30 marzo 2014

Asti West

Non so bene perché... sarà l'uscita Asti Ovest, l'euforia a bordo pista, ogni sorta di corsa, i colori e le bandiere pronte a sventolare, tutto a cielo aperto, accessibile e vicino alla sofferenza del cowboy, del gauchos che cavalca senza sella il suo cavallo, il suo toro contro il tempo... ma questa di Asti, più che una staffetta da 24x1 ora, m'è sembrata una piroetta da rodeo...


Nel pre-ludico di casa
Nel pre-frazione

Enzo invoca il Presidente
Sente lo spirito degli Arancioni

Si moltiplicano le forze multicolori
Il mio cavallo è stato buttato nella mischia alle 18 di ieri sera, ma era già stanco, affamato ed acciaccato ad un ginocchio, prima d'esser cavalcato.

A pensarci bene, rodeo deriva dallo spagnolo e significa recintoLa pista ci ha costretto in un recinto, e la corsia ha esasperato quel pensare la corsa come libera scoperta della traccia

Ogni minuto e mezzo o poco più, le cose uguali e regolari, le lancette d'orologio, il tappeto rosso che rassicura, il giovane atleta che sorpassa mentre pensi sorpassando d'essere a buon punto. Essere doppiatore di una voce sinistra e doppiato sulla destra, sbilanciato nei toni e negli umori... 

La corsa di massa in una pista è proprio faticosa...

Il ginocchio mi impedisce di saltare come vorrei, ma poi mi è mancato il fiato e non penso ci siano altre scuse. Ho fallito l'obiettivo. La pista mi eccita, mi logora, e così sono partito come sempre per i primi 400 metri che sento cari da una vita. Non m'accorgo dell'andatura e così al primo chilometro sono già quasi senza fiato. Anche il secondo è troppo veloce. E dal terzo inizio ad arrancare. Proprio là dove avrei dovuto pensare come gestire, inizio a sentire il fondo della pista secco e duro come un blocco di cemento di quarant'anni o forse più...

Al sesto ho perso ogni speranza e saluto Alain che mi doppia con aristocratica eleganza. Mondovì, penso. Mondo cane che figura, e poi rallento. Intanto Micky, da ogni parte salutato, ricciolino spericolato, mi doppia per la non so più che volta... Una via crucis. Una certezza sconfortante che a breve sarei stato disarcionato. Ecco, nel rodeo ci sono adesso io che avrei voglia di buttarmi giù nel prato a dissetare quest'anima imbustata...

Così inseguo quel che resta della sera, terminando l'ora di fatica. Che bello quando appare l'ultimo giro, ed è finita. Il tempo riprende a scorrere normale, sento Alessandro che mi rassicura e mi incoraggia. Ha tenuto accesa la mia debole speranza; poi si china, mi aiuta e mi sfila il chip per il prossimo a partire. La quinta frazione è terminata, ma altre diciannove sono in coda. E grazie Enzo, grazie Salvatore... 
Saluto senza sentire più alcun rumore...

Due gazebo

Le meravigliose offerte della Podistica

Solo una piccola parte delle bontà

Già pronta per la Festa!
La Podistica Torino, anche oggi, è una macchina perfetta! Ogni dettaglio è curato anche nella staffetta.

Alla fine, il mio contributo alla Squadra A (che arriverà sul podio, terza) è stato il minore: 14,44 km percorsi in un'ora. Mi consola l'esser comunque arrivato a meno di 100 metri dal penultimo di squadra, anche se a 1800 metri dal primo fortissimo Davide Elifani.


Una bella esperienza la prima volta in una griglia da podista, ma alle matrici preferisco le funzioni; alle cornici, i quadri ed i paesaggi da esplorare. 

Scelgo il cortometraggio mozzafiato o la maratona da inventare. Nel mezzo del cammin non mi va più tanto di sostare. Mille metri o cento chilometri sono i due estremi che vorrei ricucire. Appena suona ancora la campana, non vedo l'ora di partire!


Le sei squadre della Podistica

27 marzo 2014

Tendenza

23 marzo 2014

Buca

Da qualche giorno zoppico. I miei passi sono incerti; vago nell'intorno delle traiettorie più brevi che si presentano. Buongiorno traiettoria, oggi vado un po' di qua e un po' di là, sperando di evitare tangenti dolorose e derive del ginocchio. 

Ci studio sopra. La stabilità del ginocchio è dovuta principalmente a quattro legamenti, due collaterali e due crociati. I collaterali sono l'esterno (o laterale) e l'interno (o mediale); i crociati sono l'anteriore (sotto la rotula) e il posteriore (quello che mi fa male). 

Focus ginocchio

Un piede in una piccola buca nascosta dall'erba, chiacchierando, e via: ecco una bella iperestensione del ginocchio che senza il freno del legamento crociato posteriore (LCP) m'avrebbe consegnato a terra con un bel (ginocchio) recurvato, come quello che si vede in certe costituzioni un po' strane.

Per fortuna il legamento crociato posteriore è il più forte dell’articolazione del ginocchio. Il doppio dell'analogo anteriore, in termini di resistenza alla rottura. Il suo ruolo funzionale è quello di contrastare le forze di traslazione posteriore della tibia sul femore, opporsi all’iperestensione dell’articolazione del ginocchio, limitare la rotazione interna e l’iperflessione, nonché contenere i movimenti in varo e valgo.

Mi convinco, non sarà degno di letargo...

Ecco i due legamenti crociati (vista dal posteriore)
Oggi, però, molto tristemente, rinuncio all'incontro con me stesso e con il passato podistico.

A Pavarolo la Podistica Torino ha organizzato una gara con grigliata, e l'Atletica La Certosa ha in calendario proprio quella (grigliata). Il meteo avverso ha contribuito a peggiorare il morale, fino al limite delle basse nuvole, anche se oltre è già sereno... 

La testa è senza freno. E la prossima avventura sarà la 24 per un'ora di Asti, frazione numero cinque, sabato prossimo. Recupererò? Dipende, subito dopo ritornerà l'ora legale e si dormirà un'ora di meno. Ho capito, recupererò senza recuperare. Pistaaa!

20 marzo 2014

Ostara

L'equinozio di primavera è adesso, giovedì 20 marzo 2014 ore 16:57.

Che momento, che presenza! Mi alzo e vado alla finestra per i prossimi tre minuti. Mi collego a whatsapp e lo scrivo sul gruppo degli amici dell’Atletica Certosa. Ecco, vado. Mancano ancora cinque minuti?

Allora, vediamo… tutti sanno che il Sole oggi si trova allo zenit dell'equatore, che il periodo diurno e quello notturno sono uguali, che i raggi solari giungono perpendicolarmente all'asse di rotazione della Terra…  Qualcuno sa che l'equinozio di primavera nell'emisfero boreale è anche detto punto vernale o punto dell'Ariete… Ma pochi, pochissimi sanno che l'equinozio di primavera sta alla dea Ostara (*) come questo nome sta (sopra) all’ideologia nazista. Più o meno…

Infatti Ostara era una sorta di divinità pre cristiana. In realtà era il nome con cui veniva denominato l'inizio del lavoro nei campi con la semina: quanto di più importante per la sopravvivenza. Ostara, per gli antichi celti, era conosciuta come Alban Eiler cioè Luce della Terra. Era dunque l'inizio della primavera. E i celti la festeggiavano facendo banchetti a base di uova e di lepri, simboli della fertilità (ecco la tradizione di festeggiare la Pasqua con le uova; per gli inglesi, pasqua è "easter", evidentemente derivato da Ostara; il cristianesimo si è mangiato tutto…).  

Tutto bene per secoli, finché un folle, un certo Jörg Lanz von Liebenfels, nel 1900 fondò in Austria una confraternita antisemita di nome “Ostara” che sosteneva esistesse una razza ariana superiore. Fu lui uno dei principali ideologi della dottrina del nazionalsocialismo tedesco. Cinque anni più tardi nacque la rivista “Ostara”, dalle cui pagine Liebenfels diffuse e difese le sue incredibili, farneticanti, pazze teorie.

Ora mi chiedo se basta un uomo cretino a screditare una dea. Certo che no, per fortuna, come non basta un gesto cretino a cancellare un’idea. Un click su whatsapp, una gran primavera...  
  



(*) In realtà Ostara si dovrebbe scrivere “Oestara”, con il dittongo iniziale “Oe” difficilmente pronunciabile. Dunque “Oe” si semplifica in “O”.

19 marzo 2014

Big Ball

Alla fine non ho resistito. Qualche giorno fa hanno dichiarato d'aver "rintracciato" le onde gravitazionali... Sconvolgente! Devo almeno lasciare un post. Un posto nell'anima è già caldo.

Lì per lì non ci credo ancora! Qualche anno fa sarei impazzito di curiosità. Oggi mi basta leggere qualche articolo, e provare qualche brivido (cosmico). 

Il Big Bang mi affascinava già da bambino, quando chiedevo cos'era il Sole a mio padre, a mia madre. A mio fratello no, m'avrebbe fatto scoprire un big-schiaffone; lui usava più le mani che la lingua: costruiva e poi distruggeva, trasformando tutto in energia oscura.

Certe particelle, però, non si disintegrano mai. Sono i ricordi. Certi palloni si sgonfiano. Altri si maneggiano, e si gioca la partita della vita. Finché prima o poi si fa canestro...

***

La teoria del Big Bang, atto di nascita dell’universo, trova una parziale conferma che il mondo scientifico attendeva da tempo. I ricercatori dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Boston hanno annunciato di aver scoperto le impronte delle onde gravitazionali primordiali.

Grazie a un telescopio a microonde posizionato al Polo Sud, hanno osservato i segnali della repentina dilatazione dell’universo, durata una piccolissima frazione di secondo.

Marc Kamionkowski, fisico: “Questi segnali erano l’anello mancante della cosmologia, qualcosa che pensavamo dovesse esistere senza esserne davvero sicuri perché li cercavamo da quasi vent'anni”.

Albert Einstein fu il primo a postulare l’esistenza delle onde gravitazionali, ormai un secolo fa, nella sua teoria della relatività generale. Ma nessuno era ancora riuscito a misurarle direttamente, nonostante diversi esperimenti che avevano quell'unico obiettivo.

Se l’annuncio degli scienziati statunitensi sarà confermato, avremo la verifica sperimentale dell’ipotesi della cosiddetta inflazione cosmica: vale a dire la dilatazione esponenziale dello spazio-tempo.

Mordecai-Mark Mac Low, astrofisico: “L’universo si è dilatato, passando dalle dimensione di un atomo a quelle di un pallone da pallacanestro, in una piccolissima frazione di secondo. E’ la teoria dell’inflazione cosmica, che è stata ipotizzata per trent'anni. E adesso quell'ipotesi è stata confermata”.

Ora diversi gruppi di ricerca si daranno da fare per cercare di replicare i dati raccolti. Se ci sarà una conferma, un premio Nobel sembra garantito.




16 marzo 2014

Correndo-Cross-Errando

Tesi:           Sbagliando non s'impara 
Antitesi:   Imparando non si sbaglia
Sintesi:     Sbagliare è umano, imparare (errando) è divino

"Sbagliando non s'impara" è una tesi di Michele Dotti. Nel sottotitolo del suo libro si legge: "E' grazie ai successi che cambia il mondo e cambiamo noi". La provocazione è buona: "Se fosse vero che sbagliando si impara, come ci hanno sempre ripetuto, dovremmo essere tutti perfetti. Invece continuiamo a ripetere gli stessi errori, senza neppure troppa fantasia. Questo accade perché in realtà è solo dai successi che nasce il cambiamento, a tutti i livelli: personale, sociale, culturale…"

Senza tante storie, questa mattina ho deciso di correre un minuscolo cross, uno qualunque, quello della mia vecchia squadra. Era il primo Cross organizzato dall'Atletica La Certosa, nata dalle ceneri della Podistica Grugliasco nel novembre 2009, nel parco Dalla Chiesa di Collegno.

Si corre in un grande prato verde (dove nascono speranze)

"Imparando non si sbaglia" è la mia antitesi. Più che ovvia. Non è detto che non si sbagli più, ma non si sbaglia mai a voler imparare (dai propri errori). Una qualche spinta a crederci arriva da una visione ottimistica della vita. Qualcos'altro arriva dalla necessità di sopravvivere. E questo vale soprattutto nel mondo animale (l'ho potuto osservare direttamente con il cane-topo che mi sono ritrovato in casa, in addestramento para-militare). 

Dopo i saluti ci siamo ritrovati in mezzo al brivido, sotto l'arco giallo gonfiato a salamino d'aria e più su, sotto il sole dello stesso colore, in mezzo a raggi luminosi di respiri mentali. Tra questi la voce di Domenico, a riflettere sull'importanza del primo chilometro in gare brevi e campestri come quella di oggi. Ma neppure così, neppure appena ascoltato, ho imparato ad ascoltare. E quindi mi sono bruciato, chiudendo la prima frazione in 3:47, troppo veloce per le mie possibilità...


E così ci sono momenti nei quali le antiche regole della speculazione filosofica, della dialettica (da Socrate fino a Hegel, quelle che fanno di un semplice enunciato e di un altro che lo contraddice gli ingredienti per una bella torta, la sintesi) si infrangono sull'anima podistica del pivello.

"Sbagliare è umano, errare è divino" è ancora un capitolo del libro (Tesi). Qui si ricorda che sbagliare ed errare non sono sinonimi. Lo sbaglio è conseguenza di una mancanza di attenzione, di una offuscazione della vista prodotta da qualcosa che attrae l'attenzione e fa prendere una cosa per un'altra (dal latino “varius” che significa cangiante, abbagliante). In piemontese, però, si condannano le povere oche: "A l'è l'oca ca capiss ciò per broca". Comunque, sbagliare si può tradurre con “distrarsi”, “non prestare attenzione”. Che è qualcosa di assolutamente umano, ma certo non aiuta ad imparare alcunché.

Errare invece significa andare vagando, senza sapere dove, senza consiglio, da cui i termini errante ed errabondo, ovvero colui che vaga qua e là in luoghi diversi. Questo è un modo naturale ed efficace – caratteristico in particolare dell’infanzia- che ci fa conoscere mediante l’esplorazione e l’esperienza diretta. Come sosteneva Gandhi: “Un genitore saggio permette al figlio di fare degli errori. E’ un bene, per loro, che di tanto in tanto si brucino le dita.” 

Combinare le idee è l'essenza della creatività, ed è determinante per migliorare la nostra vita. Errare dunque, alla ricerca di qualcosa. 

Ecco, io stamattina erravo nel prato, anche zigzagando a volte tra le buche scelte appositamente per sbaglio. E così, errabondo, ho disatteso le raccomandazioni di Domenico, le mie, quelle dei bruchi. Il secondo chilometro in 3:55 poteva mettermi in guardia sul calo. Il terzo in 4:06 tracciava la salita al purgatorio dei successivi tre chilometri a 4:16 ciascuno, un altipiano dissestato e deserto di pensiero, dove porgere al nemico la mia fragilità...

Ho chiuso (abbattuto) in 23:56 (5850 metri da Garmin). Sbagliando, imparando ed errando insieme. Continuerò così?


Amici della Certosa: Marcello, Lorenzo, Raffaele, Giuliano, Domenico, Ennio, Vito, Gianni, Andrea e Damiano
  
Appena arrivati al traguardo i primi tre assoluti (al centro Domenico)

Un selfie ristretto per noi (a fine gara)

10 marzo 2014

Maratonina del Lago Maggiore 2014

Domenica 9 marzo 2014, sul Lago Maggiore, lo stato maggiore della Podistica Torino ha dato, come sempre, il meglio di sé.
(Giancarlo il Presidente)
Una "perfetta macchina organizzativa" ci ha guidato serenamente attraverso i tempi ed i luoghi delle fasi evolutive dell’ homo orange, podista molto Sapiens. Reclute, soldati, graduati delle truppe arancioni. Ed ufficiali al comando senza esitazioni...

Tre pullman, per oltre centocinquanta iscritti della Podistica. Alle 7:15 si parte da Torino. Alle 9:15 si arriva a Verbania. Proprio di fronte alla Villa Giulia, dove si ritira la sacca per gli indumenti personali ed il pettorale. Senza code né attese, grazie al magistrale lavoro della Squadra che ha curato la distribuzione per i propri iscritti, addirittura per gruppi di cognomi.

Poi ci si cambia a gruppetti, nel soleggiato tepore mattutino che riscalda il praticello di questa maestosa Villa Comunale (un tempo Kursaal, Casa di Ritrovo del Forestiero, e ora sede del Centro Ricerca Arte Attuale). In pochi sanno che qui si digeriva, di fronte al lago, nelle fresche estati festaiole, a suon di Fernet. Perché in origine, la Villa era la casa di Bernardino Branca, l'inventore dell'Amaro famoso (il Fernet Branca), voluta da lui intorno al 1850 (Giulia ne era la nuora).



(Villa Giulia)
Ci si veste in stile Liberty, con la facciata della Villa rivolta verso il Lago e le nostre facce sparse, a volte comparse di propri fantasmi da sfidare, come dice Lorenzo.

Gli attimi prima della partenza sono puntine da disegno di stati emotivi. Si tengono in una mano o si innestano sul pettorale. Si controllano le puntine degli altri sorridendo a denti stretti, anche per qualche brivido di freddo. Qualcuno sembra non provare emozioni, ma è solo una maschera. 
Dietro la pelle, il sangue ribelle irrora tumultuoso ogni forma di pensieroSi è soli con il proprio destriero...

(Oltrepassare il Lago)
Il pelo d'acqua luccica e fa pensare alle vacanze. Poi si entra nelle griglie e tutto sparisce. Si diventa quell'unica entità selettiva sulle frequenze portanti, lo speaker, il garmin, i cori ed i canti. Si conta, in quel tempo che scorre più lento del normale. Si diventa importanti. Allo sparo si accende il fuoco sacro non appena la scarpa davanti agli occhi infiamma la sua gravità, e si solleva dall'asfalto.

Da qui in avanti si proietta un film del tutto personale. Senza sceneggiatura, senza inquadrature fisse, a volte scoordinato, ripetitivo fino alla noia di sequenze ravvicinate e insistenti, sfocate. Di rumori di apparati respiratori, di aspirapolveri fuori giri, di sirene e di ambulanze che vanno e vengono ad assordare quel pezzo di vita che sta tra la sofferenza e l'appagamento e che rimbalza tra le due cose troppo spesso per non condurre ad un esausto finale di contesa.

Parto vicino al triatleta Callegari, pettorale 203. La sua struttura è quasi perfetta. Lo tengo a vista, per i primi cinque o sei chilometri, ma pian piano si allontana e si dilegua. Mi ritrovo in mezzo a successivi gruppi colorati. Il tempo si richiude sulla propria isotropia quando al quindicesimo chilometro, nel bel mezzo della strada che porta al traguardo i primi kenyani, all'ora esatta che scocca solenne e agli applausi amplificati dal tripudio e dalle casse di grandi altoparlanti, vedo il Pimpe. E lo saluto, mentre lui ride e ricambia girandosi nella mia direzione, quella opposta al traguardo.


Perché la bellezza di questa mezza maratona è la striscia di 3+3 chilometri di strada che si percorre in direzioni opposte, sulla stessa carreggiata, prima di arrivare al traguardo. Così si vedono quelli che stanno arrivando alla propria sinistra (due o tre metri) e che hanno già corso fino a 6 chilometri in più, a scalare... Stratagemma per la psiche e scenografia di interminabili saluti, sorrisi e smorfie frontali di cui nutrirsi per interminabili minuti...
(Lo sprint finale)
 
Alla fine arrivo anch'io! Supero un altro triatleta. Sono 169 esimo su 2027 concludenti. Fierissimo del mio personale, alla terza mezza maratona ufficiale della carriera podistica: 1:26:55. Tre minuti sotto il tempo del precedente dello scorso anno (già cinque minuti in meno della prima).

(E' andata, Raffaele)
Un abbraccio a Gianni che arriva silenzioso alle mie spalle di soli 10 secondi! Un abbraccio a Raffaele, poco dopo e poi ad Andrea e ai nuovi compagni della Podistica Torino che 
inizio a riconoscere: Stefano che arriva con me in volata, Gabriele che ha ceduto negli ultimi tre chilometri un paio di minuti, Salvatore che lavora nello stesso mio palazzo, Andrea, Roberta, Barbara, Giancarlo che è il presidente, Vincenzo che ha il Caminito Cafè, Alberto che si prepara al prossimo ultratrail, Fernando che deve sistemare il suo calcagno... quelli che ricordo.

Ci si rifocilla e si finisce sopra una tovaglia. E poi, non è questo il vero traguardo? La vera medaglia?


(Gli Amici della Certosa, tra cui Marco e Silvia)
(Diego, Silvia, Gianni, Raffaele, Marco, Ennio ed io)





(Gira e rigira...)

(L'imbarco per l'Isola Bella)


(Pronti a rientrare)













8 marzo 2014

LMHM



Domani lungolago da cruciverba. LMHM = Less or More Human Mind. 
Domani, più o meno, la mente umana si divertirà a correre tra migliaia di specchi soleggiati. Ad occhi chiusi arriverò pure al traguardo senza resa. A Stresa, sarà anche il mio miglior tempo? Sicuramente il mio tempo migliore. Speso come vorrei. Ripagato. Ripiegato nel migliore dei mondi possibili...

Hurrah

4 marzo 2014

IX miglia di Bra

Orange Uniform

Bra è un bel paese. 50 km a sud di Torino e 50 km a nord-est di Cuneo. 

I Longobardi chiamavano "Brayda" ogni proprietà terriera adibita a pascolo esteso. E così, anche per contrazione di quegli originari prati erbosi, la nuova toponomastica si è fermata a "Bra", abbandonando il resto ad una nuova umanità, fino alla novità di una "nove miglia" alla ennesima edizione. Novità per me, non per gli appassionati del podismo piemontese.

Mi ritrovo così in arancione, in mezzo ad altri 1100 cuori pronti al battimento, al palpito cardiaco, al movimento. In strada, le zolle dell'asfalto in moto accelerato. In mente, le montagne da trail in Colorado, le montagne di Anton Krupicka, nella natura rocciosa e ancora più arancione della mia divisa.

Le sensazioni profonde sono tanto diverse. L'ambiente è un'altra cosa. Ma la spinta evolutiva che sta alla base dell'impresa è sempre uguale. Le montagne ci sono, sono bianche, piccole, lontane; il sole crea le cornici più abbaglianti e il piatto della strada batte in testa. Mi sforzo di trovare l'aria musicale nel respiro. Inutile ogni tentativo di pensare. I primi chilometri sono veloci come lepri del deserto. Poi si curva alla frazione Cà del Bosco e tutto prende fiato.

La Podistica Torino si distingue nel tracciato. E' sempre tra il rosso e il giallo dello spettro del visibile. Tanti, sparsi, avanti e indietro. A gruppi sorridenti. Giubbe arancioni accese, come i tifosi della gloriosa Pistoiese. La squadra è organizzata. E' efficiente. Da primato.

Mi sintonizzo anch'io sulla lunghezza d'onda dei seicento nanometri (l'arancione) e partecipo alla spremuta generale, al saliscendi intermedio, al ritorno nel Paese ed allo strappo, tra gli applausi, sul finale. Qui con disonore un certo "red" il rosso (626 di pettorale) mi supera sul traguardo senza avvisare. Complimenti, hai vinto un mandarino.

Comunque la corsa è stata magistrale. Qui ricordo i miei tempi al chilometro, da carnevale: 3:59, 3:55, 3:54, 4:01, 4:01, 4:05, 4:05, 4:15, 4:13, 4:14, 4:05, 4:09, 4:24, 3:58, 3:55, 4:01p.




Selfie con Carlo