31 dicembre 2015

Moby Dick


Se la vita è quel trattino che unisce la materia allo spirito, come quasi duecento anni fa scrivevano i fratelli Hare con humor inglese, la morte è l'intaglio di quel trattino, a formare una croce. Un simbolo, una stella. L'assoluto.

"Non fidarti della croce del sud, la caccia non finisce mai" cantava anni fa Francesco Di Giacomo nella canzone "Moby Dick". Era la balena che danzava sopra una stella marina, colpendo al cuore la luna, volando via verso una terra promessa e badando a non innamorarsi. Testo a cartoni animati.

Se Moby Dick è il romanzo la cui forma contiene tutte le forme, come scrive Paolo Gulisano, o quel racconto nel quale altri racconti confluiscono come correnti nell'oceano, è nello stesso tempo un romanzo di una semplicità sconcertante, tanto che la trama si potrebbe riassumere in poche parole: là fuori, in alto mare, un uomo dà la caccia a una balena. 

Il capolavoro di Melville è epica moderna. Se il poema sacro descrive l’Assoluto come il destino dell’uomo, Moby Dick parte da questa stessa consapevolezza, rovesciandone il significato. L’Assoluto diventa una condanna, una presenza enorme e nello stesso tempo sfuggente, verso la quale parrebbe lecito, quando non addirittura irrinunciabile, esercitare il diritto alla rivolta. Così la pensa lo studioso Galisano, ed io approvo.

Ieri ho visto "Heart of the Sea / Le origini di Moby Dick", film di Ron Howard. Siamo nel 1850, in piena epopea della caccia alle balene e al loro prezioso olio utilizzato per illuminare. Lo scrittore Herman Melville si reca a Nantucket per incontrare l’anziano Thomas Nickerson sopravvissuto ad una celebre e disastrosa missione che vide la baleniera Essex affondare sotto i colpi di un gigantesco capodoglio bianco. Melville è deciso a farsi raccontare i dettagli dell'avventura, ossessionato dalla paura di non essere all'altezza della realtà, con la sua sola fantasia.

Il film descrive la vita dei balenieri attraverso delicati tratteggi cinematografici ed effetti speciali: il mare è trasparente e illuminato, mentre è terribilmente più pauroso nella realtà. La trama non c'entra con il romanzo: è un adattamento naturale alla ricerca di inquadrature che comunichino con l'anima. Occhi di cetacei, fiocine insanguinate, volti tumefatti, corpi essenziali. Dialoghi essenziali. E poi: determinazione, orgoglio e sopravvivenza. Trattini che uniscono la materia allo spirito.

Il film descrive l’essere umano attraverso l'egoismo e l'avidità, mettendo in dubbio i diritti nei confronti della natura. E la Natura attua la propria vendetta: costringe l'essere umano a patteggiare, fiocina nella mano, col proprio essere infimo e mostruoso pur di rimanere aggrappato a quel poco di vita rimastagli. Pur di rimanere aggrappato a quel trattino che - a fine anno - unisce il panettone ai frutti di bosco.




26 dicembre 2015

L'invisibile

Volavano lenti, salendo e scendendo nel cielo, come se volessero cancellarlo, meticolosamente, con le loro ali... (Seta, Alessandro Baricco)

Oggi dove si vola? Sopra quale zolla di cielo ci si appoggia scivolando? Le domande sono come dei paesaggi. Sono dei passaggi strani dal sapore artistico. Forse mistico. 
Azzurra la collina di San Valeriano che a levante affianca il monte San Giorgio. Azzurra la collina dei castelli del ponente di Piossasco. Le colline si abbracciano fino a strapiombare su una vecchia cava abbandonata e polverosa. Emerge una scultura metallica dalle curvature imponenti, a forma di chiave sofisticata come il silenzio che apre le nostre bocche, per un istante, prima di emettere giudizi da orchi.
Orchi ai piedi del totem (di Giuseppe Lanza)
Ma forse in ogni zolla di cielo, a saperla leggere, c'è il mondo intero. Immobili, sembriamo piante piantate lì da un artista visionario, in grado di vedere oltre la normalità che tanto ci appaga. Noi siamo artisti visionari del passo. Quello che ci scavalca ogni volta che rischiamo di cadere sulle pietre dei nostri antenati.
Orchi in vetta al San Giorgio
A passo inclinato raggiungiamo presto la vetta (il panettone) a quota 842 metri. Rileggiamo insieme le cime senza neve. La porzione dell'arco alpino ci orizzonta, fino a scorgere il Monte Rosa innevato, mentre l'OrcoRoccia ricorda le sue imprese al Capanna Margherita, il rifugio a quota 4554 metri. Ci spostiamo verso il sole, mentre una gigantesca coperta di foschia, di polveri e di smog ci ricorda da dove veniamo, indicativamente.
OrchiLucertola in attesa del ritorno (dell'inverno)
Lentamente, molto lentamente raggiungiamo il mondo che ora ci appare invisibile, laggiù nella valle dei pensieri. Siamo gli invincibili, tutti insieme. Respiriamo tutto l'ossigeno che troviamo. I miracoli sono questi. 



20 dicembre 2015

Impronte

Tutte le cose sono state già dette; poiché nessuno ascolta, occorre sempre ricominciare.
André Gide

OrcoCircuito
Il premio Nobel André Gide diceva anche che "è bene seguire la propria inclinazione, purché sia in salita". Avvertiva lo spazio letterario come un territorio da esplorare scegliendo i passi (pensieri) nella direzione meno affollata, meno scontata. Forse con più affanno, ma sicuramente con più appagamento una volta raggiunta la vetta (del ragionamento).

Seguendo la mia inclinazione, e seguendola in salita, mi sono iscritto al gruppo de "gli Orchi trailers". Certo dopo Shrek la fama di orco non è più così terribile. La paura ha così lasciato spazio alla comprensione. Delle cose non dette. Del presente pieno di futuri. Delle ombre del passato. E così è iniziata un'altra storia tutta da scoprire. Tutta da correre.

Si inizia oggi, di buon mattino. Trail "autogestito" nella collina morenica di Rivoli e dintorni. Un giro molto largo, saliscendi continuo e fondo sempre mutevole. Salita verso il castello con deviazione boschiva e taglio nell'umidità erratica, passando sopra massi più o meno glaciali e verso borgate nascoste e poco assolate. Poi discesa verso Sant'Antonio di Ranverso a Buttigliera Alta. Quindi dai prati, misteriosamente, in ritirata sparsa verso il monte Cuneo.

Orchetti al Monte Cuneo
Inizio a conoscere lo spirito trail dei compagni d'avventura. Mi cibo delle scorte di ultratrail (Alessandro e Federica). Mastico la fibra di un rivolese doc (Stefano). Assaggio la compagnia dell'OrcoBee, dell'OrcoDoctor e dell'Orco730... Il gruppo è veloce ed omogeneo. La discesa è un premio. Vola via in un baleno. Neppure ci accorgiamo che è da più di 28 km che si galoppa. 

Finisce che La Fontaine mi disseta, poco prima di arrivare: "spesso s'incontra il proprio destino nella via che s'era presa per evitarlo". Ciao destino, come stai? Che sorriso... quasi 30 km! Buon Natale...

12 dicembre 2015

Sciarpa grigia

Accadono cose che sono come domande, passa un minuto oppure anni, e poi la vita risponde. Alessandro Baricco

Ho imparato a correre nel salotto di casa, circa dieci anni fa. Era tutta una vita che accadeva la mia vita. Che domandava, via via che passava dalle parti del destino. I punti interrogativi finivano le frasi che non sapevo più leggere, e i sensi non rispondevano più alle emozioni. Il senso non pareva avere una vita propria. Eppure avvertivo il costante rincorrermi della paura. La consapevolezza che ogni azione avrebbe avuto un effetto domino frenava il corpo. E il futuro alzava la penna dal foglio. Abbassava la mente. Spegneva il fiato. 

Poi ho imparato a correre fuori di casa, e non è servito a nulla. Giorno dopo giorno, parola dopo parola, passo dopo passo. Progetto dopo progetto. Always in my head...

Elbert Hubbard diceva che il più grande sbaglio nella vita è quello di avere sempre paura di sbagliare. Lui morì sulla nave Lusitania affondata dai tedeschi, al largo dell'Irlanda, il 7 maggio 1915, ma questo non c'entra, era solo il mio compleanno.

Dunque accadono cose che sono come domande. Come l'orizzonte sereno di questa sera che ha le sfumature della pelle poco sopra il sangue arterioso. Via via si scende dal blu al rosso intenso, e sotto le montagne tutti i colori ritornano nell'atrio scuro che non risponde più dei tramonti. Non risponde più degli arcobaleni. Non sa più cosa significa rispondere. E questo accade quando si cercano di afferrare i fiocchi dei ricordi. Quando si sposta una sciarpa grigia dal sorriso, sotto la neve, e si pensa ancora una volta: eccolo qua il Natale...




A snowflakes is... someone who knows all about you and still loves you

8 dicembre 2015

foggy

Quando c'è la nebbia non si vede. - Perbacco, e chi la vede? - Cosa? - Questa nebbia, dico? -Nessuno. - Ma se quando c'è la nebbia non si vede, come si fa a vedere che c'è la nebbia?... 

Fuori nebbia, come un tempo. Io e Gabriele sembriamo Totò e Peppino. Ridiamo come ragazzini tra il raffreddore ed il freddo torpore che l'età ci sottolinea ad ogni passo, ad ogni chilometro. D'incanto però la filosofia ci affianca, e noi la seguiamo per qualche istante di nascosto.

Così sentiamo che le distanze non si misurano in chilometri, ma in possibilità. E di queste ne oltrepassiamo molte con la fantasia. In realtà, sono le possibilità che alla fine ci misurano. Ci interrogano sul territorio, sull'anima, sull'amore. E noi glielo lasciamo fare con brevi falcate di racconti. E' tutto quello che siamo, è tutto quello che sappiamo di noi. What else? 

Intanto la nebbia è diventata un concetto troppo denso. E si mischia con il nostro fiatone. What if? Cosa accadrebbe senza alternative? Senza più avere la possibilità di osservare un fiore che spunta dalla sabbia? Si finisce calpestando tutto, non vedendo più niente all'orizzonte. 

La ruota è alta, poi china come in una danza, sul saluto finale. La speranza è un rischio da correre: è addirittura il rischio dei rischi, diceva Georges Bernanos. Ma noi questo non lo sappiamo, e rimaniamo sospesi nel vuoto, senza poterci più appoggiare...


6 dicembre 2015

Everglow

Corriamo verso di noi, e per questo siamo l’essere che non può mai raggiungersi.
Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla, 1943


Oggi ho portato questo pensiero essenziale, all'esistenziale. L'ho immaginato nella testa di Sartre, in movimento, quasi come Jovanotti. Correre verso di noi, esistere. Saltare i gradini, rischiare. Sudare nella salita, raggiunti dal sole. E poi attardarsi nelle sensazioni di ognuno. Quindici differenti motivazioni per uscire dalla nebbia e attraversare le strade e calpestare la terra e stringersi ai colori della vita che usa il linguaggio dei surfisti... 

L'appuntamento per la corsa di oggi sembra quasi un flash mob. Siamo tanti, siamo in quindici: è magnifico. Si sarebbe potuto estendere il pensiero di Sartre a piacimento, indagando l'essere, l'anima, l'uomo. That's music for my ears... In fondo corriamo verso di noi, per noi. Ci oltrepassiamo senza raggiungerci. Finché l'onda regge la forma sopra il mare. Poi ci scioglieremo senza capire. Avremo corso oppure nuotato?

Ripasso i nomi. Alcuni amici non li vedo da mesi. Andiamo al castello di Rivoli. E' una corale, il chiacchiericcio ansimante. Ci s'invola fino quasi a scomparire alla vista del proprio essere. Poi elasticamente si torna a magliare. Affiancati dalla fatica di condividere la pendenza che tanto chiama ad esistere. Chiama te, Marco, come chiama me. E molti altri.

Penso, ma non mi raggiungo. E ringrazio.



Ci ripenso, e aggiungo questa canzone.