4 luglio 2014

minchia signor tenente...

Attore, comico, cantante, romanziere, pittore...
Da un'intervista di tre anni fa.


Lo sport è una metafora?
"Dell'esistenza. È la guerra senza morti, feriti o bombardamenti. Una lotta senza lutti, in cui vince o dovrebbe farlo chi è più preparato. A volte non succede perché la vita non è un'equazione".


E cosa serve nella vita?
"Raggiunta la statura per guardarmi allo specchio del bagno, ho capito che sulla bellezza non potevo contare. Della mia intelligenza dubito, ma alla curiosità non ho mai rinunciato".

Il segreto del successo?
"La gente ha olfatto. Smaschera i bluff, le operazioni a tavolino, i volumi creati in laboratorio per trasformarsi in caso editoriale. Io scrivo ciò che sento, mi diverto e lavoro senza avere l'impressione di farlo. Se ci pensa, un vero privilegio".

Come nasce un bestseller?
"I miei hanno visto la luce qui, davanti al mare. Sveglia alle otto, colazione, salvifici ciondolii senza costrutto e poi, via, al computer. È un percorso lungo. Dura almeno sei mesi, ma non mi lamento. Se penso che faccio lo stesso mestiere di Hemingway e Vargas Llosa, mi sento mancare".

Dopo la malattia il tempo è più importante?
"Per un istante ho creduto che il tempo fosse finito. La malattia ha aspetti truffaldini e nessuno ti viene ad avvertire. Arriva e basta. Uno ti batte sulla spalla: "È ora di andare. Subito". Rischiare l'esistenza mi ha cambiato la prospettiva. Ho imparato a non rimandare. Faccio solo quello che mi convince. Nei limiti di una ragionevole umanità, credo di essere coerente".

Per Prezzolini era la virtù degli imbecilli.
"Secondo me non è una virtù, ma una caratteristica. Coerenza non significa immutabilità. Tutti cambiamo e, all'improvviso, non siamo più gli stessi. Io sono corretto, dico le cose in faccia e mi rifaccio a un antico proverbio veneto: "La minestra ti sarà servita con lo stesso mestolo con cui l'hai servita tu"".

Cova rancori?
"Pochi, ma ci sono cose che non riesco a perdonare. Umiliazioni gratuite, persone che hanno colpito con perizia quando ero più debole e incapace di reagire. Non dimentico e non stimo i vigliacchi".

Ascendenze familiari?
"Sono cresciuto in una casa modesta, ma uno nasce dove indica il destino. Cinquanta chilometri in là e avrei potuto chiamarmi Agnelli, invece sono, senza rimpianti, figlio di Carlo Faletti. Mio padre era ambulante, mia madre sarta. Vivevano in periferia, quando raggiungevano il centro dicevano seri: "Andiamo ad Asti"".

I suoi la sostennero?

"Non avevano gli strumenti. Papà era meticoloso. Sognava di entrare in banca come fattorino, ma a causa di uno zio disertore nella Grande Guerra, un'onta incancellabile, non ce la fece mai. Mamma almeno ebbe la ventura di seguire il mio percorso. Ho voluto bene a entrambi, di quell'affetto che non ha bisogno di dimostrazioni".

Infanzia difficile?
"Felice. Colorata. Fantasiosa. Se uscivo dalla porta principale avevo il viale, sul retro si spalancava il Far West. La pianura, il ponte, la ferrovia, la libertà. La sera, in cortile, i grandi tornati dal lavoro giocavano con i più piccoli a Pallapugno. Nessuno aveva niente e ogni cosa era pulita, vivace, meravigliosamente semplice".

Imparò a leggere allora?
"Mio nonno aveva un magazzino. Come molti altri, nell'Italia del dopoguerra, si arrangiava. Comprava, rivendeva, ammassava senza requie i materiali più vari. Un giorno scaricò alcuni scatoloni di libri. La mia educazione alla lettura sbocciò nella sua cantina. Ho letto dei classici a un'età in cui di solito si leggono i fumetti. Ricordo "Per chi suona la campana" e un capolavoro dell'umorismo, "Tre uomini in barca". Per capire certi meccanismi comici, la lezione di Jerome è stata fondamentale".

Poi si laureò.
"In Giurisprudenza, per far felice papà. Tuttavia, più che il pezzo di carta potè il mio primo mentore, il dottor Villavecchia. Mi assoldò per una rivisitazione di Giulietta e Romeo. Andò benissimo: "Potresti persino fare l'attore". Gli diedi retta".

La rallegra il consenso?
Non amo le persone che si esibiscono ma stravedo per quelle che una volta arrivate in cima, rimangono uguali al giorno prima".

All'Elba è possibile?
"Si è guardato intorno? Che io sia scrittore o contadino, alla gente del posto importa zero. Se avessi desiderato altro, oggi sarei a Formentera".

Invece vive qui.
"Otto mesi l'anno. Avevo un bilocale, venivo di rado. Un giorno persi il traghetto e partii da Piombino che era quasi l'alba. Sbarcai qui alle sei di mattina, con l'acqua piatta e la prima luce. Odori e sensazioni che da ragazzo provavo in Liguria, alle feste dell'Unità, quando la politica era secondaria e un calamaro fritto sembrava il Santo Graal. Pochi anni dopo vidi il sole incendiare il mare al tramonto e decisi di trasferirmi qui".

Se le danno del pessimo scrittore?

"Mi rimane la libertà di pensare che esistano anche pessimi critici".

1 commento:

Bio Correndo ha detto...

Un bel modo per ricordarlo, il migliore dopo tanta retorica!