29 gennaio 2014

FCA

Per tutti i diavoli, che "marchione" è mai questo?

Dal Sole24 ore:
" Nel marchio le tre lettere vivono all'interno di una raffigurazione geometrica ispirata alle forme essenziali della progettazione automobilistica: la F, generata dal quadrato simbolo di concretezza e solidità; la C, che nasce dal cerchio, archetipo della ruota e rappresentazione del movimento, dell'armonia e della continuità; e infine la A, derivata dal triangolo, che indica energia e perenne tensione evolutiva.
Il marchio genera un linguaggio agile, moderno, capace di cambiare continuamente senza mai perdere la propria valenza identitaria. "
Fino a ieri FCA mi diceva solo "free carrier", che non significa libera carriera ma "franco vettore", ovvero consegnare la merce sdoganata all'esportazione, una modalità di scambio merci ben definita.

Oggi tutto cambia. FCA può sembrare una contrazione lassativa di qualcos'altro, qualcosa che può partire da una "fava di FuCA". Oppure può sembrare un orientamento anisotropo, come quello che permette di scorrere solo in avanti, senza scivolare indietro, delle fibre della favolosa "pelle di FoCA"...

In enigmistica, l'operazione di eliminazione di una lettera da una parola si chiama propriamente "scarto". FCA può dunque sembrare già in partenza uno scarto. Il marchione, a vedersi, non ha certo l'eleganza dell'acronimo completo di "Fiat Italia Chrysler America".

Certo, FCA sarà la deviazione standard, o scarto tipo, della soddisfazione (alla guida) di un povero italiano rispetto al valore atteso di soddisfazione di un ricco tedesco. Un indice di dispersione che io, deviato, non vorrei fosse la radice quadrata della varianza, ma il quadrato della speranza che è sempre l'ultima a morire.

Nessuna traccia di rimpianto. Viva il DNA (italiano), non la DuNA, però!


26 gennaio 2014

Il profumo

In questi giorni di allenamenti senza mete, di parole travasate da un respiro all'altro, di chiacchiere abbandonate ai tramonti ventosi e altre cose vissute correndo per caso, il naso è sempre stato il filtro magico verso un certo infinito.

Per correre come un cane a sei zampe basta un po' di voglia di stare sulle gambe, ma per svolazzare come un aquilone nelle sfere delle sensazioni è necessario respirare... con i neuroni.

Risalendo una braciola c'è chi raggiunge il paradiso dantesco. Ma io preferisco, solo per un pretesto, ricercare il profumo del vino. Quando corro mi faccio rapire dai cosiddetti "sentori", quelli primari, secondari e terziari...

E allora, come i sentori primari di un vino sono i profumi che dipendono dal tipo d'uva utilizzata e dal terreno in cui si coltiva, così i sentori primari della mia corsa sono profumi che dipendono dalla compagnia e da dove si corre (strada di città, viale di un parco, sentiero di montagna...).

Se i sentori secondari di un vino sono i profumi della vinificazione, trasferiti dalla pigiatura e dalla fermentazione, i sentori secondari della corsa sono i profumi della fatica e del sudore, dei lamenti, degli sbuffi, dei sorrisi e delle smorfie, delle storte e delle strette di mano che una volta nati devono vivere, e così fanno casa nella testa. Poi fanno comunità e sportivamente si sfrattano a vicenda. Il naso c'entra poco solo all'apparenza: di colpo qualcosa può assomigliare ad una pizza margherita o al gorgogliare di un caffè che non s'è bevuto.

E poi ci sono i profumi terziari, dovuti all'invecchiamento. E' ciò che resta dopo la doccia, e dopo un gran pasto ristoratore. All'esame olfattivo, il profumo di una corsa è più o meno intenso, complesso e di qualità. Proprio come un vino.

Poi c'è la poesia. Quella che creano la fantasia ed il bisogno di aromatizzare il nostro tempo. Il resto può essere più o meno vinoso, floreale o fruttato. Perché il resto (del tempo) risente di ciò che nasce dal nulla mentre si corre, e rimane nel tutto inesprimibile dell'inconscio.


Oggi l'allenamento è stato bello speziato, a volte legnoso, a volte tostato. Anche questo, ma non solo, la bellezza di 18 km di sterrato e oltre 600 metri di dislivello positivo.

Con Gabriele, all'attacco del Musinè

19 gennaio 2014

L'ombra

Nel tempo dell'allenamento (che salta per il maltempo) provo ad osservare l'ombra; non quella che con il sole mi può superare, ma quella che senza neppure la luna inchioda le tracce del nostro agire.  Penso a Jung: è lui che ha introdotto nella psicologia analitica il concetto fondamentale di “ombra“. 

L'inconscio contiene ricordi che sono andati perduti, traumi rimossi, percezioni non abbastanza intense da raggiungere la coscienza, contenuti non ancora maturi per la coscienza. L'inconscio corrisponde alla figura, variamente presente nei sogni, dell’ombra. 

Jung intende per ombra "il lato negativo della personalità, la somma di caratteristiche nascoste, sfavorevoli, di funzioni sviluppatesi in maniera incompleta". Aspetti primitivi e disprezzabili, inaccettabili per l’Io; e quanto più essi vengono scacciati dalla coscienza tanto più sarà pericoloso. 

Quanto più l’uomo non accetta di portare con sé il proprio passato, ossia “l’uomo primitivo e inferiore con tutte le sue bramosie e le sue emozioni”, tanto più sarà pericoloso.

Ognuno di noi è seguito da un’ombra, e meno questa è incorporata nella vita conscia dell’individuo, tanto più è nera e densa. Se un’inferiorità è conscia si ha sempre la possibilità di correggerla, ma se è rimossa e isolata dalla coscienza, essa non viene corretta. Anzi, in un momento di disattenzione potrà erompere improvvisamente”.

È questo un concetto fondamentale nella teorizzazione di Jung: non possiamo sfuggire ai nostri errori, al nostro lato oscuro, alla nostra inferiorità. Quanto più evitiamo di rimuovere l’uomo inferiore che abita in noi, tanto più gli impediremo di ribellarsi e di farci del male. Affrontiamolo, non lasciamo che diventi un persecutore.

Riconosciamo l'ombra, diamole voce. Non proiettiamola sugli altri per evitare l’incontro doloroso col nostro alter ego oscuro, il nostro doppio. L’ombra è la notte della coscienza, ma può diventare alba e nutrimento per la coscienza stessa. 


L’"individuazione" inizia proprio “quando si riesce a prendere coscienza dell’ombra”. 

Se riuscissimo ad assimilare la parte oscura che appartiene ad ognuno di noi, potremmo liberare l'energia che essa nasconde, e renderla disponibile all’Io.

Alziamo lo sguardo alle stelle, e scrutiamo l'infinito che si apre dentro noi. 



5 gennaio 2014

Walter Mitty

"Vedere il mondo, cose pericolose da raggiungere, trovarsi l’un l’altro, e sentirsi..." (slogan Life)

"È un Walter Mitty" è un neologismo popolare che si riferisce a chi passa più tempo sognando a occhi aperti piuttosto che a vivere la vita reale.

Il film si ispira a The secret life of Walter Mitty di James Thurber, un classico americano del 1939, una pietra miliare della narrativa a stelle e strisce. Stiller però, basandosi sull'adattamento scritto da Steve Conrad, lo sceneggiatore de La ricerca della felicità, aggiorna il racconto ai tempi moderni, descrivendo un uomo e la sua iperattiva immaginazione che lo porterà alla riscoperta della vita.

"Quello che mi piace di questa storia è che non può essere classificata", dice Stiller a proposito del suo film. "C'è la commedia, c'è il dramma, è una storia di avventura, è reale ed è fantasticamente iper-reale. Ma al centro di tutto questo c'è un personaggio nel quale, io credo, tutti possano ritrovarsi, qualcuno che sembra stia semplicemente passando attraverso la vita moderna e che in realtà ne sta vivendo una completamente diversa nella sua testa. Per me, lui incarna tutte quelle cose che immaginiamo su noi stessi e il mondo, ma che non diciamo mai".
Il Mitty di Stiller è un uomo mite che ha bisogno di trasformare nella sua testa i propri fallimenti quotidiani in qualcosa di molto più sorprendente. Ma nel suo regno privato di fantasticherie è un eroe. Il regista attore spiega: "Steve (lo sceneggiatore) mi ha detto: 'Dentro il petto di ogni uomo americano batte il cuore di un eroe' e volevo che il film avesse quel tipo di rispetto per tutte le cose che le persone normali devono attraversare ed affrontare, sia che si tratti di un ragazzo a cui nessuno presta attenzione o del presidente degli Stati Uniti. Il viaggio di Walter celebra il potenziale dentro ognuno di noi".
Il Mitty di Stiller, come molti di noi, si sente assediato da un mondo sempre più spersonalizzato ed elettronico che sta cambiando rapidamente ogni cosa, così che il suo stile di vita sta diventando obsoleto. È un uomo che è stato dimenticato, proprio come Life, l'ultima rivista di cronaca visiva della cultura americana che è stata trasformata – da apprezzato e riconosciuto strumento di informazione – in un sito web.
Per Mitty tutto cambia proprio in seguito alla sua ricerca dei negativi perduti di un famoso fotografo di Life, Sean O'Connell, un personaggio sfuggente che è diventato una sorta di rock star del mondo della fotografia, noto per il suo impegno incessante nel catturare una storia a qualunque costo. Lo interpreta niente di meno che Sean Penn: è lui l'iconica e la misteriosa figura che trascina Walter Mitty fuori, nel mondo reale.
"I sogni segreti di Walter Mitty" invitano a seguire l'ottica di Life, fermandosi ad osservare, e riempendosi profondamente di quei momenti speciali che sono "la quint'essenza" di una vita.
Ho indovinato il finale, l'ultima copertina di Life, e questo mi ha reso stupidamente orgoglioso.


4 gennaio 2014

Lasciare il segno



Pannello di controllo delle intenzioni

Ci sto provando...

L'ho sentito dire da poco...

Sono l'ombra di qualcun altro?

Sognate le caramelle al pistacchio.

Bradisismo devastante...

Tenendo i piedi per terra.

Una risata vi seppellirà...

Esatto, la realtà virtuale...

Compagni ed ex-colleghi...

Non c'è niente da ridere.