20 febbraio 2012

Il Carnevale

C’è confusione tra la festa qualunque, il paese, e il Carnevale di chiunque. 

Il fruscio di colori qui attorno si mescola nell’aria e si spalma ondeggiando sulle maschere e i costumi, sui capelli porosi e su quel cappello da fata Morgana…

Gli occhi si perdono in antichi mestieri. Le vie e la piazza ricordano la cardatura della lana, la spannocchiatura del mais, la pulizia di lenzuola con acqua calda e cenere, la tipografia. Maschere di generazioni meccaniche travolte da questo fruscio riappaiono. La memoria di quell’Alpino ha riacceso negli occhi il focolare della nonna, una stufa piena di ceppi rossi come gli stop a led della nuova Golf… Una piacevole frenata, il vin brulè o la cioccolata. 

Si vendono i ricordi tra le bocche aperte e quelle chiuse di chi ascolta. Sono frammenti incollati dallo stesso fruscio di fondo che s’insinua dappertutto e isola bene, più vicini, i ricordi ancora caldi. Qualche coriandolo si stampa sulle pareti dei sorrisi e accenna una crepa di gioventù avanzata. Buttata lì dalla mano del figlio o dell’amico che raccoglie le tessere bagnate di ghiaccio (color terra), anche la vita riappare, e scompare; vittima della gravità altalenante della follia (di un equilibrio non proprio da Vasco). 

Si comprano cose dell’altro mondo, tanto per mascherare il tempo da Carnevale. Il carro delle arance è da un’altra parte, ma la battaglia è anche qui a mietere vittime umane, cadute insieme alla loro libertà… 


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