26 luglio 2012

L'Amore

Scrive lo psicoanalista americano Stephen Mitchell: "Se io ti do il mio amore, che cosa ti sto dando di preciso? Chi è l'Io che sta facendo questa offerta? E chi, per inciso, sei tu?"

Il tema è caro all’umanità, e ai filosofi. E allora lancio in aria alcuni birilli di Umberto Galimberti e - come fanno gli artisti di strada ai semafori di città - m’impegno a maneggiarli (per una monetina, e per un giorno di libertà).

Se è vero, come dice Freud, che l'amore è l'unica condizione per poter vivere, non c'è alcun dubbio che amare l'altro è, di fondo, amare se stessi. Questo amore di sé è ciò che rende possibile il dialogo tra la propria parte razionale e la propria parte folle o irrazionale, a cui la natura ci invita per accedere ad una compiuta espressione di sé.

L’Amore non è una faccenda dell'Io (della nostra parte che ragiona): per questo nessuno crede fino in fondo all'altro quando dice "Io ti amo". Sempre Freud ricorda che "l'Io non è padrone in casa propria", cioè non conosce le forze vere che determinano le sue scelte. L’Io fugge dagli abissi dell’essere. Può soltanto scorgerli.

L'abisso folle che ci abita vuole espressioni che sappiano raggiungere le nostre regioni più lontane, profonde e indistinte, per assaporare come il piacere si intreccia con il dolore, la maledizione con la benedizione, la luce con il buio, perché da quel fondo tutte le cose appaiono incatenate, intrecciate, innamorate.

Ci si scalda, si scalpita, finché un giorno si incontra qualcuno che riflette questi abissi come uno specchio, e li rinvia in una domanda inquietante che turba la visione chiara e lucida che il nostro Io s'era fatto del mondo. E quando il riflesso è reciproco, è Amore, inevitabile messa a nudo di sé tramite l'altro. Il giorno può anche non arrivare mai, oppure non finire; qualche volta può essere semplicemente un sogno, o un’illusione.

La scoperta della nostra follia segreta ci attrae e ci inquieta, ma con le sole forze dell'Io non possiamo inoltrarci in quelle regioni inaccessibili o travolgenti, da soli. Abbiamo bisogno dell'altro, come Dante di Virgilio per scendere all'Inferno. Amiamo l'altro quando tramite lui scopriamo noi stessi, e l'altro tramite noi scopre se stesso. Non amiamo chiunque, ma solo chi riflette fedelmente i nostri abissi. E’ l’inconscio che decide chi si può amare.

Una volta scesi nella nostra protetta follia, grazie all’Altro che riconosciamo "di averci fatto impazzire", non riemergiamo più quali eravamo, perché - dopo esserci concessi al cedimento dell'Io - l'altra parte di noi ci ha contaminato. E per effetto di questa contaminazione, qualunque sia l'esito della vicenda d'amore, noi non siamo più quel che eravamo.

L’altra parte di noi non si smette mai di cercare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

"E come posso sapere chi è l'Altra Parte di me?"
chiese Brida...
La donna di fronte a lei sorrise....
Era possibile identificare l'Altra Parte di sè dal bagliore dello sguardo: sin dall'inizio dei tempi, era in questso modo che le persone ricononoscevano il vero Amore.

Ma nella tradizione della Luna esisteva un'altra maniera....
No... non poteva riverarglielo... era troppo presto... ancora troppo presto.