16 febbraio 2012

La patata

Finalmente il cielo si è trasformato ed ha cambiato le nostre facce. I colori sono usciti a correre sopra le teste, sulla tavolozza ancora ricurva per l’umidità.

L’inverno e la pestilenza di questo gelo si sono placati giusto il tempo di sognare nuovi raccolti più felici. L’immaginazione è ripartita da lì, dai volti sfumati che la giornata mi ha incollato nella retina emotiva e che ora riemergono davanti all’azzurro maculato che sfreccia poco sopra il mio cappellino, e la neve quasi sciolta del parco.

Riconosco i nasi a patata e le fronti a botte. I capelli lucidi e quelli ricci dei super tecnici folgorati da troppa informatica. Le nuvole sono sempre state il mio pongo. Sempre un passo indietro, la mia coscienza. E la scienza due.

Ma questa sera a farla da padrone è l’enorme naso a patata con narici scure, visto dalla pista innevata, in evoluzione plastica verso uno starnuto, forse, all’orizzonte (giallastro e striato di rosso sangue). Forse il naso di un malato, che certo non annusa felice l’aria di primavera…

Ed ecco che m’assale l’articolo di Guido Ceronetti, sulla stampa di sabato scorso, a proposito di patate che hanno cambiato la visione della storia…

“E io ripenso all’Irlanda del 1822 e alla terribile morìa della Patata che ebbe per conseguenza una gigantesca trasformazione dell’antropologia e della storia nordamericana.

In tutto il Nord Europa dei poveri, in quegli anni, la Patata, portata dal Sudamerica dagli spagnoli, era l’alimento principale. Riempiva la pancia, ma non riparava le inevitabili carenze e il suo contenuto di solanina la rendeva, in grandi quantità, tossica. Come in Sudamerica, anche le patate europee erano tuberi mostruosi, grandi come palloni da gioco; gli Irlandesi, quasi tutti poverissimi, le avevano adottate con favore di disperazione. Ma dopo un inverno simile a quello che stiamo sperimentando in Italia, la patata irlandese fu colpita da una misteriosa pestilenza. Una sera il signor O’Connor, contadino dei dintorni di Dublino, tornò a casa sconvolto, e annunciò ai famigliari che nei loro campi di patate da un giorno all’altro tutto il raccolto era perduto… Tutta la famiglia O’Connor e innumerevoli altre furono sterminate dalla denutrizione…

Venti anni dopo, la pandemia ancora imperversa, e dopo un milione di morti per fame e indebolimento cronico il popolo superstite decide di trasferirsi negli Stati Uniti, abbandonando per sempre l’isola di Smeraldo dai campi appestati.

E in America, tutti quei contadini voltano le spalle alle campagne e alle piantagioni, rassegnati al pane americano di mais, e si buttano a trafficare alcolici, si fanno agguerriti quartieri propri nelle città, si arricchiscono con l’industria, puntano alle amministrazioni, diventano la più forte presenza etnica di New York. Di origine irlandese è la stirpe dei Kennedy, cattolici, senza scrupoli, ricchissimi e decisi a portare uno di loro alla Casa Bianca.

Anche il padrone dei grandi macelli di Chicago è un discendente del contadino che tra i primi aveva sofferto della morìa della patata, tra la grande Depressione e il proibizionismo, Patrick O’Connor. E vende whisky agli indiani, come molte altre famiglie irlandesi. Insieme ai familiari parla la lingua celtica e non mangia patate, per rifiuto dell’inglese e orrore della pestilenza.

E così, l’emigrazione patatista del XIX secolo ha cambiato la faccia dell’America…

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