Si sa che la supercompensazione non potrà mai oltrepassare i limiti delle condizioni genetiche individuali. Si sa che solo una seria organizzazione dell’allenamento permette di avvicinarsi alla propria soglia genetica. Si sa tutto della supercompensazione e dell’allenamento: basta scrivere la parola su Google per aprire l’enciclopedia a vari livelli di profondità.
“La supercompensazione è la risposta fisiologica alla rottura dell'equilibrio del nostro organismo (omeostasi) da parte di uno stimolo allenante. Per non soccombere al ripresentarsi di un carico della medesima intensità, l'organismo innesca un processo che ha lo scopo di migliorare il livello prestativo originale. Le riserve metaboliche, il metabolismo e le varie strutture anatomiche sollecitate, non tornano quindi allo stato iniziale ma, per breve tempo, lo superano, collocandosi ad un valore leggermente superiore… riserve da sfruttare per un successivo allenamento e una successiva compensazione”.
Ora, al di là delle tante cose che si sanno, vorrei riportare un pensiero laterale che ritengo “supercompensato” (nel senso che richiede un ciclo mentale di affaticamento con recupero maggiorato, per essere compreso), letto casualmente nel blog “Sumergocogito”, e cioè che:
“l’Ego non sa che la fonte dell’energia è dentro di noi, e per questo spinge a cercarla fuori”.
Ricordo che l'Ego è una forma primordiale di Io, che corrisponde alla parte cosciente della personalità. Secondo le sacre scritture freudiane, è la “sede dell'angoscia, dovuta al triplice pericolo cui il soggetto è esposto: il pericolo che incombe dal mondo esterno, dalla libido dell'Es e dal rigore del Super-Io. E’, pertanto, servo di tre tiranni” e, proprio per questo, risulta essere fortemente debole ed instabile.
L’Ego, così angosciato, non consente di accedere (in modo semplice e diretto) alla forza d’animo necessaria per compiere attività sportive con assiduità (perché faticose e poco attraenti), per rischiare attività imprenditoriali o solo per migliorare un pochino le prestazioni podistiche (a che scopo?)… Questa debolezza ed instabilità la ritrovo per esempio, sempre casualmente, nelle parole dello scrittore messinese (emergente) Rocco Bruno quando scrive che:
“Tutto ciò che vediamo, tocchiamo, sentiamo, odoriamo, l’esperienza stessa del reale, non è altro che la proiezione di un universo invisibile fatto di emozioni, fantasie, immaginazioni, chiacchiere, idee, pensieri, sentimenti, volontà. Questo influenza ogni nostra scelta, ci priva di un’autentica scelta; ci priva della possibilità di essere reali e concretamente veri, autentici. L’unico mondo reale è l’essere, è per questo che ne siamo stati privati, come della luce e della coscienza. La nostra capacità di renderci conto è stata limitata, lentamente demolita e sostituita da una tendenza al conflitto, al dubbio, alla paura, allo scetticismo. Il pensiero conflittuale, il dialogo interiore, il giudicare, criticare, correggere, spiegare, giustificare fanno di noi dei magnifici agenti di un sistema di controllo che tiene noi e gli altri soggiogati in un sogno dal quale ci si sveglia solo in punto di morte. Esiste comunque un varco, una rotta praticabile…”
Ma non vado oltre: esiste un varco, una rotta praticabile, e meno male! Liberiamoci dall’Ego, dall’egoismo e dalle sue angosce che spingono a cercare l’Energia lontano da noi, nella terra dei veleni, del doping, delle dipendenze, di tutte le possibili forme di schiavitù fisiche e psicologiche. Per estensione, infine, in qualunque società si viva è possibile e doveroso lottare per cambiare le cose sbagliate.
Riprendiamoci quindi l’Io che trascende l’Ego nella sua crescita in consapevolezza e maturità e ritroveremo il gusto di competere prima di tutto con noi stessi, negli allenamenti e nelle competizioni. Ricerchiamo la supercompensazione in tutte le attività della vita e andiamo alla scoperta dei nostri limiti.
Riflettendo sui limiti individuali, è evidente che negli sport di breve durata è più facile toccare le pareti del proprio “container genetico” e patirne, almeno un po’, soprattutto in gioventù, soprattutto negli stadi di atletica, nelle palestre e senza un allenatore morale. Negli sport di lunga durata, nel podismo, il “box genetico” è grande come un hangar. Si è meno vulnerabili alle ferite da urti psicologici: i margini di miglioramento sono in assoluto più ampi. Il “vulnus”, o l’offesa della constatazione di inferiorità, si distribuisce nei minuti e nella quantità di folla che spazia intorno a tanti singoli primati, così da essere quasi sempre soddisfatti di sé, almeno per confronto con le altre soglie.
Evviva dunque lo sport di lunga durata che aiuta a migliorare le prestazioni fisiche, ma soprattutto quelle psicologiche. Prendere coscienza che si può fare di più nello sport e nelle cose di tutti i giorni è il segreto che mi porto dentro e che spero sia il segreto di tanti.
Supercompensare può dunque diventare il mio personale slogan, l’energico incentivo che la psiche riceve quando dimostra di saper-come-pensare l’allenamento, la gara e la vita.
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