29 aprile 2015

Il confine

Il confine è di questo corpo. E così rimbalzo come un insaccato di carne intrisa di rosso e di tramonto dietro il cancello della casa che costeggia l'allenamento della sera. Una lunghissima frase e la serata è sconfitta, ma l'idea, nella sua forma, è sconfinata...

Questa sera è così aperta, così piatta, che mi toglie una dimensione; mi fa dimenticare che respiro, che sollevo, mastico e fatico con la ruggine addosso del tramonto che non vuole più tramontare. Mi allungo l'orizzonte a piacimento e dimentico che esiste la materia; le pietre sono lì, ma non le vedo. Le sorvolo. 

E' così bello girare con la fantasia nelle tasche o sotto la lingua, pronta a sorreggere la fatica che prima o poi si presenta. Sono un corpo di fantasia. La carne lentamente cede i suoi confini all'avventura di un fiore che nel vento vuole superare la finestra, poi il tetto e infine la mia visione del mondo. E cede al moscerino che mi entra nella palpebra dell'occhio, annerendo la visione di un emisfero. Sono un corpo che si scorpora da sé per entrare nelle cose che circondano i miei sensi. 

Ecco la parola che galleggia nell'aria ogni sera e che non riesco mai respirare: "eidos", e-i-d-o-s, in greco εἶδος, è la natura interna di una cosa, il nucleo invisibile; è ciò che causa ad una cosa quel che è, cosa è, e senza la quale quella cosa perde di significato. Ma non riesco mai a capirlo fino in fondo. Non potrò mai essere un filosofo. Più mi sforzo, lo ripeto, e meno entro nel fiore; meno entro nel moscerino, che invece è un gran filosofo perché già dietro l'orbita del mio occhio sinistro.

Eidos, lo dico e lo ripeto pensando ai mantra di chi soffre. Eidos, scolpisco la parola che già significa "forma", "aspetto" e di per sé assume la forma che uno desidera. Senza aspettare, la sformo. Forse è proprio quello che fece Platone quando si inventò questa sua parola. Giocava con le formine, con la sua filosofia bambina. Certo sarei stato attratto dalla creazione parallela di qualche parolina. Eidos, ehilà, come sta? 

Senza coscienza di ciò che accade mentre corro non c'è essenza nella corsa. E' per questo che ho rallentato ed iniziato a misurare la vita che non racconto. A cifrarne le sequenze per intuire cosa c'è che non posso essere. Cosa l'immateria oscura vuole disfare da me, facendomi sputare per ore e sperare di ottenere. 

Ancora non so quando finirà questa ricerca. Ora trovo solo parole e spiagge dell'antica grecia. Il sole è sempre alla fine della strada e non vuole tramontare; anzi, non può farlo perché non è ancora l'ora di rientrare... 



28 aprile 2015

Ali

Poi ritorna il sole sulla vita che rimane a ripensare quel battito d'ali, a colmare. L'abisso che tortura non è paura; s'aggira accecando il desiderio d'infinito... Mi ritraggo scosso sul momento e apro gli occhi e spengo il nero che diffondo. Evapora anche la saliva, quella mia: sulla terra non posso più sputare; e così sia.  


27 aprile 2015

Il vuoto d'un istante

Fuori il vuoto è nero; esattamente come dentro. E' più denso dell'inchiostro. Non si può strizzare e non si può capire; scivola dalla fessura, si fa respirare piano riempiendomi di buio. Non so che fare, circondato dal nulla immobile e silenzioso che ormai è diventato ciò che sono, così ombra all'improvviso da non poter attraversare più nessuna strada senza cadere nell'oscurità di questa fine. E m'accodo attorcigliato; attorcigliato a due occhi spenti.

(gatto animato)
P.S.: Dedicata a Giampaolo, amico, ex-collega, scomparso improvvisamente. 

26 aprile 2015

Soul running

Non stavo pensando, correndo, al solito dualismo. L'andatura era di quelle più che tranquille. Quasi annoiate. Piatte. Le ondine della stradina ripulita del parco scodinzolavano intorno ai miei occhi privi di salite o discese da affrontare. Era piattume. Piattumera.

L'odore nauseabondo di questo neologismo aveva di colpo risvegliato l'imperfetto dell'anima. Indicativo di una simultaneità di sensi e di stimoli trasversali che andavano traducendo il linguaggio del corpo in quello delle cose immateriali del pensiero. Il solito dualismo...

Il corpo doveva muoversi. La mente evadere, oltre i sensi inarcati dai chilometri e l'immoralità dell'anima, in una sorta di era preistorica e platonica. L'immortalità è immorale...  ma il concetto greco era stato già iniettato nella tradizione giudaico-cristiana, da Platone. La memoria mi allontana... 

Le parole con cui l'antropologia biblica descrive l'uomo sono parole ebraiche, si sa. Sono state tradotte in greco ed hanno assunto un altro significato, quello che apparteneva alla filosofia platonica appunto. Ce ne sono quattro fondamentali che non posso dimenticare.
Un colpo di tosse e libero la gola. Nefes. Questa parola ebraica dell'Antico Testamento venne resa in greco con "psyche" e con "nous"; in latino con anima (755 volte). Ma "nefes" è una parola che designa l'indigenza dell'uomo, i suoi bisogni: gli storici sanno che la parola più affine è "gola", l'organo di nutrizione attraverso cui ci si sazia. Che inganno...
In cielo, un asino che vola. Basar. Questa seconda parola ebraica venne resa in greco con "soma" e in latino con carne (273 volte). La parola "basar" non è mai riferita a Dio, in ebraico. Carnivori latini...
Un colpo di vento, sbando. Ruah. Questa terza parola ebraica venne resa in greco con "pneuma" e in latino con spiritus (389 passi). La parola "ruah" è sempre riferita a Dio, in ebraico. Spiritosamente latini...
Non sento più il battito cardiaco. Leb. Questa quarta parola ebraica è l'espressione antropologica più frequente (ricorre 858 volte), riferita quasi sempre all'uomo. Venne tradotta in greco con "kardia" e in latino con cor (cuore).
L'uomo dell'Antico Testamento non conosceva il dualismo antropologico tra anima e corpo che ha conquistato il mondo greco. Semmai conosceva un dualismo cosmico, dove non esiste un'anima naturalmente buona e un corpo naturalmente cattivo...

Uno scatto e supero di cattiveria questi concetti. L'andatura diventa spinta propulsiva. L'uomo del mio testamento è quello che sa d'essere "una tessera d'un mosaico geniale"...

Un frammento di disegno dalla forma ondulata per l'incastro nella vita (il disegno, l'anima; la forma, il corpo) possono sembrare solo un gioco. Ma un gioco da eroi... per dirla con i Negrita.



21 aprile 2015

Trail me up



Ho scoperto che "Trail me up" è uno "street view" dei sentieri, ed è italiano. E' ancora povero, ma è bello. Spero che possa ampliarsi e coprire in qualche modo tante valli da esplorare con l'immedesimazione visiva, almeno per chi non può recarsi in modalità più "sensibile"...

Trail me up suona come una sveglia, come wake me up degli Avicii. E si addice alle mie condizioni al contorno, e alle soluzioni reali della vita. 

So wake me up when it's all over 
When I'm wiser and I'm older 
All this time I was finding myself 
And I didn't know I was lost 

Traduzione: 

Svegliatemi quando sarà tutto finito 
Quando sarò più saggio e più vecchio 
Per tutto questo tempo stavo trovando me stesso 
E non sapevo che mi ero perso

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Ora che sono più saggio e più vecchio mi accingo a ripartire così: 

- 30 maggio 2015: Montesoglio, 35 km, 2000 D+
- 7 giugno 2015: Monteservin, 31 km, 1900 D+
- 28 giugno 2015: Chaberton, 25 km, 2000 D+
- 12 luglio 2015: Tre rifugi Valpellice, 34 km, 2200 D+
- 6 settembre 2015: Thabor: 30 km, 2600 D+
- 20 settembre 2015: Oulx, 48 km, 2800 D+


L'ultimo (Oulx) sarà una seconda chance. 

Potrei canticchiare "trail me happy", oppure "trail me far away"... Per fortuna so che non mi perderò più. 

20 aprile 2015

Dualismo

E’ domenica. Si corre tanto per allenare o tanto per cambiare. Come cambia l’aria, che espone i contrasti della materia al giudizio affrettato di chi è più veloce. Del muretto che si sbriciola alla luce che lo scalda, e sbianca. Del rumore profumato che la marmitta solleva di rosa dai petali accumulati sull’asfalto. Più veloce del gusto di sé stessi, nell’intorno della propria saliva. Del gusto di pensare a qualcos’altro. 

Una salitella, e la bocca si stringe intorno ai denti, chiudendo il vuoto sterminato di pensiero. Poi si scende poco poco e c’è l’aggancio ideale con la terra: si sente l’erba che taglia il vento della memoria ritrovata, e si ferma il tempo.

Appare un vecchio libro: “Il lupo della steppa” (di Hermann Hesse) che racconta del contrasto tra lo spirito e l’istinto, due macigni della psicologia e della sua analisi. Il lupo della steppa sono io. Lo sei anche tu, quando corri per ritrovare te stesso. “Come corpo ognuno è singolo, come anima mai” scrive Hesse. E l'esperienza della realtà, nella corsa, è singolare. E’ fisica, ma plasma per istinto anche lo spirito. 

E’ l’esperienza, in generale, che permette alla mente di comprendere la realtà. E l’esperienza di peso solleva la leggerezza di pensiero. Scuote come una tovaglia il dualismo mente-corpo umano. Le briciole, disumane, cadono alla portata di animale... 

E' l'istantanea di questo allenamento. Un autoscatto, tanto per osservare la superiorità dell'istante che è passato a mangiarsi il reale e l'immaginario. Una zampata di gatto? 


Autosgatto reale

Autosgatto immaginario

16 aprile 2015

Lenti allenamenti

Ieri sera Gabriele mi ha fatto da “spacciatore di lenti”. Si correva per le solite strade, tra polvere e catrame, con le “pupille abituate a copiare” di grigio in grigio, al palo d’un mondo che si sgretolava sul tramonto, veloce e sofferente.

E’ così che ho sentito d’improvviso la corsa senza traccia, dentro, di verde cresciuta, come erbaccia. In mezzo all’idea di libertà e di respiro c’era già la canzone di De Andrè che m’aspettava:

"Non più ottico ma spacciatore di lenti / per improvvisare occhi contenti, / perché le pupille abituate a copiare / inventino i mondi sui quali guardare. / Seguite con me questi occhi sognare / fuggire dall'orbita e non voler ritornare..."  (Fabrizio De Andrè)


Per i tornanti giù dalla montagna. Per i sentieri improvviso l’andatura. Scompare la paura. E la salita diventa come un sogno che di colpo si rivela allo svanire dell’impegno, come senso delle cose più profondo, sul punto di morire ancora in vita. La creazione, in una semplice salita, è quest'abbandonare il corpo a sé stesso, consegnandogli l'incertezza, l'improvvisazione e la bellezza...


P.S.: Ogni atto di creazione è, prima di tutto, un atto di distruzione. (Pablo Picasso)

12 aprile 2015

TrailLaghi 2015

E' stato tutto molto bello. Intenso, vissuto. Osservato con voracità. Gli occhi continuavano a sommergermi di informazioni. Ciò che ho appreso è molto più di ciò che ho dimenticato. E questo è già un potente antidoto...

Non riesco più a fare della cronaca; non è più quella, che mi interessa. Le sensazioni invece attraversano queste righe, saltando i raggi riflessi dagli specchi d'acqua, e che hanno ancora quel buio mattutino pronto a sospendere alberi e cerchi di legno e sentieri di foglie nel mezzo del loro lago. Tutto riappare per sentito vibrare. Non posso più semplicemente dire d'aver corso. E' stato un "percorso" ad ostacoli. La Natura ha messo ciascuno di fronte alla sua prova: equilibrio, velocità, pollini... Tutti da condividere almeno con un compagno, una compagna o un cane... 

Tra i famosi in gara, ho stretto la mano a Bruno Brunod ed al suo sorriso. Un uomo eccezionale, umile come solo i grandi sanno essere. Anche lui sostiene che "la psicologia legata allo sport è una frontiera ancora da valicare". Si tratta della psicologia del profondo, che si apre dentro l'uomo quando l'uomo decide di aprirsi. E di disfarsi di cose come l'orgoglio, la rivalità, la falsità... per scendere nella propria natura originale dove attingere l'energia della vita, dall'amore per la vita.

Non facendo più cronaca, non dico che ho faticato ad aspettare il mio amico, troppo lento per la mia psiche dopata (di oggi). Anche se nel giusto tempo speso per goderci lo spettacolo di una splendida giornata, abbiamo superato tre quarti delle duecento coppie al via. Un successo condiviso per passione. E questa è la sostanza della nostra missione...


Il solito selfie con Paolo...

11 aprile 2015

Salomon

Dicono ci sia un tempo per tutte le cose. Per ridere, piangere, vivere, morire. Salomonicamente aggiungo a quel tempo immaginario la contaminazione della realtà che deforma gli eventi e li rende instabili, inafferrabili, a volte insopportabili. Io rido, tu ridi. Ma poi io smetto e tu continui. Io piango, tu ridi, e già contaminiamo le cose. Si vive, si muore. In mezzo c'è tutto quello che si può fare, in mille modi differenti, in mille mondi umani diversi e colorati. C'è un tempo per tutte le cose, ma non è quasi mai quello che avevamo previsto per esse. E ci sono cose che attendono il loro tempo, che potrebbe essere il nostro...

Certo Salomone, figlio di David, re d'Israele, potrebbe illuminarmi. Suo padre sconfisse Golia. Entrambi azzeccarono il loro tempo con mire perfette. Saggezza o solo fortuna?

Salomone è celebre per i suoi giudizi. Famoso il caso delle due madri conviventi con i loro due neonati; una notte uno dei due bimbi morì e la madre lo sostituì con quello vivo preso dalla culla vicina. Entrambe le madri, però, arrivarono a pretendere la maternità sul bimbo vivo. Si ritrovarono dunque davanti al re Salomone per ottenere giudizio. Il re estrasse (salomonicamente) la spada e decretò che il piccolo sarebbe stato tagliato a metà, una per ciascuna madre. Quella vera implorò subito che piuttosto il figlio fosse dato vivo e intero all'altra... Al che Salomone capì chi fosse la vera mamma.

E così via, nella contesa per una cassa di arance fra un pasticcere e un barista, salomonicamente le scorze andranno al primo, che ne ha bisogno per grattugiarle nei dolci, la polpa al secondo che vuole vendere aranciate...

...

Tornando sulla Terra, mi ritrovo con un paio di Salomon(iche) scarpette rosse in mano. E ricordo che è venuto il tempo di correre.  E' la corsa di domani che pretende il suo ordine stabilito. Una collina, due colline, tante colline. Un lago, due laghi, tanti laghi... No, non salgo sul monte. Anche se sempre salomonicamente.... 

Un saluto. Un salto? Un volo permanente... 

Salomon Speed Cross 3. Giudizio eccellente 

1 aprile 2015

TraiLaghi 2015

Corro. Rifletto. C'è vento e c'è sole. Poi c'è solo vento. E poi c'è solo sole. Finché ci sono, penso. In salita svanisco. In discesa comprendo l'allenamento. 

La salita denatura il pensiero; assilla e stordisce le sensazioni. Le terminazioni, sofferenti, occupano il corpo. Lo assorbono e tagliano l'energia all’immaginare.

In salita non c’è tanto altro da quell'intorno di terra o di asfalto in cui (ci) si muove. L’intorno di sé si stringe in un punto, diventa inaccessibile. La coscienza non ha più il suo display. La salita non sospende mai il giudizio, lo elimina. Perdendo il controllo dei desideri, ci si avvicina pericolosamente ai limiti, agli obblighi senza logica ricompensa. Si obbedisce all’inseguimento dell’incoscienza, dell’inconscio o dell’assenza. Appunto di sé… 

Allenamento, e allenamenti al pluralismo... Infatti tollero in modo pacifico la sofferenza che allena e fa “svanire" in salita, e la gioia che allena e fa “mentire" in discesa. A svanire è la consapevolezza di sé. A mentire è il ritrovamento di sé, nell’orgogliosa illusione di ringiovanire. E poi, la gioia che non assimila la sofferenza così come la sofferenza che non assimila la gioia rendono pluralisti tutti gli allenamenti “al trail”. Tutti quanti.

Per sottolineare questo aspetto, il prossimo Trail mi vedrà contrapposto all’individualismo, partecipando in coppia con Paolo al:


Le gambe sono per natura pluraliste. La destra si alterna alla sinistra. Spero fino al traguardo!