29 giugno 2015

Palomar vede lo Chaberton

«Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato»                                                            
(Calvino, riassunto della storia di Palomar)


Palomar è un tipo tranquillo, anche se a volte si infastidisce perché il mondo intorno a lui è troppo dinamico. Così si isola e riesce a ritagliarsi lo spazio per tradurre il mondo che lo circonda nel suo immaginario simbolico, ed estendere la validità dell'osservazione a tutta la realtà. L'impresa è però fallimentare...

Palomar, il romanzo di Calvino, è la mia chiave di lettura. Di ieri e di oggi. Di come ci si può perdere sospesi tra il fascino del labirinto - la tentazione di abbandonarsi al rotolare delle pietre - e quello della sfida razionale - inseguendo il precipizio nei singoli massi - anziché tentare di naufragare nell'indefinito susseguirsi degli sfiniti passi... (Questa immagine è il mio personale "transfert" alle pietre di montagna dell'originale "visione di Palomar" per le onde del mare). 


Di più, salendo di quota, nella "contemplazione delle stelle", il signor Palomar decide di munirsi di varie mappe del cielo per poter individuare con precisione scientifica la posizione delle costellazioni... Lo fa; le studia, eppure è convinto che «per riconoscere una stella, la prova decisiva è vedere come risponde quando la si chiama»...

Così ho pensato anch'io di fare. Ho chiamato il sole e lui ha risposto con calore e meraviglia. Forse un po' troppo calore e sudore tra le ciglia. Ho chiamato la montagna, e alle 9:15, nel paese di Cesana Torinese, a ridosso del confine con la Francia, ho sentito l'eco di trecento montanari. Voci liberamente sciolte nell'impresa di conquistarsi; oltrepassare i confini in parte inesplorati e raggiungere la sommità dell'Essere Chaberton.

Una prima ondeggiante corsa su sentiero di qualche chilometro precede la lunga salita al monte. Faticosa, sempre più impegnativa. Dura. Alla fine durissima. Si parla, e questo è bello, con i vicini di fila indiana. Mi intrattengo prima con Davide, poi con Enrico, poi con un giovane gestore di rifugio francese, quindi con un ragazzo locale che usa solo dialetto stretto... Mi fermo per immortalare i paesaggi mozzafiato. 

Poi non si parla più molto. Frasi secche. Bocche asciutte. Onde cerebrali a bassa frequenza... Si comunica fisicamente, senza usare parole. E questo è ciò che una mappa non può rappresentare. Occorre qualcosa di folle - come andare quando la mente dice di sostare - per inzuppare la mappa di vita...  

A volte ubbidisco alla ragione. Mi fermo. Poi mi pento d'essermi fermato. Perdo così terreno e fiducia nelle mie possibilità... La discesa è una riflessione continua sul tempo che scorre proprio mentre cerco di fermarlo... Precipito, insoddisfatto, al 94° posto su 244 arrivati al traguardo...  

Ecco alcune immagini ricordo...

Selfie panoramico

Selfie con Enrico

Lo Chaberton inizia a vedersi sullo sfondo... E' lì che si arriva?

Volto le spalle alla grande pietraia

Tutti inseguono la meta... assetati

La salita continua e si attraversano lingue di neve

Poi si fa dura e si consumano le energie

Non mollare il tiro... manca poco

Lo Chaberton non arriva mai

La salita s'inasprisce

Finalmente si avvertono i cannoni

Lo Chaberton è conquistato. Qualcuno ha issato due bandiere, una italiana e l'altra francese.

Caro Jago... eccoti la bandiera sbagliata (ora abbaia pure)

Discesa piena di sassi nelle scarpe e nel cervello... Ecco il ponte tibetano di Claviere

L'arrivo di Paolo... 

Fine del divertimento... 4 ore e 22 minuti

27 giugno 2015

Mappa

Apro la mappa solo cinque minuti. Oggi c'è altro da fare. Così tento di spiegare a Jago che "la mappa non è il territorio, e il nome non è la cosa designata"...

Il concetto è famoso, ed è stato studiato dal filosofo inglese Bateson (figlio del padre della genetica). Bateson teneva un corso in California che si chiamava "Ecologia della Mente": che spettacolo...

Bateson ci ricorda che "quando pensiamo a porci o noci di cocco nella nostra mente non ci sono porci o noci di cocco, ma rappresentazioni e classificazioni di questi oggetti. Spesso però non si ha una distinzione logica tra il nome e la cosa designata e questo può dar luogo a reazioni irrazionali: ci si può commuovere, ad esempio, di fronte a una bandiera perché essa è il simbolo della patria piuttosto che un pezzo di stoffa colorato."

Jago osserva con attenzione la carta topografica appena evidenziata da Cesana al monte Chaberton in giallo, e nella discesa verso Claviere in verde. Poi appoggia i suoi polpastrelli a cuscinetto sul crinale tra le nazioni e abbaia, sommessamente commosso, che i francesi ci hanno rubato qualche montagna. E' stato irrazionale, lo so...

Gli ho promesso che domani avrei portato una bandierina italiana e l'avrei piantata (per lui) in cima alla montagna francese... Poi mi sono ricordato che Jago è messicano, ma i colori del Messico sono uguali ai nostri... Fiuu... ;-)

Il percorso di domani

Jago mi spiega il percorso velocemente

Ecco la bandierina

20 giugno 2015

Chiamate 3131

Ecco fatto, mi sono messo anch'io in contatto diretto con quel "mezzo di comunicazione" che è la montagna. Da raggiungere o scalare in qualche modo. Mi sono iscritto al "Trofeo Monte Chaberton 2015" che è una salitona e una discesona al monte alto 3131 metri. Chiamate Chaberton 3131 è la linea immaginaria "senza filtro" che ora si aprirà nella testa, in quest'ultima settimana che precede la salita. 

La storia dello Chaberton è legata alla sua posizione strategica, sulla cresta che divide l'Italia dalla Francia. Su questa vetta, una "batteria di cannoni fortificata" venne costruita nel primo decennio del '900. Il battesimo della fortificazione coincise anche con la propria fine: nell'arco della settimana dal 21 al 25 giugno del 1940 i mortai francesi fecero piazza pulita, più o meno...

Mi affiderò all'immaginazione, vista la carenza di allenamento. E il tempo che fugge non mi lascia alternative. Ora o mai più. La compagnia è numerosa, i plotoni si stanno schierando. 2000 metri di dislivello positivo e 25,5 chilometri sono una buona linea di comando e controllo mentale...



15 giugno 2015

Urban Trail

Non ci piove. Il fatto che le corse un tempo di resistenza siano diventate oggi di velocità è un fatto su cui non ci piove. E se anche fuori c'è temporale, non ci si bagna più nei luoghi comuni. Anzi, ci si ripara in caso di piogge scroscianti o di rimpianti: "un tempo si correva per passione, oggi per competizione...".

Ma la fantasia è un posto dove ci piove dentro, diceva Calvino. E ieri mi sono inzuppato i piedi in una normale gara di corsa podistica, che ormai più nessuno vuole chiamare così. In altre parole, ho partecipato alla "5^ Colletta Urban Park Trail". E anche qui non ci piove: correre un "Urban Park Trail" pareva tutta un'altra cosa. Nella "U" si sollevava l'ugola per salutare un transito regale d'aria; nella "P" si lanciava una molotov al centro del discorso, e nella "T" si viveva il brivido di Thor e del suo martello da guerriero... 

Il podista, diventato fulmineamente protagonista di un gesto estremo, atletico o amletico non si sa bene. Povero podista.

La testa non dava molti segni di vita. Tutto il prato in pianura sembrava in discesa. "Frena, che poi si sale" veniva scritto sul gobbo davanti a me, ma la discesa non finiva più, e la frenata è durata tutta la gara, naturalmente piatta, contratta, compatta. Naturalmente inadatta. Alla mia testa ho chiesto un riparo, ma come dice il proverbio: "chi si ripara sotto la frasca, ha quella che piove e quella che casca". 

Tutta l'acqua del traguardo ha concesso un corto circuito liberatorio. Basta con questo piattume! Abbandono la spazzatura d'una media da 4:18 al chilometro per dimenticare tutte le prime parole da traguardo: "Quanto hai fatto?", "Ti sei piazzato", "Mi hai battuto"... 

No, questa volta ti ho buttato, urban trail di cemento armato...


1 giugno 2015

Trail Monte Soglio


"Per quest'anno / non cambiare / un trail al mese può bastare...". Ma potrà bastare, all'anima, per rappare al meglio il disco della vita? Forse no. Certo che no.



In ogni caso, nel mese di marzo siamo partiti da Almese, in val di Susa, con il "Trail dei due monti". Ad aprile si vagava per le colline eporediesi, con il "Trailaghi". E per maggio ci siamo ritrovati al Trail del Monte Soglio, nel pieno canavese.

Qui la sveglia è tranquilla per una scelta azzeccata. Il "Gir Curt" da 35 km e 2000 m D+ parte all'ora ideale per un pigro, le 10 di mattina. Si spera nel sole e nella luce d'una cresta da assorbire ad ogni riflessione. E invece ci si scontra con nebbiose sospensioni d'umidità, regali fumanti di mucche, ed altre insidie tra gli alberi aggrovigliati alle radici dei boschi. Si spera nel sole, ma si oscura nel cielo.

Volevamo vedere l'orizzonte. Non ci siamo riusciti. Tra il grigio di nuvole e le pietraie, è tutto un viavai di scarabei dalle brillanti sfumature, in lento transito - o appena scoperchiati al suolo - come tasselli con troppe zampette. Li schivo e li osservo. Qualcuno è già finito sotto una suola ed ha l'aria più deformata di me, quando affronto la salita.

Riesco a dare il meglio: nella prima rampa trattengo un margine di respiro senza affanni. Paolo è dietro e non si vede. Sull'altipiano raduno le forze e mi aggrego ad un gruppetto con il quale alternarmi nella corsa e nella camminata fino al ristoro a quota 1500, prima degli ultimi 200 metri di strappo per la vetta principale.

Mi conforta sentire il corpo come una sofisticata macchina zeppa di sensori, di bisogni, di immagini in ingresso e in uscita. Li elaboro costantemente. Un attimo di distrazione e scivolo. Ora ho un dito sanguinante e un principio di crampo al polpaccio. Tutto si complica in due minuti, ma questo è il momento in cui il Trail, qualsiasi esso sia, entra nella memoria a lungo termine (il momento "animale", nel senso che attiene all'anima invisibile che ci sostiene).

Si deve minimizzare e ripartire al più presto. Ho finito l'acqua, ma trovo un compagno che sta per buttare una bottiglietta ancora piena: la intercetto e me la scolo. E' fantastico dimenticare la sete. Ma bevo troppo, e all'inizio della lunga discesa sento i liquidi che rumoreggiano e spostano qualcosa dall'interno. Questo è il momento in cui il Trail prende corpo. Prende il tuo corpo e lo manipola senza pensare alle conseguenze; per fortuna entra nella memoria solo a breve termine.

Si deve minimizzare e correre più veloci. La discesa mi asciuga lentamente i sudori. Inizio a vedere le schiene di un nuovo gruppetto che è ormai alla mia portata. Qui c'è anche il fratello di Paola, un paio di magliette colorate, e poi un simpatico e longilineo runner di nome Mirco, con il quale ingaggerò la sfida cortese dell'ultima ora... Mirco mi accatasta nella discesa più ripida per poi pagare tributo appena il pendio risale. Lo sorpasso prima della fine, definitivamente, ma solo per questa volta. Perché qualcosa mi dice che incontrerò il suo menisco in qualche prossima escursione!

Il vissuto nel tracciato è sempre personale, solitario, introspettivo. Tanto più è profondo ed interiore, tanto più si solleva e si trasforma in fratellanza sul traguardo, poco prima o poco dopo...





Sulla strada ormai prossima alla fine incontro Maurizio in bicicletta. Questa è casa sua. (Speriamo di incontrarci presto Stoppre!). Ho ancora energia per raggiungere chi sta lottando con i crampi. Sono felice e senza tanti pensieri. Spazzati via con la pigrizia.

Concludo 34 esimo su 235 giunti al traguardo, in 4h e 11 minuti. Risultato inaspettato. Guardo l'ora: sono in tempo per tuffarmi nel bidone del tè freddo, e anche per pensare a Lorenzo che sta per iniziare la sua 100 km del Passatore. Eccoti il testimone, vai Lorenzo!

Mi giro un attimo, appena sporco di nutella, ed intravvedo Paolo che traguarda. Gli ho concesso 11 minuti (e lui se li è presi tutti, ridendo e scherzando)...

Ottima l'organizzazione del Trail. Estremamente scrupolosi in ogni dettaglio i vari componenti dello staff. Esagerati nei controlli, ma tanto gli italiani sono italiani e i furbi anche (fanno gli italiani). Intravvedo Gianfranco, ci salutiamo, ma poi lo perdo di vista. Intanto Paolo si fuma una delle sue sigarette e condivide con gli "Orchi" della sua squadra le sensazioni.

Si mangia con gusto. Siamo in tanti e finiamo a chiacchierare con i vincitori del "Gir Lung": Alla mia destra sta mangiando seriosamente Daniele Fornoni, giunto primo nella gara di 66 km e 3600 m D+ (nel tempo di 7h 09). Vicino a lui c'è il giovane Michael Dola giunto secondo. Ci facciamo un selfie dopo mangiato, mezzi tramortiti. Di fronte a me c'è anche Alberto Ghisellini, di Bergeggi, simpaticissimo terzo classificato. Anche con lui un selfie, e tante chiacchiere di vita e di sport.

Ne vale la pena sempre. Sportiva la mente!


Cotto all'arrivo...


Con Alberto e Paolo


Con Michael e Paolo