4 gennaio 2012

Il Buio

Pronto? Come da accordi, l’impegno è, il programma prevede, scusi che significa, le cose stanno così, la tabella è pronta, predisponiamo la relazione… bozza, invio… click!

Anche oggi gli ingredienti per l’ufficio sono stati amalgamati con tranquilla organizzazione: la crisi si sente, eccome. Franco aspetta direttive, io filtro, Aldo è l’unico che ha un carico completo per tutto l’anno. Ma quasi tutti gli altri stanno consumando le materie prime. La farina del grande sacco è quasi alla fine. L’acqua non manca certo, ma costa troppo tutto il resto…
Dopo la cottura del giorno, ancora sul calore di lavorazione, esco ed infilo la strada di casa. La giornata nebbiosa ha lasciato il posto ad ampie sfere di sereno per poi fermentare con aria più calda in varie striature sagomate dal vento. Un sentimento di timidezza rossiccia chiama in azzurro una falsa primavera. Meno giuliva, primitiva ed invernale, la scena scompare nel buio dei successivi minuti. E tutto è più triste di prima. Tristissimo e scoraggiante.
Prima, però, ho il tempo di osservare il movimento, dal basso, del colore e dello spessore delle nubi. In una frazione di tempo impercettibile rivedo le anse di un grande cervello e poi masse di gomitoli assaliti da un gatto. Non sento alcun suono, tutto è estremamente lontano e leggero…
Intanto il pensiero è partito da questi substrati energetici verso un’intervista a Pietro Trabucchi, professionista già psicologo della squadra olimpica di sci di fondo nel 2006, sul tema della psicologia negli sport di resistenza, da qualche parte nella rete e qui di seguito accennata…

“La netta separazione tra la mente ed il corpo, di cui è permeata tutta la nostra cultura da oltre duemila anni, influenza il modo in cui vediamo le prestazioni sportive: anche il fenomeno della fatica non fa eccezione. Comunemente si raffigura la fatica come il prodotto di un insieme di sensazioni di origine puramente fisica, cioè qualcosa che avviene esclusivamente nella fibre muscolari e che il cervello registra passivamente. In realtà si tratta di un fenomeno estremamente complesso dove i fattori fisiologici interagiscono continuamente con quelli psicologici o mentali. Durante la corsa il cervello riceve costantemente una serie di segnali: questi informano il sistema nervoso centrale sullo stato di molti parametri, quali il livello dei substrati energetici disponibili per i muscoli, la frequenza ventilatoria, la temperatura interna, il livello di lattato presente nelle fibre… Questa mole di dati comincia ad essere assemblata da alcune aree cerebrali dette sottocorticali; queste sono zone lontane dalla corteccia cerebrale, che è l’area più evoluta del cervello, quella dove nasce il pensiero cosciente: si tratta perciò di processi di cui non riusciamo ad avere alcuna consapevolezza. Il lavoro di assemblaggio delle informazioni serve a farle confluire in una sensazione unitaria. Molto verosimilmente è durante questa fase di costruzione che entrano in gioco le variabili psicologiche, le quali sono in grado di modificare la sensazione finale (di fatica) che scaturirà.”

Mi preparo e inizio a correre. E’ buio da poco, ma sembra d’essere in un cunicolo della miniera di talco di Prali, confuso dalla polvere e dall’oscurità interiore che mi invita a rallentare, a risparmiare la fatica per una via d’uscita. 
Forse tutti quei colori effimeri hanno bruciato l’anima della sera in una vampata di fuoco, o cortocircuitato il mio impianto di illuminazione dei sogni…
Corro nel buio, corro e già è qualcosa...

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