.
Al giorno d’oggi la gente sa il prezzo di tutto, ma non conosce il valore di niente, diceva Oscar Wilde.
Come prima cosa dobbiamo imparare ad essere uomini, ovvero riconoscere il valore della condivisione e prendere i bisogni del proprio fratello come misura per le proprie azioni, senza mai dimenticare che gli altri esistono in noi, come noi esistiamo negli altri, che il nostro desiderio di felicità include la felicità degli altri.

«In molte culture indigene del Nord America, la generosità è un aspetto centrale del comportamento nel sistema economico e sociale. Un esperimento informale ha esaminato cosa accadeva quando alcuni bambini provenienti da una comunità bianca e una comunità lakota ricevevano due lecca-lecca ciascuno. Tutti i bambini mangiavano subito il primo; poi però i bambini bianchi mettevano il secondo in tasca, mentre i ragazzini delle comunità indigene offrivano il loro a chi non ne aveva ricevuto neanche uno. Non meraviglia che la cultura possa condizionare il modo in cui le riserve vengono accumulate e distribuite, stabilendo, per esempio, che il risparmio debba essere socialmente prioritario rispetto alla condivisione; ma l’esperimento ci rammenta anche che l’opposto del consumo non è la parsimonia, bensì la generosità»
(Raj Patel, Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo)

Il mondo è pronto ad accogliere nuovi modelli, più adeguati ai bisogni reali della gente, che poggiano sulla coesione, sull’unità delle persone e sulla loro interdipendenza. Le nuove parole chiave saranno: rivalutare, ristrutturare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare.

«La società della crescita e del benessere non realizza l’obiettivo proclamato della modernità, vale a dire la massima felicità possibile per il massimo numero di individui. La classifica della britannica New Economics Foundation (non governativa) ha elaborato un indice della felicità (happy placet index) che ribalta l’ordine classico del Pil pro capite e anche quello dell’indice si sviluppo umano (Isu). La classifica vede in testa il Costa Rica, seguito dalla Repubblica Dominicana, dalla Giamaica e dal Guatemala. Gli Stati Uniti vengono soltanto al 114° posto. Questo paradosso si spiega con il fatto che la società cosiddetta «sviluppata» si basa sulla produzione massiccia di decadenza, cioè su una perdita di valore e un degrado generalizzato sia delle merci, che l’accelerazione dell’«usa e getta» trasforma in rifiuti, sia degli uomini, elusi e licenziati dopo l’uso, dai presidenti e manager ai disoccupati, agli homeless, ai barboni e altri rifiuti umani. La teologia utilizzava un bel termine per indicare la situazione di chi non era stato toccato dalla grazia: derelizione. L’italiano, più religioso, sceglie un termine più laicizzato di uso quotidiano e parla di «disgraziati». L’economia della crescita ha la derelizione come motore e moltiplica i «disgraziati». In effetti, in una società della crescita quelli che non sono dei vincenti o dei killer sono tutti più o meno dei falliti. Al limite, nella guerra di tutti contro tutti, c’è un solo vincente, dunque un solo challenger potenzialmente felice, anche se la sua posizione, di necessità precaria, lo condanna alla tortura dell’ansia. Tutti gli altri sono votati ai tormenti della frustrazione, della gelosia e dell’invidia. Così come si impegna nel riciclaggio dei rifiuti materiali, la decrescita deve interessarsi anche alla riabilitazione dei falliti. Se il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto, il miglior fallito è quello che la società non genera. Una società decente non produce esclusi»
(Serge Latouche, Come si esce dalla società dei consumi)

Se il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto, il peggior sorriso è quello che viene negato, e così il peggior abbraccio, e il peggior bacio. Una società indecente produce gli esclusi, le isole e le mareggiate.

  

7 gennaio 2012

Il movente

Ho capito che l’Atleta è una persona psicologicamente sana. E’ per questo che ha bisogno di un movente per agire in allenamento, in gara, nella vita. Che sia insoddisfazione, aggressività, ansia o soltanto per il piacere di sentirsi vivo. Tutti i movimenti sportivi nascono da uno o più stimoli, uno o più moventi.

Il mio movente non è fisico; su di esso ho deciso di riflettere con pazienza e determinazione, proprio come un ricercatore d’oro dell’American River. Questa riflessione e questa ricerca sono i miei allenatori, le mie necessità di vita.

Nella squadra si parla spesso di allenamento fisico, ci si trova per correre e confrontare tempi e distanze. Si parla meno di allenamento tecnico, di abilità da affinare in particolari situazioni. Non si parla mai di allenamento tattico, ma questo è normale nella corsa individuale. Del più importante, a mio avviso, si sorvola per timore d’osservare un’area privata, quasi una zona militare: è l’allenamento mentale, l’unico in grado di fare la differenza nel vincere o perdere la gara con se stessi, con la propria consapevolezza di uomo e di atleta.

Lo sport è impastato di pensieri, emozioni, comportamenti: un filo rosso lega i nostri istinti, la nostra razionalità, le nostre convinzioni, le nostre azioni. In una parola, lo sport è anche mente.

L’allenamento mentale è detto mental training e utilizza tecniche che spingono l’Atleta a conoscersi meglio, a dare espressione alle proprie capacità, a migliorare il livello dell’autostima, a scoprire come corpo e mente possano interagire in modo ottimale.

Immaginazione (imagery)
Immaginare o visualizzare ciò che si desidera ottenere permette di orientare la mente verso la direzione scelta, di creare un riferimento e una guida per l’inconscio.   

Pensiero (self talk)
Comunicare con il proprio mondo interiore, controllare i pensieri attraverso auto-istruzioni, commenti, immagini o sentimenti. Dare vita ad un dialogo tra sé e sé nei frangenti decisivi o più difficili. Come parlarsi e cosa dirsi è decisivo: esistono parole stimolo che vanno ad agire sulla concentrazione, sulle emozioni, e permettono di accedere a stati mentali potenziati, incrementando la propria fiducia (durante lo sforzo).

Obiettivi (goal setting)
Sapere dove si vuole andare, come arrivarci e in quali tempi. Una definizione sistematica dei propri obiettivi è molto motivante e dà buone ragioni per entrare in azione, muoversi ed allenarsi, oltre a ridurre le incertezze, i fattori distraesti e quindi la dispersione di energie psico-fisiche.

Concentrazione (focusing)
Saper fare pienamente contatto con il momento che si sta vivendo nel presente. L’attenzione è posta sul qui e ora. Chi è nel presente vive in un flusso di attività spontanea, con eccitazione, creatività, inventiva. Se i sensi sono all’erta, occhi e orecchie bene aperti come nei bambini piccoli, si trovano sempre delle soluzioni.

Rilassamento
Le tensioni fisiche e mentali devono essere prontamente controllate. Gestire le proprie paure e le ansie, prima, durante e dopo qualsiasi attività. E’ determinante capire come si percepiscono le manifestazioni di stress o di ansia e come canalizzare e indirizzare questo tipo di energia per trasformarlo in stimolo al miglioramento. Esistono metodi fisiologici di rilassamento muscolare, metodi psicoterapeutici, di respirazione creativa (luci, colori, odori)

Attivazione (arousal)
Essere capaci di attivare funzioni psico-fisiologiche che permettano di accedere alle risorse energetiche dell’organismo. Si tratta di vitalità, prontezza, vigore, forza. Energia fisica che influenza quella psichica e viceversa. Allineamento e sintonia tra corpo e mente. Occorre allenarsi ad incrementare il livello di attivazione dell’organismo attraverso la ricerca dei fattori personali e situazionali che agiscono da attivatori e l’identificazione della propria combinazione fisiologica-cognitiva-emotiva ideale.
(informazioni da: www.umanamente.eu)

Questa sera, nella corsa, ho iniziato a sperimentare la tecnica del parlare al mio mondo interiore. Fino a ieri ho cercato di capire la respirazione e combinarla con il conteggio dei passi. Oggi qualcosa di decisamente più potente è entrato a far parte del mio viaggio al centro dell’essere. Ho immaginato di stare al comando di una biga romana e di sentire il tiro di due cavalli (il corpo e la mente), di usare una frusta di parole su di loro, su me stesso, parole di incoraggiamento alla spinta e al salto. Ho provato nuove sensazioni, e la forza di un'altra mano nella mia...      

Alla fine, il Garmin ha registrato il record personale sulla distanza. E’ quanto basta per andare a domani.