24 settembre 2013

Oulx: le immagini impresse

L'importante è non fermarsi...

Al sedicesimo chilometro inizia la salita impegnativa. Il paesaggio è così bello che devo fotografarlo ancora, nonostante conosca il bosco dell'alta valle come nessun altro bosco. Sono passate più di due ore e mezza, e chilometro dopo chilometro sento la montagna entrare nei polmoni, insieme al profumo di terra e di linfa di corteccia. Qualcuno mi raggiunge. C'è il tempo di chiacchierare e questo è il massimo...

Le immagini raccontano per me.


Questo il sentiero nella prima parte di salita, sopra Beaume


Vista del Colle dell'Argentera (sulla destra del sentiero)

Vista del Monte Jafferau (sulla sinistra)
Sosta (troppo lunga) al ristoro di quota 2230 m - Serre du Quin
Verso la Caserma Grotte Seguret - Si vola!
Impennata verso il Ricovero Vin Vert - Si sale!
Quota 2400 m. Mi fermo ad ammirare l'infinito, ma un terribile crampo mi atterra 
Fotografo chi mi sorpassa, desolato. La salita mi appare un muro altissimo...
Qualche minuto dopo riprendo lentamente il controllo e le forze.
Il ricovero Vin Vert a quota 2540 m
Arrivo con flemma e mi faccio fotografare da un amico a cui passo la macchina fotografica
Riprendo il sorriso e m'illudo d'essere arrivato
La strada verso il Colletto del Vin Vert è solo in leggera salita, ma non riesco a correre.
Abbraccio la vallata e mi godo l'aria frizzante e profumata
Ultimo tratto e si arriva a quota 2700
Le bandierine del Colletto, e la cima del Vin Vert alle mie spalle. Sono passate circa 4 ore.
La strada verso il Col Basset è meravigliosa
Al Col Basset ci sono le riprese TV!
Il maestoso viale Rochers de l'Aigle. Che emozioni! Cerco il migliore assetto di corsa...

***

Dopo il ventottesimo chilometro inizia la discesa che tanto attendevo. Mi sembra di volare, ma la sensazione è troppo effimera. Raggiungo il Forte di Foens, a quota 2200 m, troppo rapidamente per la tenuta dei miei muscoli (già frollati). Mi fermo a bere e a mangiucchiare, sorrido, e non so ancora che 100 metri più sotto avrei lottato con le ganasce dei polpacci...


Non potevo più fermarmi, nè correre velocemente. Tenere duro fino alla fine. 
Venti chilometri in queste condizioni sono state una vera palestra mentale. Ho trovato le risorse interiori nella solidarietà con chi stava stringendo i denti esattamente come me...

Giù fino a Roveres e poi a Beaulard, sempre tra sentieri boschivi, a 1100 m. E poi ancora salita a Chateau Beaulard, a 1400 m. E poi giù fino all'ultimo chilometro prima di Oulx, dove una deviazione "cattiva" ci fa salire di altri 150 metri di dislivello, prima di fiondarci sul prato d'arrivo... Bestiale... 

Arrivo muscolarmente provato in 7 ore e 2 minuti. Sono 48 esimo su 100 arrivati al traguardo. In questa misura c'è un limite da superare. E questo, anche se non è logico, è ciò che intenderò fare alla prossima edizione...

Quando mi ripiglio, faccio alcune foto di altri che sopraggiungono
Trovo la cura in una successione di crostate e panini alla mortadella...
Ascolto il presidente di Find the cure...
Assisto alla premiazione...

I miei piedi prima della doccia: nonostante le spesse calze sono sporchi da paura!


23 settembre 2013

Oulx: le prime impressioni

La partenza

Oulx, 22 settembre 2013

Dopo un’oretta di autostrada arrivo nella piazza del paese di montagna. Mi colpisce il porfido perfettamente allineato che sembra proseguire dalla terra verso il cielo grigio di nuvole basse. Sono le sette di mattina e sopra le case ondeggiano imperscrutabili vapori immaginari. Scendo e mi oriento. Laggiù dovrebbe esserci il punto di accoglienza. Mi sento tranquillo, anche se un po’ spaventato, come prima di un esame. Ritiro il pettorale e il chip da infilare tra i lacci della scarpa. Passano pochi minuti, ma sembrano tanti; vivo una specie di lungometraggio di primi piani, sorrisi e suggerimenti. Poi attraverso la piazza e annuso l'aria fresca. Ci sono meno di dieci gradi.

Appena fuori, mi accorgo di una faccia nota: è Nico Valsesia che sorride e chiacchiera con altra gente. (Più tardi, alla partenza, lo saluterò chiedendogli della traversata del Salar, il "deserto di sale" in Bolivia, dove lui e Marco Gazzola sono stati protagonisti per Deejay TV - Fino alla fine del mondo (vedi qui); è molto simpatico e forte: quando gli racconto che il filmato mi ha entusiasmato mi dice che è tutto falso, è stato tutto un montaggio, e poi ride.


Nico Valsesia

Il piazzale si popola di mormorii, mentre il cielo si apre proprio in direzione del colle del Vin Vert (a duemilasettecento metri) che dovremo raggiungere tra poche ore. Mi sembra quasi impossibile. Non lo guardo più di tanto. Mi spaventa. Passo in rassegna il vestiario di chi mi sta accanto, per osservare quanto sono "sprovveduto". Quasi nessuno indossa le scarpe leggere (come me). Quasi tutti hanno uno zaino tecnico con porta borracce e spalline rinforzate, mentre il mio è del 1995 e appare un oggetto non identificabile. Per il resto sono all'altezza della situazione. Ho anche il berretto da soldato, ma soprattutto il coraggio d'affrontare l'ignoto.

L'adunata è in un prato riservato del parco. Qui c'è Marco Abbà, l'atleta e organizzatore del Trail che spiega rapidamente il tracciato, la sua asprezza, ma anche l'importanza di divertirsi, in quest'occasione che rientra nel circuito di "I run for Find The Cure", un team di volontari che ha deciso di impegnarsi attraverso lo sport nella raccolta fondi per aiuti umanitari alle popolazioni più povere e meno libere.

Mi guardo attorno e chiedo informazioni. Scopro che tutti vorrebbero sfogarsi e raccontare la loro preparazione e le loro esperienze. Siamo uguali. Tanti sono veterani. Io non lo sono ancora, ma penso che questa potrebbe essere l'occasione per imparare "dalla diretta della vita". Mi chiedo quanto sono disposto a cedere (il passo) alla fatica. Quanto sono disposto a perdere, come dice Jovanotti. 

Osservo le facce. Più di cento paia di occhi e un solo grande sguardo. Mi piace. E' lo sguardo dell'animale che ama la Natura, i sentieri e le pietre, i greti e l'acqua gelata che disseta. Le rocce attendono a breve distanza.

Il percorso del Trail è tutto qui. Nel senso che tutti sapevamo di dover fare tante migliaia di passi. Lunghi o brevissimi. E tutti avevamo memorizzato più o meno come e dove avremmo fatto i conti con i nostri limiti. Eppure ogni corsa è imprevedibile, tanto più quanto meno ci si conosce. Elementare a dirsi. E poi si cambia pelle, dopo essersi conosciuti arrendevoli o resilienti, affaticati o leggeri. Si diventa qualcun altro, dopo ogni ultra-trail.

Ciao sono Mariano. Ciao sono Mario di Oristano. Anche tu nuovo del percorso? Che posto! Poi si parte ed ha inizio la trasformazione. Per noi due, e per tutti gli altri cento. A metà della via può capitare d'incontrare la sofferenza, dolori e crampi. A noi due è capitato. E il dolore non lascia spazio ad altri pensieri. Lui lavora nel profondo. Chiede in prestito la tua anima e poi la logora, restituendola quando prometti di non evocarlo più, e di fuggire dalla sua maledetta morsa. Il crampo è doloroso e sopraggiunge quando la fatica supera la soglia che il muscolo è in grado di sopportare. L'allenamento è fondamentale, molto più della biochimica di un sale. Ma siamo ancora lontani dall'arrivo, molto lontani.
Venticinque chilometri di lotta con i muscoli delle gambe, con i polpacci, con le deformazioni della sensibilità che stravolge il paesaggio ed accende lampi di luce negli spasmi che durano meno di un minuto, e minano il sentiero di fantasmi e di paure di non poter più correre dal dolore.

L'importante è non fermarsi. Appena passa, rimettersi in piedi e saltellare. Questo è stato il mio Trail, nella seconda parte, e anche quello di Mario. Nella prima, invece, puro divertimento e meraviglioso spettacolo della Natura settembrina ad alta quota.



Mario di Oristano (e Mariano)
(segue seconda parte e foto)

21 settembre 2013

Remember

Sulla maglietta tecnica in microfibra che domattina dovrei ritirare ad Oulx, nel pacco gara, trovo una buona spremuta di valori umani che dovrei bermi questa sera, come elisir dello sportivo. Una frase, una scritta dietro la schiena; questa la sostanza da inghiottire.

La maglietta è nera, un po' bruttina, e la frase è di qualcuno già oltrepassato, che non riesco a identificare. Eccola:   "Ci sono solo tre vincitori: colui che compete con se stesso, colui che attraversa per primo la linea del traguardo e colui che termina la gara."

In pratica, il fatto stesso d'aver pensato di poter "correre" in montagna per 50 chilometri con nessuna preparazione tecnica, senza equipaggiamento moderno, senza supporter, senza tanto di tanto, mi rende un valido competitor di me stesso, e dunque un vincitore, seppur folle. 

Accorperò la mente oltre ciò che è dato vedere. Oltre il reale, l'immaginario m'attende per scendere e poi risalire tra le cantiche dantesche, e forse divertirmi ad incontrare qualche anima perduta come me, o qualche avo un po' guerriero...




P.S.: Domani "porterò" anche mio nonno Ernesto, che a 75 anni iniziava a sentire il Rocciamelone un po' faticoso, e che moriva esattamente 22 anni fa (credo proprio il 22 settembre...)

Negrita / La tua canzone: http://www.youtube.com/watch?v=aLH3hbAbT7s


19 settembre 2013

Il mantra

"May you all be happy, may you all believe" (Jack Jaselli)

Un ricercatore, ecco cos'è Giacomo, in arte Jack. Un viaggiatore alla ricerca di sè, del meglio di sè, da Bali a Bangkok, passando per l'Australia. Un musicista dell'anima, un rianimatore della filosofia, come la intendo io.


Fino all'altro ieri non sapevo chi fosse. Ora mi sembra d'averlo sempre conosciuto. La sua musica, le sue ripetizioni, sono un mantra, un "veicolo" che protegge chi si mette in movimento. Chi corre, là dove deve correre. Le ripetizioni dell'esistere. Le note, il respiro in mezzo alle parole che si sfibrano nell'uscita all'aria aperta, sono il traguardo dimenticato della sera; il colore di un cielo che stupisce, come il coraggio inaspettato che sfida la felicità... 

E come per Cristoforo Colombo, nel viaggio, la sua grandezza. 



"Ocean 5 a.m.": https://www.youtube.com/watch?v=08eK4yeHHWA

"Forgiven": https://www.youtube.com/watch?v=keAX5vn9H5o





Jack Jaselli nasce il 25 giugno 1980 a Milano e cresce viaggiando per il mondo. È un cantante, chitarrista e autore. Laureato in Filosofia, negato totalmente per gli sport di squadra, è un grande appassionato di surf e pugilato. Fin da piccolo studia diverse lingue (inglese, francese, tedesco) e impara per conto suo lo spagnolo. A 12 anni durante una lezione di musica alle scuole medie scopre di poter cantare e da lì non ha mai smesso. A 13 anni il primo incontro con il pugilato e in particolare con Romolo Calvenzi che ha rappresentato sempre una fonte d'ispirazione nella sua vita. A 14 anni scrive le sue prime canzoni e al liceo suona in molti gruppi punk per poi scoprire la musica elettronica. A 17 anni Inizia a viaggiare da solo, zaino in spalla e via. Un po' per seguire le onde (pur non essendo un surfista eccelso) un po' per suonare in giro e soprattutto per vedere e vivere. Dopo vari lavori (volontario in un centro di biologia marina su un'isola al largo di Seattle, riparatore di resistenze in Svezia e in Australia) all'università studia Filosofia, la sua passione che lo tenta tanto da portarlo a pensare di dedicarsi alla carriera accademica. Nel frattempo frequenta per un anno la Scuola Civica di Jazz, scopre il mondo della black music, del gospel (canta in vari cori) e lavora in vari studi di registrazione come vocalist, compositore, autore di testi per pubblicità e produzioni. Dopo la laurea in Filosofia, deluso da ciò che aveva visto dell'ambiente musicale e accademico decide di lavorare per un anno in radio (Play Radio, poi Virgin) come autore e speaker. Questa esperienza illuminante gli fa capire cosa "non" vuole fare. Si dedica allora completamente alla musica e scrive nuovi brani che registra insieme a Nik Taccori (il primo a credere nel progetto e a farne parte) e al contrabbassista argentino Roberto Seitz. Nasce "The House In Bali", il primo singolo, pubblicato in modo indipendente come Giacomo Jaselli Y Los Magicos: viene scelto come "uno dei 30 brani dell'estate 2007", vince un concorso sul sito Peter Harper (scultore, fratello di Ben), e guadagna l'airplay radiofonico su Radio Deejay. Inizia un'incessante attività live. Dopo "The House In Bali" cambia produzione e decide di formare la band chiamando Fabrizio Friggione alle chitarre e Enea Bardi come bassista e arrangiatore. Al Gran Gran Studio di Bardi registra un ep dal titolo "Paper Stars". Dopo aver costruito una solida credibilità live, partecipano a due edizioni del Mi Ami e inventano e propongono anche l'Headphonk live: un live in cuffia, muto per i passanti ma in full effect per chi indossa le cuffie attaccate al mixer in cui vengono convogliati tutti gli strumenti. Nel 2009 gli viene chiesto di presentarlo ad Artissima a Torino. Decide di registrare con la band un nuovo disco, totalmente autoprodotto e ancora una volta registrato al Gran Gran Studio di Enea Bardi. Nasce "IT'S GONNA BE RUDE, FUNKY, HARD...". In tutto questo continua a viaggiare e a portare la musica in ogni posto possibile armato della sua mini-chitarra da viaggio...
Dopo la vittoria al concorso che gli ha permesso di aprire i concerti dei Negramaro all’Olimpico e San Siro Jack Jaselli torna con una nuovo video e un nuovo singolo, Christopher Columbus.

17 settembre 2013

Il sale

Il maratoneta Dorando Petri




Il fumettista Guido Silvestri (in arte Silver, creatore di Lupo Alberto e di molte azioni di Sturmtruppen) 















e Luciano Ligabue...



sono nati a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, dove la nebbia è pianura padana, che risana...

Correggio, Curèz in dialetto reggiano, Curèš in dialetto correggese...

Tutti e tre sono sempre stati dei motori. Sono partiti da "Cor", oppure da "Cur". E sono sempre stati in corsa (in curva) per la vita propria, dei lettori, e dei fan...

Il sale della terra di Ligabue mi dà l'occasione per affrontare, per confrontare, per salare e per salire (sopra) le mie paure. Alzare il culo dalla sedia...

Siamo il culo sulla sedia, il dramma, la commedia, il facile rimedio...
Siamo la farsa, la tragedia, il forte sotto assedio
Siamo la vittoria della tradizione
Siamo furbi che più furbi di così si muore

     Siamo... il sale della terra!
     Siamo... il sale della terra!

Siamo la freddezza che non ha paura
Siamo quel tappeto steso sulla spazzatura
Siamo la Montblanc con cui ti faccio fuori
Siamo la risata dentro il tunnel degli orrori

     Siamo... il sale della terra!
     Siamo... il sale della terra!

***

Alzo il culo dalla sedia, e mi iscrivo all'ultra trail (50 km) di Oulx. 
Spero di non sentire una risata dentro il tunnel degli orrori... J





12 settembre 2013

San Francesco al Campo

Le impressioni
Domenica 8 settembre, ore 10
Gara UISP - 9,6 km a San Francesco al Campo (TO)

Certo non mi aspettavo di volare. In questo territorio verde e boschivo, poi, la caccia è più o meno consentita, e dunque occorre stare attenti. Alcuni hanno provato a volare a loro rischio e pericolo in mezzo alle stradine di campagna ben sorvegliate dagli ausiliari dei carabinieri, spesso intenti a sbadigliare davanti allo stormo sgambato di podisti sempre in cerca di decollo, o di un collo di bottiglia da afferrare.

Il vicino aeroporto di Caselle è però un invito ad immaginarsi in alto nei Cieli. Una sorta di preghiera dallo spirito sportivo. Il mio vicino di corsa sembra un motore che ansima ancor prima del botto di partenza. E' un vigneto che ribolle ancor prima della vendemmia.

Il decollo, però, è un affare di portanza gravitazionale. E una curva a pochi metri dal via, in piena discesa, scatena un mezzo inferno. C'è chi ha imbardato e subito abortito il suo decollo. Chi ha dato reverse ed esteso gli spoilers. Chi è esploso in un vaffa poco igienico. Anch'io sono stato poco esemplare, alzando per bene le gambe e pensando di calpestare chi si fosse trovato a mezza via tra la terra ed il mio cavallo imbizzarrito.

In breve, è andato tutto bene, ma poteva essere qualcosa di poco francescano. Il primo chilometro è nello sterrato e sento che l'energia mi assiste. Ho appena salutato Gabriele che con me, in auto, ha cercato - per tutto il tragitto di avvicinamento a questo paesino - di trovare un cappio di motivazione a cui appendersi, invano. Mi fa cenno di andare, e io vado.

Non sento praticamente nulla, nessun rumore dall'esterno, né dall'interno. Sono solo in mezzo a tanta luce, perché il sole ha riacceso i colori. Come nella poetica del fauvismo, nella sua sconsiderata immediatezza delle scie, scorrono a destra e a sinistra dei mie paraocchi i tratti accesi e puri di verde e giallo e blu spremuti direttamente dai tubetti della Natura schiacciata dal nostro vento. 

Il secondo chilometro è spirato senza che potessi accorgermi d'esistere, e questa è la sensazione di meraviglia che adoro, nella corsa. Mi giro e sento la voce di Gabriele che mi affianca e si propone di accompagnarmi. E' solo una voce. Lui, in carne ed ossa, arriva a mollare poco dopo e mi sparisce alle spalle. Assaporo due chilometri inseguendo le gambe di chi mi sta davanti. Non mi sorpassa quasi nessuno, anzi, ogni tanto riprendo qualche runner affaticato.

I pensieri sono pochi e dinamici come in "Safe&Sound" ("sano e salvo") di Capital Cities. Il ritmo è quello. Sì, è proprio ciò che occorre per attraversare i dieci chilometri indenne. Pochi, ma solidi pensieri. Battere i piedi senza far rumore. Spingere sulle punte e sollevare le ginocchia. Questa solitudine accentra le sensazioni fino a catturare qualcosa di chi mi precede. Lo copio, gli rubo lo stile di corsa, per vedere se le risposte sono ancora mie, acquisite, oppure no. A volte sono in due che stanno facendo strada, e mi intrometto; seguo la scia con occhi socchiusi e poi parlo anch'io.

Pian piano la solitudine arriva al sesto chilometro e qui mi accorgo che il significato di oggi è proprio quello di stare solo un po' con chi mi precede, prima di superarlo. Certo, tutto si svolge in qualche centinaio di metri, in qualche minuto nell'intorno dell'andatura massimale, mia e di altri venti o trenta come me. Perchè una settantina sono irraggiungibili, davanti, e più di duecentocinquanta sono dietro, ad un passo dalle rispettive stanchezze, e sofferenze, e gioie, e ideali di vita.

Anche i miei compagni di squadra sono un po' avanti e un po' indietro. L'Atletica è spezzata in due o tre pezzi. Domenico Amorosi è la lama più affilata di tutti, e di punta arriva al traguardo in 34'45", terzo assoluto. Un vero Atleta. Seguono i top runner Giuliano (35'34") e Gianluca (37'27") e subito alle spalle il Presidente e Gianni dei "cugini che corrono". Al minuto 38'52" taglia il traguardo Raffaele, insoddisfatto ma sempre forte per il resto del gruppo. Al 40'36" finalmente raggiungo il ristoro pure io, 7° dell'Atletica e 89° assoluto (su 312 arrivati). Gabriele arranca un po' deluso della sua prestazione; gli sorrido, e ci abbracciamo prima di addentare i biscotti duri e sputacchiare il thè bollente alla ricerca di qualcosa di ghiacciato. Roberto è ancora dietro e poi Vito in una buona forma davanti a Francesco. Grande prova per il giovane acquisto Lorenzo Barale, diciassettenne che ha vinto la corsa degli Allievi e poi si è piazzato dietro Gabriele nella nostra gara!

Al sito dell'Atletica i dettagli di classifica.

Le impressioni più intense le ho lasciate lì nella grande piazza San Francesco, insieme a quelle di tanti altri. Anche quelle più povere e più umili. Quelle della fame di torta e quelle della buona scorta di entusiasmo per affrontare un ultra-trail...