29 gennaio 2013

Divagazioni evolutive

Liberamente tratto da: "Il Sistema periodico", Storia di un atomo di carbonio, 1975, Primo Levi.

Un certo atomo di carbonio giace da centinaia di milioni di anni legato a tre atomi di ossigeno e ad uno di calcio, sotto forma di roccia calcarea. Ha già una lunghissima storia cosmica alle spalle, ma per lui il tempo non esiste, o esiste solo sotto forma di pigre variazioni di temperatura, giornaliere, stagionali.

Un colpo di piccone lo spacca ed inizia il suo viaggio verso il forno, nel mondo delle cose che mutano. Viene arrostito, si separa dal calcio; rimane abbarbicato a due dei suoi tre compagni ossigeni, esce per il camino e s'invola. Ora la sua storia è tumultuosa. Viene colto dal vento, abbattuto al suolo, sollevato per chilometri e poi respirato da un falco, ma non penetra i precipitosi polmoni, e viene espulso. Si scioglie in un torrente, risale nel cielo e si scioglie nel mare. Poi viaggia col vento per molti anni. Ora alto, ora basso, sul mare e fra le nubi, sopra foreste, deserti e smisurate distese di ghiaccio. Infine, catturato nell’organica avventura.

Il carbonio è un elemento singolare: è il solo che sappia legarsi con se stesso in lunghe catene stabili senza grande spesa di energia. Alla vita sulla Terra occorrono proprio lunghe catene. Il carbonio è l’elemento chiave della sostanza vivente, ma la sua promozione, il suo ingresso nel vivo del mondo non è agevole, è intricato, obbligato.

Se l’organicazione del carbonio non si svolgesse quotidianamente attorno a noi, sulla scala dei miliardi di tonnellate la settimana, dovunque affiori il verde di una foglia, le spetterebbe di pieno diritto il nome di miracolo.

L’atomo di carbonio, accompagnato dai due satelliti che lo mantengono gas, è ora lungo un filare di viti. Qui ha la fortuna di rasentare una foglia, di penetrarvi e di essere inchiodato da un raggio di sole. Nella foglia collide con molecole di azoto e di ossigeno, poi aderisce a una complicata molecola che lo attiva e simultaneamente un pacchetto di luce solare lo separa dal suo ossigeno e lo combina con l'idrogeno in una lunga catena della vita.

Tutto questo avviene in silenzio, alla temperatura e pressione atmosferica, e gratis: quando anche noi impareremo a fare altrettanto avremo risolto il problema della fame nel mondo. L’anidride carbonica, il gas che costituisce la materia prima della vita, è solo lo 0,03 per cento dell'aria che respiriamo.

Ora il nostro atomo è inserito in una struttura ad anello, un esagono quasi regolare, che sta sciolto nell’acqua, anzi, nella linfa della vite. È entrato a far parte di una molecola di glucosio: viaggia dalla foglia per il picciolo e per il tralcio fino al tronco e di qui discende fino ad un grappolo quasi maturo. Viene raccolto, ma sfugge alla fermentazione alcolica giungendo al vino senza mutare natura. È destino del vino esser bevuto e destino del glucosio essere ossidato, ma non subito: il bevitore se lo tiene nel fegato per una settimana, come alimento di riserva per uno sforzo improvviso, un allenamento di corsa.

Addio alla struttura esagonale: in pochi istanti il gomitolo viene dipanato e ridiviene glucosio, trascinato dalla corrente del sangue fino ad una fibrilla muscolare di una coscia, e qui brutalmente spaccato in due molecole di acido lattico, il triste araldo della fatica. Solo più tardi, qualche minuto dopo, l’ansito dei polmoni procura l’ossigeno necessario ad ossidare con calma quest’ultimo acido.

Così una nuova molecola di anidride carbonica ritorna nell’atmosfera, e un poco dell’energia che il sole aveva ceduto al tralcio passa dallo stato di energia chimica a quello di energia meccanica e di calore, riscaldando impercettibilmente l’aria smossa dalla corsa e il sangue di chi corre.

La molecola viene di nuovo trasportata dal vento che la porta lontano: oltre gli Appennini e l’Adriatico, la Grecia, l’Egeo e Cipro, fino al Libano. L’atomo di carbonio viene intrappolato in un tronco di cedro dove ridiviene glucosio. Passano gli anni e di lui si occupa un tarlo che scava la sua galleria fra il tronco e la corteccia. Lo ingoia, incastonandolo in se stesso. In primavera, esce sotto forma di una brutta farfalla grigia che si asciuga al sole; lui è lì, in uno dei mille occhi dell’insetto, e contribuisce alla visione sommaria con cui si orienta nello spazio. L’insetto viene fecondato, depone le uova e muore: il piccolo cadavere giace nel sottobosco, si svuota, ma la sua corazza di chitina resiste a lungo, quasi indistruttibile. La neve ed il sole ritornano senza intaccarla; sepolta da foglie morte e terriccio, è diventata una spoglia, ma la morte degli atomi, a differenza della nostra, non è mai irrevocabile. Ecco al lavoro gli  invisibili spazzini del sottobosco, i microrganismi dell’humus: la corazza, coi suoi occhi ormai ciechi, è lentamente disgregata, e l’ex bevitore, ex cedro, ex tarlo ha nuovamente preso il volo.

Lo lasceremo volare per tre volte intorno al mondo...

Ogni duecento anni, ogni atomo di carbonio che non sia congelato in materiali ormai stabili entra e rientra nel ciclo della vita attraverso la porta stretta della fotosintesi...

***

Ho ripreso la corsa, e gli atomi di carbonio del buon vino iniziano a fare miracoli...




22 gennaio 2013

Il sudario...

Taglio e incollo, dal sito di Beppe Grillo, un pensiero per nulla rivoluzionario. Semplice? Impegnativo? Impossibile...

Più prolifera la burocrazia, più diminuisce la democrazia; si sa che nelle dittature, la burocrazia è usata per giustificare le nefandezze dello Stato. All'aumentare della burocrazia diminuiscono i diritti dei cittadini. La burocrazia si nutre di sé stessa, si autoriproduce, ama la complessità dietro alla quale si rifugia e si giustifica, e talvolta diventa più forte di qualunque potere.

Si può mettere in discussione un partito e perfino un'Istituzione dello Stato, ma non la burocrazia. Con la sua immensa pletora di codici, procedure, paragrafi, commi, eccezioni, metodi e via impazzendo, è invulnerabile. La burocrazia è, nei fatti, immune all'errore, se colta in flagrante nega, rimanda, si appella, gioca sul tempo e sulle sue immense risorse. Il comune cittadino deve dedicare metà della sua vita per avere una possibilità di vincere un ricorso. Meglio quindi espatriare o venire a patti.

Semplificazione, efficienza, tempi di risposta certi sono i nemici della burocrazia, gli antidoti, che però in Italia la burocrazia ha sconfitto da tempo. Anzi, come beffa, li usa a suo uso e consumo nei seminari in cui il Grande Funzionario di turno spiega i successi ottenuti nella modernizzazione dello Stato.

La burocrazia è lo scudo spaziale italiano contro la partecipazione del cittadino alla vita pubblica. Meno capisce, meno è in grado di far valere i suoi diritti e più diventa suddito. L'eccesso di burocrazia deprime lo sviluppo, fa fuggire le aziende all'estero, assorbe una quantità enorme del nostro tempo, rende la giustizia meno uguale per tutti. Per i potenti c'è però sempre una scorciatoia, un'interpretazione, un condono, una distrazione. Il costo della burocrazia italiana è immenso, le società straniere evitano gli investimenti in Italia per colpa della burocrazia.

Funzionari invisibili - che non devono mai rispondere del loro operato - interpretano le procedure avvolgendo il paese di burocrazia, come in un sudario di cemento...

20 gennaio 2013

Atteggiamenti

“La mente nella sua propria dimora, di per se stessa, può fare dell’Inferno un paradiso e del Paradiso un inferno”. John Milton

La vita dell’uomo si muove nella direzione della risultante dei suoi pensieri. Una specie di forza che può agire come pensiero positivo e può essere formidabile e rivoluzionario. Il filosofo qualunque dice che ogni uomo è fautore del proprio destino, si crea la sua esistenza di luci ed ombre, di salite e discese.  Lo psicologo qualunque dice che il movimento della vita dell'uomo ha tre orientamenti di pensiero o atteggiamenti di vita: il fatalista-pessimista, lo pseudo-idealista e l’attivo-ottimista.


L’atteggiamento fatalista-pessimista è  quello che si manifesta in coloro che provano paura nei confronti del futuro, un sentimento di inutilità, disperazione, ansia e insicurezza. Il più delle volte lo si riscontra nelle persone disorientate, infelici, squilibrate. Probabilmente tutti conosciamo persone che perdono sistematicamente occasioni favorevoli, che si trovano sempre a dover far fronte a delle difficoltà, che si considerano vittime degli eventi negativi. Sono quelle persone che, appena si trovano di fronte ad un ostacolo, sentenziano: “sapevo che non ci sarei riuscito! Non posso farci niente, non posso cambiare nulla!”. Quando devono risolvere un problema importante, la prima cosa a cui pensano è che quel “lavoro” non è adatto a loro. Diventano presto infelici e disinteressati e credono fortemente che in altre circostanze, con altri mezzi avrebbero potuto risolvere tutto molto meglio e più in fretta. Si ricordano di tutti i loro fallimenti passati e una possibile riuscita viene sommersa da una montagna di difficoltà. E tutto questo si verifica a partire da un solo pensiero negativo. E, tuttavia, non si può dire che queste persone non desiderino reagire. Tante volte affermano: “Voglio rifarmi una vita”, “Voglio ricominciare daccapo”, “Voglio far girare la fortuna”, ma nonostante tutto riprendono gli stessi comportamenti, gli stessi atteggiamenti negativi, lo stesso modo di vedere le cose, anche se la situazione esterna cambia. La tendenza al conflitto, l’incapacità di superare gli ostacoli, di vedere le situazioni in modo oggettivo, di far risaltare le loro potenzialità, di vivere e di provare costantemente un sentimento di calma e armonia interiore, si ripetono ancora e ancora.


L’atteggiamento pseudo-idealista è quello caratterizzato dalla fuga dalle responsabilità e dalla tendenza a fuggire, di fronte alla realtà, in un mondo illusorio, in cui i doveri e le necessità quotidiane sono ignorati nel nome di una superiorità spirituale. Fanno parte di questa categoria i falsi filosofi, gli eterni infelici, gli eterni sognatori. Sono coloro che cedono immediatamente al cattivo umore; che stanno sempre sognando quello che potrebbero avere, senza far nulla perché i sogni diventino realtà; si innervosiscono per un nonnulla e trovano difetti in tutti quelli che li circondano, ma mai in loro stessi. L’atteggiamento pseudo-idealista non è altro che un falso mezzo di auto-protezione, di mettersi al sicuro di fronte alla realtà e al proprio destino. Gli pseudo-idealisti accettano passivamente di lasciare tutto in balia del caso, evadono in fantasticherie su un mondo ideale, che non esisterà mai, perché non fanno nulla per crearlo. Non agire rappresenta, in questo caso, un modo di agire, ma è un modo negativo, che porta a dei risultati negativi. Se l’atteggiamento pseudo-idealista si trasformasse in un atteggiamento autentico-idealista, il che presupporrebbe che il timore delle responsabilità e la fuga dalla realtà si trasformino in fede in se stessi e nella vita, allora comparirebbe il terzo atteggiamento, quello attivo-ottimista. La contemplazione può diventare, in questo caso, un corretto modo di pensare, un modo per vivere veramente e per diventare padroni della propria vita.

L’atteggiamento attivo-ottimista è quello tipico di coloro che valutano quasi tutto quello che li circonda come positivo. L’atteggiamento estremamente positivo della mente indica una ferma fede, incrollabile, che le cose si evolvano in meglio e che ogni problema o difficoltà possano essere superati. La vita è piena di imprevisti sui quali non possiamo intervenire direttamente, l’unica cosa che possiamo fare è cambiare il nostro modo di vederli. Gli attivi-ottimisti si costruiscono uno stato d’animo positivo e, allo stesso tempo, sono in grado di far fronte agli eventi e di influenzarli positivamente. Inondano tutte le loro relazioni personali di un affascinante calore affettivo. Queste persone sono consapevoli che le difficoltà non sono altro che delle necessità della vita, che ci aiutano a comprenderla profondamente e a oltrepassare i nostri limiti. Gli attivi-ottimisti sanno di non essere delle marionette nelle mani del destino, ma i fautori della loro felicità. Fanno del loro stato permanente di entusiasmo una vera arte e, in questo modo, risvegliano la capacità di aggirare gli ostacoli con facilità. Si nutrono quasi sempre dei pensieri positivi e agiscono sempre per il bene delle cose. Queste persone sono attratte da tutto ciò che può arricchirle spiritualmente, sono pronte ad imparare tutto dal nulla e credono fortemente che l’atto più rivoluzionario che possano compiere in questo mondo sia l’essere felici. E proprio per il fatto che asseriscono il bene in tutte le cose, gli eventi e gli esseri, riflettono il meglio di loro.


***
A volte capita di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, e un movimento brusco della vita può arrestare ogni dinamica attività. Essere in mezzo a due costole incrinate mentre si tossisce (anche una parte della propria anima) mette alla prova anche l'atteggiamento migliore.

E' quello che mi è capitato di vivere in questi quindici giorni di tregua: fermo immobile o in lenta camminata (verso il domani). Ho imparato molte cose, rallentando. Ho guardato con attenzione i tetti delle case, le finestre chiuse, quelle aperte e le porte. I balconi fioriti e le scale. E i gatti. Le altre cose e gli altri esseri. Il mio castello, la mia grotta, il buio.


 Senza corsa ogni atteggiamento è sbagliato. Fatalista idealista passivo... Con lo stop attivo, il sangue addensa i cattivi pensieri. Non vedo l'ora di cominciare il 2013..

E intanto saluto i compagni che hanno già corso domenica scorsa a Scarmagno, e oggi alla Pellerina, nell'attesa delle saldature intercostali...


12 gennaio 2013

Felicità è allenamento

Argomento infinito, la felicità. Intrattabile, suscettibile, a volte infelice. A volte irresistibile e stancante come un allenamento. Perchè la felicità è questione di allenamento...
La scienza ha scoperto che le persone felici hanno dei vantaggi notevoli: la felicità rende più socievoli, più altruisti, più abili a risolvere conflitti, più produttivi sul lavoro, più sani; essere felici rafforza il sistema immunitario; essere felici allunga la vita...

La ricerca della felicità non è quindi un atto egoistico, ma un regalo per noi stessi e per il mondo. Peccato che la nostra società sia annegata nei falsi miti: viviamo di corsa, senza conoscerci veramente, senza cercare di capire perché siamo qui e come potremmo essere davvero felici.

Un falso mito? La ricchezza... Che non serve per essere felici. Certo l'estrema povertà abbassa il tasso di felicità, ma una volta soddisfatte le necessità di base il tasso di felicità si stabilizza, ed avere più reddito non lo cambia.

Un falso mito? Il destino... Che non c'entra con la felicità. Molti credono che la felicità sia qualcosa che non possiamo controllare, qualcosa che non dura e può sparire in un attimo. La felicità è possibile, ma non sopraggiunge così per caso. È un lavoro interiore, uno stato di serenità che ha ben poco a che fare con quello che succede fuori di noi.

Recenti studi dimostrano che la felicità non è una caratteristica innata ma una capacità, come giocare a pallavolo, e come tale possiamo apprenderla. Possiamo imparare a essere felici indipendentemente da tutto. E' una capacità che va allenata. Nessuno si sogna di vincere un torneo o fare un bella partita giocando sotto rete una volta all’anno. Non esistono persone senza risorse, esistono solo persone che ignorano le proprie risorse, o non investono il tempo necessario su di esse. 

Occorre migliorare mente e spirito, ed essere più sereni. Non vivere tra i fantasmi del passato o le ansie del futuro. Occorre fare amicizia con il momento presente. Usare i sensi. Essere dove si è. Guardarsi attorno semplicemente consapevoli dello spazio e della presenza silenziosa di ogni cosa. Ascoltare i suoni senza giudicarli. Ascoltate il silenzio sotto i suoni. Toccare, percepire, riconoscere l'essenza delle cose... Allenarsi a partire da queste cose.

Una notizia straordinaria arriva dall'Università del Wisconsis, da un certo Richard Davidson, docente di neuroscienze. Nel suo libro "The emotional life of your brain", lo scienziato americano non ha dubbi: le sfumature della vita interiore, le emozioni e il modo in cui affrontiamo il mondo esterno dipendono da un codice scritto nel cervello, che si può correggere e perfezionare con l'allenamento, fino a raggiungere la felicità.

Meditare, fare complimenti agli altri e circondarsi delle foto di momenti felici è un allenamento per il cervello. Semplici esercizi quotidiani insegnano ad essere attenti e positivi. Il saggio riunisce 30 anni di ricerche ed è una rivoluzione per le neuroscienze. Il principio di base è che ciascuno di noi ha un proprio "stile emotivo", un profilo psicologico scritto nel cervello, unico e personale. Una tonalità (cromosomica) che determina in che modo si percepisce il mondo, come si interagisce con gli altri, come si reagisce e si affrontano gli ostacoli della vita. Non tanto una questione psicologica, ma chimica.


Il tutto è scritto nel cervello pieno di sinapsi che non sono stabili, ma cambiano dalla nascita in poi in risposta all'ambiente e in base alle esperienze. Il principio della neuroplasticità permette di allenare le emozioni e cercare la felicità nel cervello.

Allenare le emozioni attraverso una sorta di "yoga per neuroni" è un'idea fantastica che mi piacerebbe approfondire. Si parte con l'aumentare il livello di attenzione:  dieci minuti al giorno in una stanza silenziosa, ad occhi aperti, fissando un oggetto su cui concentrare l'attenzione. Si procede con l'aumentare il livello di reazione: dieci minuti al giorno in una sorta di "allenamento di compassione", pensando ad un conoscente sofferente o malato... Questo è l'invito di Richard Davidson.

Allenarsi, allenarsi a conoscersi. Perchè familiarizzare con il proprio stile emotivo è il primo e più importante passo per trasformarlo. E continuare a vivere, felici.


4 gennaio 2013

Influentia

I latini lo scrivevano nei testi antichi: obscuri coeli influentia. L'influenza degli astri governava la malattia e conferiva ad essa carettere più o meno mortale per la specie umana...

Nei testi meno antichi si scrive di virus appartenenti al genere Orthomyxoviridae. Le proteine presenti sull'involucro esterno del virus mutano continuamente, e ogni anno costituiscono una sfida per il sistema immunitario.

L'influenza infetta le vie respiratorie: febbre, tosse, nausea e mal di testa... Intontisce e poi colpisce, lasciandoci a terra a rantolare.

Era dai tempi del servizio militare che non mi succedeva di far fronte ad un attacco così strategico, mirato, invasivo e debilitante. Questa volta, l'universo mente (per dirla alla Montalcini) mi ha veramente spaventato e proiettato dentro spazi neri profondissimi, circondato da oggetti deformati e roteanti. E io roteavo con loro, mentre fasci accecanti di luce stimolavano le difese verso queste mostruose essenze. Dovevo capire come ancorarmi, a cosa, senza rischiare la presa. Il tempo non passava mai. Ogni minuto un incubo. Ogni incubo un brivido di sudore siderale. Due notti e due giorni di abbandono, alla deriva.

Tutto inutile, o quasi...

Arreso, mi sono visto accanto l'Arcadia di Capitan Harlock a indicarmi la rotta e ho iniziato a sognare. Anche Goldrake, addormentato nella memoria da tempo immemorabile, si è svegliato ed è venuto a prendermi... Grazie Amici!




 

26 dicembre 2012

La tagliagambe

Santo Stefano (special training), la "tagliaunghie" come la chiama Gabriele, la "tagliafuoco" come dovrebbe chiamarsi...
In altre parole un allenamento molto impegnativo per tutti. La tagliagambe?

Ci ritroviamo a nebbia leggermente diradata, questa mattina ore 9:00, nella piazzetta di Caselette, a una ventina di km da Torino. Siamo ai piedi del monte Musinè. Qualcuno osserva la grande croce alla sommità, visibile per pochi istanti tra la nebbia, sullo sfondo azzurro e propone la salita, ma si decide per una corsetta più rilassante lungo le pendici della strada "tagliafuoco" che apre alla Valle di Susa.

Siamo meno del previsto, ma ci siamo, ed ecco la foto di gruppo.

 


Per sicurezza ne facciamo una seconda:


Roberto, Gianni, Gabriele, Giuliano, Domenico, io e Raffaele seduto.


Il meteo è buono. Ci sono 4  gradi, ma c'è molta umidità. Inizia l'allenamento e iniziano i racconti di Natale. Perchè "Natale è Natale", dice Domenico, "e a me piace così, in famiglia e senza stress; ogni giorno hai già la tua gara da concludere, quella che ti riserva la vita...".

La strada sterrata si apre - dopo un chilometro scarso - in un ampio prato dove in primavera spuntano i pic-nic, e dove giocavo da ragazzo. Si vola sul tappeto verde, ed anche i fili del passato spariscono in un batter di ciglia.

Inizia il primo dei tre cunei di salita-discesa del tracciato complessivo di 20 km dell'allenamento. In cinque (escludendo Domenico e Giuliano) si corre per la prima volta su questa strada, anzichè camminare piano piano.

Nei primi 6 km copriamo un dislivello di circa 150 metri in salita e qualcosa meno in discesa, è il primo cuneo.

Ci ritroviamo ignari di ciò che ci attende alla base del secondo cuneo, in una grande pineta di altissimi pini neri. Domenico sorride, per lui è un gioco da ragazzi. Noi ridacchiamo, ma ben presto iniziamo a ribollire come vecchie locomotive nella interminabile salita!

Sono 25o metri di dislivello in salita, faticosissimi, su fondo senza troppe pietre e inclinazione tale da imporre a me, a Gabriele e  Roberto una serie di fermate a camminata veloce. I top Giuliano e Domenico insieme a Raffaele sono già fuori visuale. Gianni tiene un buon passo, ma "com'è dura la salita, in gioco c'è la vita... uno su mille ce la fa"... E così ricordo "se sei a terra non strisciare mai, se ti diranno sei finito non ci credere, finchè non suona la campana vai!". Gabriele docet.

La vita è come la marea... E ora ci ritiriamo a quota 35o metri. Una volata in discesa, lunghissima, chilometrica, rigenerante... Io e Domenico prendiamo il largo e immaginiamo di essere in bicicletta! Al fondo, stremati, siamo ad Almese. Qui tutti assieme valutiamo le varianti al tracciato che si aprono in un piccolo spazio limpido e soleggiato. Siamo felici di esserci, ma terrorizzati di rifare la strada al contrario. Giuliano conosce una scorciatoia su strada per tornare alla pineta, al termine del primo cuneo. Meno male!

Così corricchiamo con le prime carenze di glicogeno. E immaginiamo il cervello che detta le sue regole di recupero. Ci raccontiamo le nostre esperienze di lunghi tragitti, i ricordi dei cross più veloci, un po' deformati come è giusto che sia.

Il terzo cuneo è uguale al primo. Nella salita perdiamo Roberto, affaticato assai... In realtà si ferma a fare due fotografie alla Sacra di San Michele, imperiosa sull'altro versante della Valle, e alle quattro cime innevate oltre i 2800 metri del parco dell'Orsiera-Rocciavrè, pieni di ricordi estivi.

Si tratta di tre minuti di recupero, prima dell'ultima discesa lunga verso la base. Sono circa 3 km che maciniamo a poco più di 4' al km. Fantastico!

Peccato che nella discesa la nebbia sopraggiunga a cancellare i colori e a raffreddare l'aria maledettamente...

Riepilogando, il dislivello positivo (D+) dell'allenamento di oggi è il seguente: 150+250+200 = 600 metri circa.

L'appuntamento è per domenica 30 dicembre: un altro "special training", dal Castello di Rivoli per la collina morenica, con passaggio sul Moncuni (650 m).

Vieni anche tu?

23 dicembre 2012

Allenamento a zero

Lo zero termico di questa domenica scende dal cielo e ci abbraccia tra le note di un Christmas blues malinconico e appassionato.


Il pentagramma si riempie di note colorate, abbozzate, instabili, mentre la gomma cancella le tracce di rock dall'asfalto.

"You have the blue devils", direbbe un Inglese, per esprimere la sofferenza e l'infelicità di una corsa senza motivo evidente, votata all'obbligo di sfinire i piccoli o grandi demoni interiori che scalpitano in prossimità di ogni vigilia.

Eppure noi ci divertiamo. Furio dice che "se vuoi arrivare primo devi correre da solo, ma se vuoi arrivare lontano devi camminare insieme".



Abbiamo affrontato i 17 km d'allenamento verso (e oltre) il Castello di Rivoli. Un classico itinerario che diventa magico in mezzo a prati ghiacciati, alla terra lucida, alle pietre insidiose e alle foglie scivolose. Un viaggio attento a non inciampare in troppe novità naturali. Un addestramento per i nostri prossimi trail. Perchè di questo si è parlato.



Il 2013 è tutto un ribollir di tini e di confini da esplorare e valicare insieme. Uno tira l'altro. Un confine apre la via a nuove conquiste e ad altri confini. Le mappe Fidal sono ricchissime: strada, cross, trail, ultratrail... Non resta che da scegliere. Non resta che scappare?


21 dicembre 2012

Verso Itaca... e oltre!

In questi giorni sono stato in viaggio. Nulla di che, nessun posto lontano, solo luoghi e persone da scoprire. Luoghi molto chiusi e molto aperti, e persone altrettanto sconfinate.

Il viaggio verso Itaca è appena cominciato. Immagino sia un'isola rocciosa molto verde e molto blu che solca l'orizzonte sconosciuto. Un movimento incerto, una teoria della sapienza che qualcuno ha definito necessaria per la vita.

Il viaggio include il conosciuto (known), include nuove spiegazioni (unknown) e forse l'inconcepibile (unknowable). In questa dinamica l'uomo può agire per cambiare le cose e ridurre l'incertezza. Intraprendere, innovare, imparare e poi vincere la paura.

Itaca sorge al largo della costa orientale di Cefalonia, in gran parte incontaminata dal mondo. Ma potrebbe essere da tutt'altra parte, nel tempo. Non un luogo per consumatori, ma un termine, una fine, che produce esistenza per un fine.


Konstantinos Kavafis nel 1911 scriveva la poesia "Itaca". Un simbolo che contiene l’origine, la ragione e la meta del lungo viaggio, simile a quello di Ulisse, e a quello di ogni uomo che attraversa la vita. Il viaggio deve essere ricco di esperienze, non va affrettato, e l’arrivo non deve essere prematuro. Ulisse e Itaca sono in simbiosi, ma l'isola è la meta apparente del viaggio, la motivazione e lo stimolo per muoversi, conoscere ed apprendere.

“Tieni Itaca sempre nella tua mente durante il tuo viaggio e ringraziala di averti dato un viaggio meraviglioso. Senza Itaca non saresti mai partito.”

Nell’interpretazione della poesia di Kavafis c'è sia l’Ulisse di Omero che quello di Dante.

Omero immagina Ulisse e assolve l'uomo in cerca di soluzioni, la capacità dell’ingegno di superare avversità e ostacoli con astuzia e buon senso, con qualche azzardo, ma senza bisogno della protezione degli dei.

Dante immagina Ulisse e condanna l'uomo che inganna con l'ingegno, nella bolgia dei consiglieri fraudolenti, nonostante lo elevi a condottiero quando richiama i suoi compagni e dice: “considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.”

Kavafis vive Ulisse ed esige per l'uomo il peregrinare. Invita al viaggio e alla scoperta e, come Omero, non giudica. La libertà viene esercitata nella scelta della strada, nel percorrerla verso Itaca, stimolando pure l'etica.  

Impariamo da Kavafis a vivere Ulisse. Almeno un pochino, allontaniamoci dai Lestrigoni e dai Ciclopi che affollano l'anima, specialmente quando l'inverno chiuderà un altro anno fuori da noi, e ritarderà l'approdo, ma non il viaggio nè la memoria.   


16 dicembre 2012

Corse ricostituenti...

Il tempo non inganna. E così è già quasi natale, e tutti si corre più buoni, neh? Lo so, è natale con la n-minuscola, ma dappertutto è bianco e rosso e invita a partecipare. Nei paesini come nelle metropoli è tutta un'edizione speciale di monopòli podistici di babbo natale.

"Babbo Running" in costume, oggi a Milano, all'insegna della solidarietà, l'unica realtà che unita allo sport indica la direzione per un nuovo senso della vita. Pochi chilometri, non serve stancarsi troppo per essere migliori. Si parte tardi, per potersi godere il sabato sera. Tutti riuniti alle 10 e mezza, partenza da Babbolandia Village, animazioni, show, dj set e per finire il Babborunning Party, perchè mangiare insieme è anche vivere insieme...

"La corsa dei Babbi Natale" in costume, oggi a Torino, all'insegna della solidarietà, l'unica illusione che separata dallo sport continua a dirigere il senso politico della nazione. E' la nostra Nazione che vaga in cerca della sua Costituzione, dei babbi natale che hanno voglia di abbracciarsi. Gli abiti di papà Noel sono stati distribuiti a tutti; speriamo sia un buon segno!

E' così di città in città. Di paese in paese...

Avrei voluto esserci dappertutto anch'io. Ed è stato così. In un minuto ho girato l'Italia, la mia patria, dal nord gelato al limone al sud semifreddo alla vaniglia... fino al riscaldamento a ritmo di “Gangnamstyle" in piazza San Pietro...





13 dicembre 2012

Do you spread?

Lo spread indica la differenza tra i rendimenti dei titoli di Stato di un Paese europeo e quello delle obbligazioni della Germania, lo Stato considerato più affidabile nel Vecchio Continente sotto il profilo economico.

Se le banche acquistano i titoli di Stato di un Paese europeo, allora lo spread indica anche la differenza tra i rendimenti che le banche arrivano a chiedere a quello Stato e lo zero o il meno in circolazione dovuto alla crisi finanziaria mondiale... 

Grillo giustamente sentenzia:
"Lo spread è qualcosa di completamente staccato dall'economia. Lo spread è un'allucinazione mentale di speculazione bancaria, perché il nostro debito è in mano per metà a banche straniere che cercano di far alzare il tasso di interesse per guadagnare di più".

Infatti...

I titoli di Stato italiani possono essere acquistati sia con l’asta del Tesoro sia sul mercato secondario, cioè sul mercato obbligazionario telematico. Le obbligazioni emesse dal ministero dell’Economia (il Tesoro), per finanziare il debito pubblico, hanno un prezzo che è il punto d’incontro tra la domanda di chi vuole comprare e l’offerta di chi vende. Ma chi vuole comprare? Le banche, naturalmente, vere e proprie iene d'aste del Tesoro, in questi tempi di crisi.

Il Tesoro fissa la quantità e un valore indicativo di titoli che intende vendere e il valore della cedola, ovvero gli interessi che verranno pagati a chi acquista i bond governativi. All’asta, che viene effettuata presso la Banca d’Italia, partecipano gli operatori autorizzati, cioè banche, società d’intermediazione mobiliare (Sim) e altre istituzioni finanziarie. Anche i risparmiatori (normali) possono acquistare titoli all’asta, sempre tramite una banca o un intermediario. Entro le ore 11:00 del giorno dell’asta gli operatori inviano per via telematica, usando la rete nazionale interbancaria, le domande d’acquisto con una proposta di prezzo e quantità di titoli. Ogni operatore può presentare fino a un massimo di tre domande per ogni titolo offerto. Il prezzo definitivo è l’ultimo o prezzo marginale, cioè quello che consente che l’asta venga integralmente sottoscritta.

Il meccanismo è dunque maledettamente manovrabile da chi - banche, raggruppamenti di banche e simili mostri altamente liquidi - ha soldi e interesse a tenere alto il rendimento per obbligare il Paese a sdebitarsi.

E chi paga?




9 dicembre 2012

Giù dai Monti...

Il focus di Fiorello:



Il focus di Al Pacino (discorso dello Spogliatoio):


"Siamo all'inferno signori miei, credeteci... o risorgiamo adesso come collettivo o saremo annientati individualmente... è il football ragazzi... è tutto qui"...

(Tony D'Amato, dal film: "Ogni maledetta domenica")



8 dicembre 2012

L'indiano

Ad est c'è la bora, al centro piove di maestrale, come al sud di tramontana. Sopra tutto si congela quella candida neve che sferza l'incanto natalizio. L'Europa intera batte i denti, e trema anche l'Italia che applaude i suoi vecchi paperoni... Siamo troppo buoni, siamo forse un po' conigli, sicuramente -oni -oni...

In questo angolo di mondo, però, c'è il sole nel tramonto che esegue i suoi script di arresto dell'inverno (e del governo).

E' all'ovest la finestra di colori in tema con l'autunno. Qui il freddo sfugge alla chiusura e s'inabissa nel cielo azzurro mare, più profondo all'orizzonte; sfuma dal granturco al malto, dalle nespole all'uva, e fa da cerniera tra le cime frastagliate che salgono da terra e la luce delle spalle.

E' all'ovest lo skyrunner di frontiera ancora da scoprire, lo sceriffo della legge improvvisata, il sognatore da Far West lontano, da Wild West selvaggio, da Old West vecchio e saggio?

Nel West il tempo è migliore. La conquista si fatica metro per metro, nelle asprezze naturali, con la forza d'animo e le armi originali... Ci sono pionieri,  cow boy e banditi; cercatori d'oro, pellegrini e... gli indiani. Li vedo sopra i tetti danzare intorno al fuoco di colori che divampa, immortali.

Come un pellerossa mi sono travestito, e nel cielo incamminato. Ho preso tutti i colori del tramonto in una sola facciata, in una sola falcata. Un paio di balzi, e sono sparito nel buio...

Qui ci sono già le stelle. Una è quella di Telethon che illumina, genetica, l'essere umano. Domani si corre un pò per lei, la Royal Half Marathon di Torino, e speriamo che la solidarietà vinca su ogni "riserva" indigena, indiana e italiana, che non trova i fondi per la "ricerca" di nessun tipo (o quasi).


5 dicembre 2012

La corsa è.

Un monaco domandò al maestro: "Che cos'è il sé?"
E lui rispose: "A che ti serve?"

Provo a meditare? La meditazione è una domanda? Può darsi, ma certamente non è la risposta alla domanda "Che cos'è il sé?"; non è la ricerca del sé, l'indagine intorno al sé, e neppure la riappropriazione del sé, ammesso che si possa vivere disappropriati; non è la risoluzione di un problema e non è la conclusione di un ragionamento. Non è un mucchio d'altre cose...

Qualcuno ai confini dell'occidente sostiene che la meditazione è l'abbandono di tutto ciò, l'arte dell'abbandono in sé e per sé; abbandono di tutto e abbandono al tutto; esperienza trasformante, che paradossalmente non trasforma niente.

Ai confini del mio allenamento anch'io lo sostengo. Non c'è cambiamento, nulla che venga trasformato, ma solo pura esperienza (del vento), semplice stato d'essere e consapevolezza, disincantato guardare attraverso la polvere, la polvere...

E accorgersi che non c'è un manuale di istruzioni per il corpo che cambia e domanda, blocca, rimugina, intrappola la mente nell'ennesima scusa per rimanere a dormire.

La corsa è meditazione, arte di semplicità: non si ferma davanti a nulla. Solo ciò che serve è proprio ad essa, il resto non le appartiene. La corsa è il tacere di ogni sovrappiù: "A che ti serve?" non serve chiederlo. La corsa è esperienza del sé, non conoscenza, non risposta, non formula matematica, non radice filosofica, non definizione psicologica...

La corsa, forse, è.




2 dicembre 2012

Aloha, Aloe...

La vita è un’avventura che inizia da dentro e si pedala da fuori. Tutto parte dal cervello. La passione è il fuoco. Qualsiasi cosa tu faccia, fallo con passione. E guarda avanti, la vera sfida è con te stesso...

Così dice Luca Masserini, freerider straordinario. Ecco il filmato realizzato per Deejay TV.

Un'avventura che inizia da dentro e si corre da fuori. Mhm, quant'è vero! Ci vuole pioggia, vento e sangue nelle vene...

L'allenamento nella nebbia oggi sfuma perchè la gola brucia maledettamente. Eppure Eolo spira e sopra tutto è già Sole che lenisce alato, radioso Horus...

Precipito all'alba dell'Egitto. Vedo sculture in pietra dalla finestra di casa... E piante a parlarmi di sfida. Un giglio del deserto spunta nella gola sabbiosa, e deglutisco. E' una pianta che brucia e trasforma la mia rabbia in fiele d'elefante... Hotel Transilvanya per i mostri interiori che mi trattengono al castello...

Eolo, gelido e impetuoso... Ora soffi al contrario... Oloe... Aloe! Aloha, è il mio saluto a chi è riuscito a partire in questa gelida mattina; aloha è un cratere sulla luna che guarda spento altri colori...

Aloe,  sì, ecco cosa ci vorrebbe. La pianta dell’immortalità, dono per i faraoni, unguento per ferite. Aloe anche chiamata "pianta che brucia", "giglio del deserto", "fiele di elefante"... Ma che compatibilità, che contabilità... di gradi sotto lo zero.

***

"Mi sta proprio sulle balle invecchiare", dice ancora Luca..." Me le cercherò io le prossime sfide, altre arriveranno, ma... Who knows".

***

Intanto il sole si spegne... E io sto male. Il cielo sembra un mare che inghiotte tutto... Il freddo cancella la vita. Addio amici delle montagne. Un altro Luca, Francesco e Damiano...

Il massiccio del Dome des Ecrins:



Gli alpinisti dispersi:


27 novembre 2012

L'identità di Eulero

Dalla fantascienza di Blade Runner sappiamo che ci sono cose che noi umani non potremmo mai immaginare, come "navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione", o strani raggi balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser, chissà in quale universo. Passato da replicante, militante nei corpi speciali extra-mondo, il grande Rutger Hauer sente che "tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia". E conclude: "È tempo di morire".

Correndo in salita, concludo come il replicante... E penso che il record mondiale del chilometro verticale, 30 minuti e 55 secondi, stabilito dal giovane Bernard Dematteis, a luglio in Val Chiavenna, è un tempo da extraterrestre. Ho avuto modo di vedere e salutare personalmente Bernard, al cross di Scarmagno, all'inizio del 2012. Certo un replicante, un cuore da equazione divina. Geneticamente dotato, ha soffiato il primato al fratello Martin. Sono sequenze familiari che andrebbero approfondite.

Dalla fantascienza alla realtà, nello sport e nella matematica. Il salto è casuale, bello, eu-lero.

“Eulero calcolava senza sforzo apparente, così come gli uomini respirano o le aquile si sostengono nel vento”. Così infatti diceva il matematico e fisico francese François Arago.

Tutti quei calcoli andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia... No, non è tempo di morire (per la matematica). E se esistesse un modo perfetto per morire, sarebbe proprio quello toccato in sorte a lui, il grande matematico svizzero Leonhard Paul Euler, alias Eulero.

Colui che già da vivo era stato accostato a Pitagora, Euclide e Newton, che ha indagato ogni branca della disciplina madre dalla geometria alla trigonometria, dal calcolo infinitesimale all'analisi, dedicandosi anche alla fisica e all'astronomia, concluse la sua vita così come l'aveva vissuta: stando insieme alle persone più care e facendo ciò che più amava, in una giornata di fine estate del 1783, a settantasei anni suonati. Eulero ricordava ancora perfettamente tutte le formule matematiche più importanti, le potenze fino al quarto grado e L'Eneide di Virgilio parola per parola.  Aveva perso l'occhio destro appena trentenne. Era il “Ciclope della Matematica”, come lo chiamava Federico il Grande di Prussia. Poi aveva perso anche la vista dell'occhio sinistro, quindici anni prima di morire, ma nulla lo distoglieva dalla sua passione, la matematica.

Ma veniamo al giorno di fine estate del 1783. Dedicata la mattinata alla sua amata matematica, Eulero aveva pranzato piacevolmente insieme a tutta la famiglia e ad alcuni amici nella sua casa di San Pietroburgo. Ad animare il pranzo erano state le conversazioni sui palloni volanti dei fratelli Montgolfier e la recente scoperta di Urano. Poi improvvisamente, quando ormai si erano fatte le cinque del pomeriggio, il genio svizzero venne colpito da emorragia cerebrale e morì sul colpo. Anzi, come disse il matematico francese Nicolas de Condorcet: “il cessa de calculer et de vivre”.

I contributi di Eulero sono inestimabili. Quando studiavo, era tra i nomi che firmavano i più straordinari teoremi, sempre sparso come l'origano sulle pastasciutte immaginarie delle dimostrazioni indigeste.

Correndo si va in cerca della propria identità, e qualcosa si trova. Ci si deve accontentare. Certo non sarà una formula magica ad identificare noi umani...

Ma l'identità di Eulero è la formula più bella della matematica, a detta degli esperti, da Feynman in poi. E questa mi accompagna nei pensieri di qualunque natura, reale o immaginaria, ormai da sempre.

Eccola, finalmente:


... un numero irrazionale (e) che elevato ad un altro numero irrazionale (pigreco) moltiplicato per un numero immaginario (i) dà come risultato -1!

Ci sono tutti i protagonisti e operatori ecologici e matematici fondamentali, compresi lo zero e l'uno.

La realtà supera la fantasia.

Qualcuno potrebbe concludere che un matematico è il modo che ha la mente di sapere qualcosa sulla fantasia, così come qualcuno già ha concluso che un fisico è il modo che ha l'atomo di sapere qualcosa sugli atomi...

Io concludo che tra la fisica, il fisico e la matematica ci sono legami di sangue, naturalmente capaci di stupire chi lo desidera. E chi desidera con entusiasmo.



24 novembre 2012

Trail(er)

Ieri sera ho vissuto un nuovo tipo di allenamento. Intensi chilometri per congiungere la città di superficie, esteriore, con il tempio sotterraneo, interiore. Nel viaggio, la percezione di un corpo in movimento pronto a riconoscersi e a superarsi, in bilico tra scale, pietre, sudori e sensi di vertigine. Che stupori, che vapori. Saliscendi immaginari. Itinerari e mappe evolutive...


C'è chi sostiene che la vita esteriore è come un fiore, e la vita interiore è come la sua fragranza. Senza profumo, non si apprezza il fiore. Il corpo e l'anima sono prati da attraversare nel movimento e nella meditazione. Alla sensibilità dello spirito si deve la percezione della natura interiore, e il desiderio di nuove escursioni. Allenare la vita spirituale ha la capacità di trasformare il corpo fisico. Si può attingere alle energie più profonde.

Occorre imparare a farlo. Certi allenamenti solitari, le maratone, i supertrail, sono eccellenti fonti di esercizi spirituali. Occorre interpretare i segni, seguire le tracce, cercare il motivo, sfidare il divino, desiderare il sacro, immaginare il traguardo e conquistarlo. Occorre un atteggiamento vincente per mantenersi in forma, pronti a superare i precedenti traguardi.

Progredire è l'esperienza più illuminante, abilita accessi e forma felicità. Sport e musica sono tensioni evolutive. Potenziali dinamici estremi e latenti. Incipienti, per quanto mi riguarda...



21 novembre 2012

Allenamento (in)significante

Anche nel più insignificante degli allenamenti esiste un punto di fuga, una prospettiva, un piano di proiezione. Sono tutti disegni di un corpo in movimento. Sono segni in movimento verso un corpo. Giochi di immagini che aiutano a connetterci con la parte spirituale. Quella che si nasconde, ed è invisibile agli occhi...

Il salto non è scontato, specie a tre giorni dalla maratona. Eppure tutto gira a meraviglia, gambe, neuroni e percezioni di una realtà migliore. Esco al buio, e mi lascio illuminare dalla naturalezza. Penso, vuol dire che l'andatura è sufficientemente lenta. Comunico, e anche il Garmin risponde con altri beep per ognuno degli otto chilometri.

La comunicazione è tuttavia complessa. Io non sono una macchina, ho dei sogni. E chi comunica utilizza dei segni, che non sono la stessa cosa. Il segno è "qualcosa che sta per qualcos'altro, a qualcuno in qualche modo" dicono i linguisti, con una definizione su misura per loro, ma sufficientemente spaziosa per tutti. Il segno linguistico è qualcosa che ha a che fare con il corpo e con la mente. Ha cioè una forma tangibile e un contenuto immaginabile.

Per queste cose, addirittura, i linguisti usano due parole che si differenziano per la coda, cioè significato e significante. Il significante è la forma, fonica o grafica, utilizzata per richiamare l'immagine che, nella mente, è associata a un determinato concetto, o significato.

Ogni lingua crea i propri segni convenzionali e il significato può variare in base a fattori sociali o soggettivi. L'immagine mentale del cane, ad esempio, può essere richiamata da grafemi e fonemi assai diversi fra loro.

Il significante di cane:       
Il significato di cane:


La comunicazione è complessa, ma si sbroglia con la voglia di comunicare. E' proprio come la corsa, che utilizza "qualcosa che sta per qualcos'altro a qualcuno in qualche modo". Non è solo questione di linguistica. E' una questione di segni lasciati dentro il corpo, sul corpo e fuori dal corpo. La corsa ha una forma, un'espressione estetica e un contenuto, una motivazione. La corsa, come la poesia, ridona la vista. E' un collirio per distinguere i sogni. Per distinguere le pietre, l'acqua, le montagne, l'erba, il cielo e tutti i colori dell'anima...



P.S.: Giava, adesso sarà KM VERTICALE!