11 ottobre 2012

Piccoli spazi


Ci sono molti spazi in cui muoversi o stare fermi. Ci sono spazi psicologici, fisici, sociologici, filosofici, biologici. In questi spazi siamo stati educati da piccoli e poi abbandonati. Mi piacerebbe ritrovarne i confini più lontani, anche nel tempo, quelli interiori.

Negli anni Sessanta, l'antropologo americano Edward Hall indagò sulle esigenze spaziali degli uomini e sui legami comunicativi. Fu proprio lui  a coniare il termine prossemica che tanto mi affascina. Il latino proximus ci avvicina al prossimo, nel senso di intorno spaziale. La prossemica è lo studio del significato dei messaggi non verbali che riguardano la gestione dello spazio degli esseri umani. Per telefono, per dire, non c'è prossemica che tenga lontani dalla cornetta...

La distanza tra le persone è stata catalogata. E' definita intima, personale, sociale o pubblica, e va dal contatto ai 3 metri e mezzo. La distanza alla quale ci si sente a proprio agio con altre persone dipende dalla cultura: gli arabi preferiscono stare molto vicini, gomito a gomito; gli europei e gli asiatici si tengono fuori dal raggio di azione del braccio. I maschi, poi, si trovano più a loro agio a lato di una persona, invece le femmine di fronte. Gli ecclesiastici accorciano la distanza relazionale e spaziale chiamando "figli" le persone che incontrano...

Ma in uno spazio ristretto le dinamiche si esasperano sempre. Ecco che in ascensore gli europei si dispongono in cerchio con la schiena alle pareti, mentre gli americani in fila con la faccia alla porta.

Leggo sulle news di oggi che il dottor Lee Gray, professore alla University of North Carolina, soprannominato "Guy Elevator", ha come propria attività il controllo di questa forma di trasporto pubblico. Così spiega: "L'ascensore diventa un interessante spazio sociale in cui ci comportiamo stranamente. Spesso è un luogo difficile".  Quando entriamo in un ascensore ci disponiamo istintivamente come i puntini della faccia di un dado. All'arrivo di un nuovo passeggero potremmo essere costretti a spostarci, e qui si osserva una specie di danza a quadrato, il tutto per mantenere una distanza massima con gli altri al fine di evitare contatti indesiderati. Se siamo soli ci disponiamo dove più ci piace, mentre in due occupiamo gli angoli opposti in diagonale. La terza persona che entra si pone a formare un triangolo, rompendo l'analogia con i puntini su un dado e la quarta completa il quadrato. Una quinta persona, probabilmente, è costretta a posizionarsi nel mezzo. Per tutti, all’interno, lo sguardo è diretto verso il basso.

Lo sguardo è basso sia che l'ascensore salga sia che scenda. Ma quando scende, verso l'uscita, l'ansia diminuisce. Non più serrate i ranghi, ma tana libera tutti...

Chissà se è così anche negli ascensori di Montecitorio...




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