14 febbraio 2012

Il vento

Lo sento nella trachea se solo ci penso, al vento. Quando pronuncio, la prima vocale si schiaccia e-comprime l'addome nel centro; risacca sopra l’intestino prima di unire al respiro il suono o-stinato dell'ultima vocale, spartito banale.

Rimango sempre un po’ ostaggio delle ultime vocali, mentre leggo. Tagliano l’immagine, si portano via la parola. Una bora, ad est della scrittura, che dall’inconscio scompagina la frase fino all’ultimo rigagnolo d’inchiostro, e poi solleva il foglio e ondeggia con orgoglio. Sul nuovo, capitolo.

E mi chiedo se non valga la pena infilare la tuta e parlarci col vento, partecipare in corsa al suo gelido dipinto. Firmare un giorno speciale, fermarsi un istante, e svoltare.

Su La Stampa di ieri, il narratore Giuseppe Longo scrive più o meno così sulla bora: 
«Io ho con la bora un rapporto difficile, anche se vivo a Trieste da quand'ero piccolo. Dicono che i forestieri alla bora non si abituano mai e prima o poi alcuni devono tornarsene nei luoghi d'origine. Certo anch'io starei meglio lontano dalla bora: comincio a sentirla quando ancora non è arrivata, di solito la sera prima. 

E poi arriva: un tremitare urgente, un'agitazione secca e nervosa dell'aria; da remoti altipiani nasce il soffio della terra, scende dai contrafforti del Carso, ossa calcinose dei continenti, scuote i boschi, schiaffeggia le distese del golfo, forza i camini, le colombaie, i lucernari, fischia sui davanzali: la città muta aspetto, esce limpida e scintillante dalla foschia, affronta la bora a viso aperto, cristallina e sonora. 

La bora ti scava dentro, ti fa impazzire. Nelle notti di bora, l’appartamento dove vivo, esposto a tutte le raffiche come una banderuola, non mi dà nessun affidamento: fors'anche per essere una soffitta e non un vero e proprio appartamento, è il luogo di tutti i gemiti e di tutte le vibrazioni, è una cassa armonica, un amplificatore, una camera d'ascolto: insomma, quando soffia la bora qui è un inferno e vengo colto da un nervosismo e da una sovreccitazione insopportabili; dentro mi si rivolta tutto un fondo limaccioso di dolori e di ricordi. È una vera e propria tortura dell'anima. 

Sono convinto che c'è in questo vento impetuoso e brutale una forza negativa, un'influenza che si manifesta nella mente, oltre che nel corpo. Quasi ogni famiglia di Trieste ha un componente matto o almeno squilibrato o almeno strambo. Basta andare nella zona di via Giulia e osservare i passanti per vedere che guasti può fare alla psiche umana un vento come la bora che insiste da secoli se non da millenni su questa zona, levigando alberi e rocce e picchiando sulla nuca della gente, tanto che molti presentano un occipitale a filo del collo, scarso o addirittura privo di capelli, come per una badilata…»

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