27 ottobre 2012

Bi(sogni) di corsa

La corsa è ricerca, esplorazione, viaggio. La corsa è fatica, tensione, coraggio.

Ci sono premi neurologici che conducono all'euforia, e i biologi sanno riconoscere questa chimica affine alle droghe, frutto dell'evoluzione, che pervade il corpo dopo la corsa, naturalmente.

Ci sono premi psicologici che invitano alla riflessione, e chiunque può riceverli, aprirli e smontarli per farci qualcosa. Ma cosa?

Chi corre è alla ricerca di qualcosa. L'ho capito.

L'atleta cerca il risultato, è selezionato dalla Natura, segue una via che è per pochi. E' solo, è sopra gli altri e cerca i limiti della specie. Suscita l'ammirazione, ma non mi incuriosisce.

Il non-atleta, invece, cerca il mandato, la tessera del puzzle personale. E' una folla di esseri senza tempo portatori di conti in sospeso con la vita. Il non-atleta mi parla di imprese personali, dimagrisce, si trasforma e si vede incompleto. Sì, mi incuriosisce moltissimo.

Il non-atleta runner quotidiano è un portatore sano di bisogni psichici. Non è abbastanza sofferente per vedersi normale, e corre. Non è abbastanza sofferente per vivere i sensi senza colpe, i profumi senza ansie, e corre, immaginando di toccare il cielo con un dito, ad occhi chiusi e denti stretti, senza raggiungerlo mai.
Ogni runner cerca, con la sofferenza e la fatica, la sua regola di vita, la misura di un'esistenza, una posizione sociale all'interno di una realtà che non ha strutture e che esiste solo nella sua mente; una realtà intransigente e meritocratica, il risultato di una costruzione della volontà.

L'impegno e il risultato sono valutati da numeri e tabelle, da confronti molto attenti. Tanto razionali sono i parametri di giudizio quanto irrazionali sono le spinte e le scelte di intraprendere la corsa, l'allenamento, la gara. Insoddisfazioni profonde spingono a vivere la corsa come un duro lavoro, una schiavitù inconsapevole e pericolosa. Insoddisfazioni superficiali, invece, stimolano a vivere per colmare bisogni psichici.

Perché il runner qualunque ha a che fare con la psicoanalisi e porta sicuri argomenti per lo psicoterapeuta, ma generalmente non lo ammette e non lo comprende. Lo rifiuta e non si pone ulteriori domande, ma sta di fatto che chi corre quotidianamente cerca in sé, nella corsa, un aiuto che non trova a portata di mano. Forse non ha la possibilità, il carattere o la consapevolezza di accettare una condizione che non desidera, di mutarla, e per questo si lancia in un viaggio del corpo, attraverso il mondo perduto (della psiche), alla ricerca di modi e tempi del sudore e del cuore per declinare ancora la felicità e i suoi (bi)sogni.

Bisogni secondari? Sicurezza e stabilità, affermazione e miglioramento, premio e privazione. Sogni e bisogni di controllo sull'essere umano (ovvero su se stessi). Bisogni secondari solo alla sopravvivenza.

Il runner qualunque rincorre un insieme di cose che non potrà mai raggiungere consciamente. Può accadere di affiancare alcuni sogni nei fatti psichici profondi e perdere alcuni stimoli dinamici, ma non tutti.

C'è una bilancia corpo-mente: la corsa da una parte e i bisogni psichici dall'altra. L'equilibrio è il risultato di un bilancio tra la chimica e la psicologia in cui lo sforzo fisiologico segue il bisogno psichico e non viceversa. Ovvero è la mia testa che mi dice di correre, non altri, non altro.


1 commento:

Anonimo ha detto...

E se è vero che è la nostra testa che ci dice di correre, sono le nostre gambe, i nostri polmoni ed il nostro cuore che ci accompagnano in questa avventura, e non sempre sono contentissimi di farlo.....magari preferirebbero accompagnarci dallo psicanalista!
Max