26 agosto 2015

Tuttologo in TV

Di profilo ha la faccia da fesso
Di faccia il profilo è lo stesso
(Luciano Erba)

19 luglio 2015

Costruire



"Ma tra la partenza e il traguardo
nel mezzo c’è tutto il resto,
e tutto il resto è giorno dopo giorno,
e giorno dopo giorno
è silenziosamente costruire,
e costruire è sapere
e potere rinunciare alla perfezione.

Ma il finale è di certo più teatrale,
così di ogni storia ricordi solo
la sua conclusione,
così come l’ultimo bicchiere, l’ultima visione,
un tramonto solitario, l’inchino e poi il sipario.

Ma tra l’attesa e il suo compimento,
tra il primo tema e il testamento...
Nel mezzo c’è tutto il resto,
e tutto il resto è giorno dopo giorno..."


("Costruire", Niccolò Fabi, 2005)

6 luglio 2015

L'impatto




In questo filmato, la racchetta colpisce la pallina alla velocità di 228,5 km/h. Le corde elastiche sembrano inghiottire la pallina...

< Il record attuale per un servizio maschile è di 263,4 km/h, realizzato nel 2012 dal tennista australiano Sam Groth >

La velocità della pallina viene misurata da un radar puntato verso la linea centrale della metà campo. Il radar è alle spalle del tennista e si attiva (emettendo onde ad una frequenza prestabilita) poco prima della battuta. Dopo il servizio, le onde emesse dal radar intercettano la pallina in movimento e tornano indietro modificate per effetto Doppler, cioè con una nuova frequenza che dipende dalla velocità della pallina. Dalla differenza tra la frequenza di emissione e quella riflessa si risale matematicamente alla velocità della pallina. 

Si intuisce che ogni onda di ritorno deve percorrere uno spazio maggiore della precedente per raggiungere la pallina e tornare indietro, quindi lo spazio tra due onde successive si allunga... 

Se ci si lascia trasportare dalle onde si può immaginare d'osservare i nostri organi interni mentre si deformano come palline, si strizzano come spugne... durante una discesa prolungata su ripidi sentieri di un trail. 

Se si allungano le orecchie si possono sentire i loro lamenti. Sono gli organi interni ridotti a fornire uno spettacolo da Flair bartending acrobatico con le linfe vitali a disposizione... Magari ispirati all'originale "Blue Blazer” che secoli fa versava lo scotch infiammato e acqua da un tazzone all'altro in una lunga scia infuocata...


4 luglio 2015

Maps or...


Maps ho perso le mappe. Sono sparite insieme ai desideri di correrci dentro come d’incanto. Al contrario, ora è spam, proprio come si legge maps da destra a sinistra, questo strano movimento che mi porta a scansare ogni pensiero, ogni invito, ogni sentiero più rapido d’un passo misurato e pianeggiante. Spam è l’insistenza di quest’idea serale che m’insegue da seduto, mentre guido, al tavolo delle riunioni, mentre stringo concetti di progetto. Al punto che non voglio più sentir parlare di corsa per tanto tempo. Non so, almeno un mese mi dico!? Facciamo due, ma niente; niente, neppure aprire il cassetto delle magliette e dei pantaloncini: devo nascondere le scarpe salomoniche e indossare le ciabatte e liberarmi da quest’insistenza illegale della mente dinamica...

Mi chiedo da dove nasca la parola “spam”, che sembra una cannonata a salve, e così scopro una storiella simpatica. Il termine “spam” nasce all'interno di una scenetta comica televisiva trasmessa gli ultimi giorni di dicembre del 1970 (Monty Python's Flying Circus, stagione 2, episodio 12 per la precisione), ambientata in un locale nel quale ogni pietanza proposta dalla cameriera conteneva un imprecisato ingrediente chiamato Spam (corrispondente ad un marchio di carne in scatola). La scenetta prosegue con l'insistenza della cameriera nel proporre piatti con Spam («uova e Spam, salsicce e Spam, Spam uova Spam Spam pancetta e Spam» e così via) e con la crescente riluttanza del cliente per questo alimento, in mezzo ad un coro inneggiante allo Spam da parte di alcuni Vichinghi seduti nel locale...



Per effetto del successo di tale satira, probabilmente basata sul fatto che quella carne in scatola costituì l'unico cibo nutriente disponibile in Inghilterra durante la seconda guerra mondiale, il termine “spam” ha indicato qualcosa di onnipresente, fastidioso, quasi insopportabile. 

Sembra che il primo spam via email della storia sia stato inviato il 1º maggio 1978 dalla DEC - che voleva pubblicizzare un nuovo prodotto - e inviato a tutti i destinatari ARPAnet della costa ovest degli Stati Uniti, ossia ad alcune centinaia di persone...

Il cervello è diventato uno spammer ogni volta che mi ricorda ciò che dovrei fare, e non ho più la voglia di fare. Domani metterò un filtro. Ma forse così non mi alzerò più dal letto...
Di sicuro c'è che ora capisco le indigestioni... le cento chilometri... gli sballi...

29 giugno 2015

Palomar vede lo Chaberton

«Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato»                                                            
(Calvino, riassunto della storia di Palomar)


Palomar è un tipo tranquillo, anche se a volte si infastidisce perché il mondo intorno a lui è troppo dinamico. Così si isola e riesce a ritagliarsi lo spazio per tradurre il mondo che lo circonda nel suo immaginario simbolico, ed estendere la validità dell'osservazione a tutta la realtà. L'impresa è però fallimentare...

Palomar, il romanzo di Calvino, è la mia chiave di lettura. Di ieri e di oggi. Di come ci si può perdere sospesi tra il fascino del labirinto - la tentazione di abbandonarsi al rotolare delle pietre - e quello della sfida razionale - inseguendo il precipizio nei singoli massi - anziché tentare di naufragare nell'indefinito susseguirsi degli sfiniti passi... (Questa immagine è il mio personale "transfert" alle pietre di montagna dell'originale "visione di Palomar" per le onde del mare). 


Di più, salendo di quota, nella "contemplazione delle stelle", il signor Palomar decide di munirsi di varie mappe del cielo per poter individuare con precisione scientifica la posizione delle costellazioni... Lo fa; le studia, eppure è convinto che «per riconoscere una stella, la prova decisiva è vedere come risponde quando la si chiama»...

Così ho pensato anch'io di fare. Ho chiamato il sole e lui ha risposto con calore e meraviglia. Forse un po' troppo calore e sudore tra le ciglia. Ho chiamato la montagna, e alle 9:15, nel paese di Cesana Torinese, a ridosso del confine con la Francia, ho sentito l'eco di trecento montanari. Voci liberamente sciolte nell'impresa di conquistarsi; oltrepassare i confini in parte inesplorati e raggiungere la sommità dell'Essere Chaberton.

Una prima ondeggiante corsa su sentiero di qualche chilometro precede la lunga salita al monte. Faticosa, sempre più impegnativa. Dura. Alla fine durissima. Si parla, e questo è bello, con i vicini di fila indiana. Mi intrattengo prima con Davide, poi con Enrico, poi con un giovane gestore di rifugio francese, quindi con un ragazzo locale che usa solo dialetto stretto... Mi fermo per immortalare i paesaggi mozzafiato. 

Poi non si parla più molto. Frasi secche. Bocche asciutte. Onde cerebrali a bassa frequenza... Si comunica fisicamente, senza usare parole. E questo è ciò che una mappa non può rappresentare. Occorre qualcosa di folle - come andare quando la mente dice di sostare - per inzuppare la mappa di vita...  

A volte ubbidisco alla ragione. Mi fermo. Poi mi pento d'essermi fermato. Perdo così terreno e fiducia nelle mie possibilità... La discesa è una riflessione continua sul tempo che scorre proprio mentre cerco di fermarlo... Precipito, insoddisfatto, al 94° posto su 244 arrivati al traguardo...  

Ecco alcune immagini ricordo...

Selfie panoramico

Selfie con Enrico

Lo Chaberton inizia a vedersi sullo sfondo... E' lì che si arriva?

Volto le spalle alla grande pietraia

Tutti inseguono la meta... assetati

La salita continua e si attraversano lingue di neve

Poi si fa dura e si consumano le energie

Non mollare il tiro... manca poco

Lo Chaberton non arriva mai

La salita s'inasprisce

Finalmente si avvertono i cannoni

Lo Chaberton è conquistato. Qualcuno ha issato due bandiere, una italiana e l'altra francese.

Caro Jago... eccoti la bandiera sbagliata (ora abbaia pure)

Discesa piena di sassi nelle scarpe e nel cervello... Ecco il ponte tibetano di Claviere

L'arrivo di Paolo... 

Fine del divertimento... 4 ore e 22 minuti

27 giugno 2015

Mappa

Apro la mappa solo cinque minuti. Oggi c'è altro da fare. Così tento di spiegare a Jago che "la mappa non è il territorio, e il nome non è la cosa designata"...

Il concetto è famoso, ed è stato studiato dal filosofo inglese Bateson (figlio del padre della genetica). Bateson teneva un corso in California che si chiamava "Ecologia della Mente": che spettacolo...

Bateson ci ricorda che "quando pensiamo a porci o noci di cocco nella nostra mente non ci sono porci o noci di cocco, ma rappresentazioni e classificazioni di questi oggetti. Spesso però non si ha una distinzione logica tra il nome e la cosa designata e questo può dar luogo a reazioni irrazionali: ci si può commuovere, ad esempio, di fronte a una bandiera perché essa è il simbolo della patria piuttosto che un pezzo di stoffa colorato."

Jago osserva con attenzione la carta topografica appena evidenziata da Cesana al monte Chaberton in giallo, e nella discesa verso Claviere in verde. Poi appoggia i suoi polpastrelli a cuscinetto sul crinale tra le nazioni e abbaia, sommessamente commosso, che i francesi ci hanno rubato qualche montagna. E' stato irrazionale, lo so...

Gli ho promesso che domani avrei portato una bandierina italiana e l'avrei piantata (per lui) in cima alla montagna francese... Poi mi sono ricordato che Jago è messicano, ma i colori del Messico sono uguali ai nostri... Fiuu... ;-)

Il percorso di domani

Jago mi spiega il percorso velocemente

Ecco la bandierina

20 giugno 2015

Chiamate 3131

Ecco fatto, mi sono messo anch'io in contatto diretto con quel "mezzo di comunicazione" che è la montagna. Da raggiungere o scalare in qualche modo. Mi sono iscritto al "Trofeo Monte Chaberton 2015" che è una salitona e una discesona al monte alto 3131 metri. Chiamate Chaberton 3131 è la linea immaginaria "senza filtro" che ora si aprirà nella testa, in quest'ultima settimana che precede la salita. 

La storia dello Chaberton è legata alla sua posizione strategica, sulla cresta che divide l'Italia dalla Francia. Su questa vetta, una "batteria di cannoni fortificata" venne costruita nel primo decennio del '900. Il battesimo della fortificazione coincise anche con la propria fine: nell'arco della settimana dal 21 al 25 giugno del 1940 i mortai francesi fecero piazza pulita, più o meno...

Mi affiderò all'immaginazione, vista la carenza di allenamento. E il tempo che fugge non mi lascia alternative. Ora o mai più. La compagnia è numerosa, i plotoni si stanno schierando. 2000 metri di dislivello positivo e 25,5 chilometri sono una buona linea di comando e controllo mentale...



15 giugno 2015

Urban Trail

Non ci piove. Il fatto che le corse un tempo di resistenza siano diventate oggi di velocità è un fatto su cui non ci piove. E se anche fuori c'è temporale, non ci si bagna più nei luoghi comuni. Anzi, ci si ripara in caso di piogge scroscianti o di rimpianti: "un tempo si correva per passione, oggi per competizione...".

Ma la fantasia è un posto dove ci piove dentro, diceva Calvino. E ieri mi sono inzuppato i piedi in una normale gara di corsa podistica, che ormai più nessuno vuole chiamare così. In altre parole, ho partecipato alla "5^ Colletta Urban Park Trail". E anche qui non ci piove: correre un "Urban Park Trail" pareva tutta un'altra cosa. Nella "U" si sollevava l'ugola per salutare un transito regale d'aria; nella "P" si lanciava una molotov al centro del discorso, e nella "T" si viveva il brivido di Thor e del suo martello da guerriero... 

Il podista, diventato fulmineamente protagonista di un gesto estremo, atletico o amletico non si sa bene. Povero podista.

La testa non dava molti segni di vita. Tutto il prato in pianura sembrava in discesa. "Frena, che poi si sale" veniva scritto sul gobbo davanti a me, ma la discesa non finiva più, e la frenata è durata tutta la gara, naturalmente piatta, contratta, compatta. Naturalmente inadatta. Alla mia testa ho chiesto un riparo, ma come dice il proverbio: "chi si ripara sotto la frasca, ha quella che piove e quella che casca". 

Tutta l'acqua del traguardo ha concesso un corto circuito liberatorio. Basta con questo piattume! Abbandono la spazzatura d'una media da 4:18 al chilometro per dimenticare tutte le prime parole da traguardo: "Quanto hai fatto?", "Ti sei piazzato", "Mi hai battuto"... 

No, questa volta ti ho buttato, urban trail di cemento armato...


1 giugno 2015

Trail Monte Soglio


"Per quest'anno / non cambiare / un trail al mese può bastare...". Ma potrà bastare, all'anima, per rappare al meglio il disco della vita? Forse no. Certo che no.



In ogni caso, nel mese di marzo siamo partiti da Almese, in val di Susa, con il "Trail dei due monti". Ad aprile si vagava per le colline eporediesi, con il "Trailaghi". E per maggio ci siamo ritrovati al Trail del Monte Soglio, nel pieno canavese.

Qui la sveglia è tranquilla per una scelta azzeccata. Il "Gir Curt" da 35 km e 2000 m D+ parte all'ora ideale per un pigro, le 10 di mattina. Si spera nel sole e nella luce d'una cresta da assorbire ad ogni riflessione. E invece ci si scontra con nebbiose sospensioni d'umidità, regali fumanti di mucche, ed altre insidie tra gli alberi aggrovigliati alle radici dei boschi. Si spera nel sole, ma si oscura nel cielo.

Volevamo vedere l'orizzonte. Non ci siamo riusciti. Tra il grigio di nuvole e le pietraie, è tutto un viavai di scarabei dalle brillanti sfumature, in lento transito - o appena scoperchiati al suolo - come tasselli con troppe zampette. Li schivo e li osservo. Qualcuno è già finito sotto una suola ed ha l'aria più deformata di me, quando affronto la salita.

Riesco a dare il meglio: nella prima rampa trattengo un margine di respiro senza affanni. Paolo è dietro e non si vede. Sull'altipiano raduno le forze e mi aggrego ad un gruppetto con il quale alternarmi nella corsa e nella camminata fino al ristoro a quota 1500, prima degli ultimi 200 metri di strappo per la vetta principale.

Mi conforta sentire il corpo come una sofisticata macchina zeppa di sensori, di bisogni, di immagini in ingresso e in uscita. Li elaboro costantemente. Un attimo di distrazione e scivolo. Ora ho un dito sanguinante e un principio di crampo al polpaccio. Tutto si complica in due minuti, ma questo è il momento in cui il Trail, qualsiasi esso sia, entra nella memoria a lungo termine (il momento "animale", nel senso che attiene all'anima invisibile che ci sostiene).

Si deve minimizzare e ripartire al più presto. Ho finito l'acqua, ma trovo un compagno che sta per buttare una bottiglietta ancora piena: la intercetto e me la scolo. E' fantastico dimenticare la sete. Ma bevo troppo, e all'inizio della lunga discesa sento i liquidi che rumoreggiano e spostano qualcosa dall'interno. Questo è il momento in cui il Trail prende corpo. Prende il tuo corpo e lo manipola senza pensare alle conseguenze; per fortuna entra nella memoria solo a breve termine.

Si deve minimizzare e correre più veloci. La discesa mi asciuga lentamente i sudori. Inizio a vedere le schiene di un nuovo gruppetto che è ormai alla mia portata. Qui c'è anche il fratello di Paola, un paio di magliette colorate, e poi un simpatico e longilineo runner di nome Mirco, con il quale ingaggerò la sfida cortese dell'ultima ora... Mirco mi accatasta nella discesa più ripida per poi pagare tributo appena il pendio risale. Lo sorpasso prima della fine, definitivamente, ma solo per questa volta. Perché qualcosa mi dice che incontrerò il suo menisco in qualche prossima escursione!

Il vissuto nel tracciato è sempre personale, solitario, introspettivo. Tanto più è profondo ed interiore, tanto più si solleva e si trasforma in fratellanza sul traguardo, poco prima o poco dopo...





Sulla strada ormai prossima alla fine incontro Maurizio in bicicletta. Questa è casa sua. (Speriamo di incontrarci presto Stoppre!). Ho ancora energia per raggiungere chi sta lottando con i crampi. Sono felice e senza tanti pensieri. Spazzati via con la pigrizia.

Concludo 34 esimo su 235 giunti al traguardo, in 4h e 11 minuti. Risultato inaspettato. Guardo l'ora: sono in tempo per tuffarmi nel bidone del tè freddo, e anche per pensare a Lorenzo che sta per iniziare la sua 100 km del Passatore. Eccoti il testimone, vai Lorenzo!

Mi giro un attimo, appena sporco di nutella, ed intravvedo Paolo che traguarda. Gli ho concesso 11 minuti (e lui se li è presi tutti, ridendo e scherzando)...

Ottima l'organizzazione del Trail. Estremamente scrupolosi in ogni dettaglio i vari componenti dello staff. Esagerati nei controlli, ma tanto gli italiani sono italiani e i furbi anche (fanno gli italiani). Intravvedo Gianfranco, ci salutiamo, ma poi lo perdo di vista. Intanto Paolo si fuma una delle sue sigarette e condivide con gli "Orchi" della sua squadra le sensazioni.

Si mangia con gusto. Siamo in tanti e finiamo a chiacchierare con i vincitori del "Gir Lung": Alla mia destra sta mangiando seriosamente Daniele Fornoni, giunto primo nella gara di 66 km e 3600 m D+ (nel tempo di 7h 09). Vicino a lui c'è il giovane Michael Dola giunto secondo. Ci facciamo un selfie dopo mangiato, mezzi tramortiti. Di fronte a me c'è anche Alberto Ghisellini, di Bergeggi, simpaticissimo terzo classificato. Anche con lui un selfie, e tante chiacchiere di vita e di sport.

Ne vale la pena sempre. Sportiva la mente!


Cotto all'arrivo...


Con Alberto e Paolo


Con Michael e Paolo

28 maggio 2015

Avvistamento Trail

"Quando siedi, siedi; quando cammini, cammina; quando lavori, lavora." (Proverbio Zen)

Ritorno sempre al punto di partenza. Mi metto le scarpe da ginnastica, i pantaloncini aderenti, la maglietta tecnica, il cappellino; poi esco e corro. Almeno ci provo, ma non faccio in tempo a capire cosa succede esattamente, cos'è questa fatica nell'aria profumata di glicine, quel fiore d'acciaio a cui è appesa un'anima o l'orologio che mi confonde il polso e si piazza sopra di me, all'orizzonte del parco... che già torno al punto di partenza più felice.

E' una mezz'ora di Zen, la strada. Occorre "esercitare l'attenzione" e poi "calmare la mente", per "agire concentrato"; "non voler raggiungere nulla" ed "essere indipendenti da tutto". Questi pilastri di filosofia sono da vivere possibilmente in ogni istante. Percepire l'attimo e viverlo così com'è: questo è Zen. 

Dopodomani ci sarà una lunga strada da fare. Non devo pensarla tutta in una volta. Solo al passo successivo, al respiro successivo, al tratto di strada successivo. E ogni volta a quello successivo ancora. Si dice che solo così si provi piacere, attraversando l'esistenza del momento, nel momento in cui la vita lo richiede. E sentire gli istanti come si sentono i propri istinti.


17 maggio 2015

In due salti

Nell'ultima corsa avevo accolto l'etimologia di una radice che spezzava l'asfalto rovente. Correre poteva dunque parlare di cose genuine. Certo in uno sforzo condiviso. In una risata in faccia al mondo. Vivace. Loquace. Passeggera.

Dalla crepa, sottoterra, l'inconscio irragionevole ha proseguito la sua naturale visione del movimento. E l'asfalto ha lasciato il posto alla terra bagnata. La calura alla fresca pioggia. La polvere al fango. La pianura alla montagna. L'irrilevanza dell'etimologia alla sostanza dell'entelechia. Viva. Silenziosa. Finale.

Irrilevanza nel senso di "rilievi inesistenti" che la pianura non può offrire alla mente quando corro. La storia delle parole circolanti nell'allenamento senza verticalità è breve. Le radici emotivo-logiche sono corte. Pista, crono, metro. Parco, curva, piede. Puzza, striscia, moto. 

Sostanza nel senso di "sosta nutriente" che la montagna offre alla mente quando impone alla corsa di rallentare, di fermare il pensiero. E di portare a compimento una missione radicale: attraversare se stessi al contrario. Dal basso verso l'alto. Anziché scendere nelle viscere delle proprie emozioni, salire tra le nuvole dei propri desideri. Le radici sono lunghe e illogiche, ma motivanti. Mulattiera, cinguettio, temporale. Arcobaleno, tornante, pozzanghera. Inebrianza, naturalezza, movimento.

Entelechia, dal greco entelécheia, significa "avere" (échein) "il compimento" (télos) "in sé stessi" (en)’. Per Aristotele, una realtà che contiene (in se stessa) la meta finale verso cui evolvere.

Entelechia è la tensione di un organismo a realizzare se stesso secondo leggi proprie, passando dalla potenza all'atto. Una sorta di finalità interiore necessaria per raggiungere il suo pieno sviluppo. Per esempio, Giulio Cesare conteneva già in sé la vittoria sul Rubicone. E Michelangelo, parlando delle sue statue, ricordava che era il pezzo di marmo ad avere già dentro di sé quella figura, che chiedeva di uscire.

Il libero arbitrio era un concetto che Aristotele non poteva ancora stimare. Ma non importa. Ciò che conta è che per entelechia, per caso o per fortuna, sicuramente per azzardo, sabato mattina io e Paolo ci siamo spinti verso le montagne intorno a Piossasco. Erano loro a contenerci tra i sentieri erbosi, e noi a comprendere le montagne stesse, come fossero mete necessarie per poterci osservare dall'alto anche solo per qualche istante, respirare l'aria del traguardo, e poi tornare nuovamente ai piedi stanchi, con un altro sguardo...



Felici, dopo 20 km e 800 m D+

11 maggio 2015

In due crepe

Che calura. Che tormento. Uscire a correre per entrare in me stesso, dove il caldo è più liquido e animale. Potrei infilarmi in una delle tante crepe immateriali, e diventare sagoma della mia mente. Svanire dalla biologia per tutta questa strada appare così semplice... 

Ma le parole di Raffaele sono napoletane e quelle di Gabriele siciliane. Si ride a crepapelle senza osservare più nulla che sia al di sopra delle nostre fatiche. Le teste si abbassano inzuppate di sudore. 

Per terra appare un albero da una crepa. E' una radice etimologica sfuggita chissà dove. La raccolgo e scappo via. Correre diventa così lógos (discorso) sull'étymos (vero, reale, genuino). Etimo-logica-mente. O irrazionalità a forma di barbagianni?


6 maggio 2015

In una torta

La fatica è ripagata, solo adesso. Grazie Gabriele, grazie Lorenzo per la corsa di questa sera... Ma l'aria è ancora impregnata di farine di pollini integrali, e dopo l'allenamento si fa respirare - con tutta l'ansia necessaria - per impastare in fretta la torta di compleanno. La mia torta preferita, di mandorle e mele; tante mandorle e tante mele.

Aspetto con impazienza che il lievito agisca nell'intorno dei pensieri pronti per la cottura. Mi avvicino al forno, mentre alla radio Venditti canta la sua ultima canzone... 

Ma tu, torta mia, cosa avevi in mente di diventare?

La torta di compleanno

4 maggio 2015

In due note

Questa sera nell'aria dell'allenamento c'era il ritornello di un buon viaggio che rigava - leggermente distorto - l'auto di alcuni giovani fermi in mezzo alla stradina. E in mezzo al rituale muscolare ho perso il contatto con la terra e con quel che di terreno stava intorno a me. Rallentando per ascoltare le parole ho riprovato la semplicità di un'esperienza - lo spaesamento? lo Zen? - che ha luogo là dove l'inessenziale è messo da parte...    

Il Buon Viaggio di Cesare Cremonini è così diventato speciale, e "l'orizzonte verticale" ha spinto gli occhi verso l'alto, fin dove si poteva arrivare a cantare...  
"Buon viaggio, che sia un'andata o un ritorno, che sia una vita o solo un giorno, che sia per sempre o un secondo... L’incanto sarà godersi un po’ la strada... 
Ti aspetto, dove la mia città scompare, e l’orizzonte è verticale... Lasciare tutto indietro e andare, partire per ricominciare. E per quanta strada ancora c’è da fare, amerai il finale...
In fondo è solo un mare di parole, e come un pesce puoi nuotare solamente quando le onde sono buone. E per quanto sia difficile spiegare, non è importante dove; conta solamente andare..."  

3 maggio 2015

In due parole

In salute e felice. In due parole definite, il dominio e il codominio dell'esistenza umana. Se fosse così matematica, la funzione "esistere" avrebbe per dominio "la salute", ovvero l'insieme dei giorni sereni in cui ha senso valutare l'esistenza, e avrebbe per codominio "la felicità", ovvero l'insieme dei valori della vita. Tra alti e bassi, tra immaginario e reale, tra meditazione ed azione...

Però i valori sono altri: una dozzina d'ali morali da sbattere per scrollarci di dosso la polvere sollevata in tanti anni di corsa individuale. Individualistica. Arrivistica-mente. A volte la polvere è così spessa che può spezzare un'ala. Ed è in quel momento, più d'ogni altro, che si capisce perché tutti i valori della vita sono matematicamente quelli che danno la felicità...


29 aprile 2015

Il confine

Il confine è di questo corpo. E così rimbalzo come un insaccato di carne intrisa di rosso e di tramonto dietro il cancello della casa che costeggia l'allenamento della sera. Una lunghissima frase e la serata è sconfitta, ma l'idea, nella sua forma, è sconfinata...

Questa sera è così aperta, così piatta, che mi toglie una dimensione; mi fa dimenticare che respiro, che sollevo, mastico e fatico con la ruggine addosso del tramonto che non vuole più tramontare. Mi allungo l'orizzonte a piacimento e dimentico che esiste la materia; le pietre sono lì, ma non le vedo. Le sorvolo. 

E' così bello girare con la fantasia nelle tasche o sotto la lingua, pronta a sorreggere la fatica che prima o poi si presenta. Sono un corpo di fantasia. La carne lentamente cede i suoi confini all'avventura di un fiore che nel vento vuole superare la finestra, poi il tetto e infine la mia visione del mondo. E cede al moscerino che mi entra nella palpebra dell'occhio, annerendo la visione di un emisfero. Sono un corpo che si scorpora da sé per entrare nelle cose che circondano i miei sensi. 

Ecco la parola che galleggia nell'aria ogni sera e che non riesco mai respirare: "eidos", e-i-d-o-s, in greco εἶδος, è la natura interna di una cosa, il nucleo invisibile; è ciò che causa ad una cosa quel che è, cosa è, e senza la quale quella cosa perde di significato. Ma non riesco mai a capirlo fino in fondo. Non potrò mai essere un filosofo. Più mi sforzo, lo ripeto, e meno entro nel fiore; meno entro nel moscerino, che invece è un gran filosofo perché già dietro l'orbita del mio occhio sinistro.

Eidos, lo dico e lo ripeto pensando ai mantra di chi soffre. Eidos, scolpisco la parola che già significa "forma", "aspetto" e di per sé assume la forma che uno desidera. Senza aspettare, la sformo. Forse è proprio quello che fece Platone quando si inventò questa sua parola. Giocava con le formine, con la sua filosofia bambina. Certo sarei stato attratto dalla creazione parallela di qualche parolina. Eidos, ehilà, come sta? 

Senza coscienza di ciò che accade mentre corro non c'è essenza nella corsa. E' per questo che ho rallentato ed iniziato a misurare la vita che non racconto. A cifrarne le sequenze per intuire cosa c'è che non posso essere. Cosa l'immateria oscura vuole disfare da me, facendomi sputare per ore e sperare di ottenere. 

Ancora non so quando finirà questa ricerca. Ora trovo solo parole e spiagge dell'antica grecia. Il sole è sempre alla fine della strada e non vuole tramontare; anzi, non può farlo perché non è ancora l'ora di rientrare... 



28 aprile 2015

Ali

Poi ritorna il sole sulla vita che rimane a ripensare quel battito d'ali, a colmare. L'abisso che tortura non è paura; s'aggira accecando il desiderio d'infinito... Mi ritraggo scosso sul momento e apro gli occhi e spengo il nero che diffondo. Evapora anche la saliva, quella mia: sulla terra non posso più sputare; e così sia.  


27 aprile 2015

Il vuoto d'un istante

Fuori il vuoto è nero; esattamente come dentro. E' più denso dell'inchiostro. Non si può strizzare e non si può capire; scivola dalla fessura, si fa respirare piano riempiendomi di buio. Non so che fare, circondato dal nulla immobile e silenzioso che ormai è diventato ciò che sono, così ombra all'improvviso da non poter attraversare più nessuna strada senza cadere nell'oscurità di questa fine. E m'accodo attorcigliato; attorcigliato a due occhi spenti.

(gatto animato)
P.S.: Dedicata a Giampaolo, amico, ex-collega, scomparso improvvisamente. 

26 aprile 2015

Soul running

Non stavo pensando, correndo, al solito dualismo. L'andatura era di quelle più che tranquille. Quasi annoiate. Piatte. Le ondine della stradina ripulita del parco scodinzolavano intorno ai miei occhi privi di salite o discese da affrontare. Era piattume. Piattumera.

L'odore nauseabondo di questo neologismo aveva di colpo risvegliato l'imperfetto dell'anima. Indicativo di una simultaneità di sensi e di stimoli trasversali che andavano traducendo il linguaggio del corpo in quello delle cose immateriali del pensiero. Il solito dualismo...

Il corpo doveva muoversi. La mente evadere, oltre i sensi inarcati dai chilometri e l'immoralità dell'anima, in una sorta di era preistorica e platonica. L'immortalità è immorale...  ma il concetto greco era stato già iniettato nella tradizione giudaico-cristiana, da Platone. La memoria mi allontana... 

Le parole con cui l'antropologia biblica descrive l'uomo sono parole ebraiche, si sa. Sono state tradotte in greco ed hanno assunto un altro significato, quello che apparteneva alla filosofia platonica appunto. Ce ne sono quattro fondamentali che non posso dimenticare.
Un colpo di tosse e libero la gola. Nefes. Questa parola ebraica dell'Antico Testamento venne resa in greco con "psyche" e con "nous"; in latino con anima (755 volte). Ma "nefes" è una parola che designa l'indigenza dell'uomo, i suoi bisogni: gli storici sanno che la parola più affine è "gola", l'organo di nutrizione attraverso cui ci si sazia. Che inganno...
In cielo, un asino che vola. Basar. Questa seconda parola ebraica venne resa in greco con "soma" e in latino con carne (273 volte). La parola "basar" non è mai riferita a Dio, in ebraico. Carnivori latini...
Un colpo di vento, sbando. Ruah. Questa terza parola ebraica venne resa in greco con "pneuma" e in latino con spiritus (389 passi). La parola "ruah" è sempre riferita a Dio, in ebraico. Spiritosamente latini...
Non sento più il battito cardiaco. Leb. Questa quarta parola ebraica è l'espressione antropologica più frequente (ricorre 858 volte), riferita quasi sempre all'uomo. Venne tradotta in greco con "kardia" e in latino con cor (cuore).
L'uomo dell'Antico Testamento non conosceva il dualismo antropologico tra anima e corpo che ha conquistato il mondo greco. Semmai conosceva un dualismo cosmico, dove non esiste un'anima naturalmente buona e un corpo naturalmente cattivo...

Uno scatto e supero di cattiveria questi concetti. L'andatura diventa spinta propulsiva. L'uomo del mio testamento è quello che sa d'essere "una tessera d'un mosaico geniale"...

Un frammento di disegno dalla forma ondulata per l'incastro nella vita (il disegno, l'anima; la forma, il corpo) possono sembrare solo un gioco. Ma un gioco da eroi... per dirla con i Negrita.



21 aprile 2015

Trail me up



Ho scoperto che "Trail me up" è uno "street view" dei sentieri, ed è italiano. E' ancora povero, ma è bello. Spero che possa ampliarsi e coprire in qualche modo tante valli da esplorare con l'immedesimazione visiva, almeno per chi non può recarsi in modalità più "sensibile"...

Trail me up suona come una sveglia, come wake me up degli Avicii. E si addice alle mie condizioni al contorno, e alle soluzioni reali della vita. 

So wake me up when it's all over 
When I'm wiser and I'm older 
All this time I was finding myself 
And I didn't know I was lost 

Traduzione: 

Svegliatemi quando sarà tutto finito 
Quando sarò più saggio e più vecchio 
Per tutto questo tempo stavo trovando me stesso 
E non sapevo che mi ero perso

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Ora che sono più saggio e più vecchio mi accingo a ripartire così: 

- 30 maggio 2015: Montesoglio, 35 km, 2000 D+
- 7 giugno 2015: Monteservin, 31 km, 1900 D+
- 28 giugno 2015: Chaberton, 25 km, 2000 D+
- 12 luglio 2015: Tre rifugi Valpellice, 34 km, 2200 D+
- 6 settembre 2015: Thabor: 30 km, 2600 D+
- 20 settembre 2015: Oulx, 48 km, 2800 D+


L'ultimo (Oulx) sarà una seconda chance. 

Potrei canticchiare "trail me happy", oppure "trail me far away"... Per fortuna so che non mi perderò più. 

20 aprile 2015

Dualismo

E’ domenica. Si corre tanto per allenare o tanto per cambiare. Come cambia l’aria, che espone i contrasti della materia al giudizio affrettato di chi è più veloce. Del muretto che si sbriciola alla luce che lo scalda, e sbianca. Del rumore profumato che la marmitta solleva di rosa dai petali accumulati sull’asfalto. Più veloce del gusto di sé stessi, nell’intorno della propria saliva. Del gusto di pensare a qualcos’altro. 

Una salitella, e la bocca si stringe intorno ai denti, chiudendo il vuoto sterminato di pensiero. Poi si scende poco poco e c’è l’aggancio ideale con la terra: si sente l’erba che taglia il vento della memoria ritrovata, e si ferma il tempo.

Appare un vecchio libro: “Il lupo della steppa” (di Hermann Hesse) che racconta del contrasto tra lo spirito e l’istinto, due macigni della psicologia e della sua analisi. Il lupo della steppa sono io. Lo sei anche tu, quando corri per ritrovare te stesso. “Come corpo ognuno è singolo, come anima mai” scrive Hesse. E l'esperienza della realtà, nella corsa, è singolare. E’ fisica, ma plasma per istinto anche lo spirito. 

E’ l’esperienza, in generale, che permette alla mente di comprendere la realtà. E l’esperienza di peso solleva la leggerezza di pensiero. Scuote come una tovaglia il dualismo mente-corpo umano. Le briciole, disumane, cadono alla portata di animale... 

E' l'istantanea di questo allenamento. Un autoscatto, tanto per osservare la superiorità dell'istante che è passato a mangiarsi il reale e l'immaginario. Una zampata di gatto? 


Autosgatto reale

Autosgatto immaginario

16 aprile 2015

Lenti allenamenti

Ieri sera Gabriele mi ha fatto da “spacciatore di lenti”. Si correva per le solite strade, tra polvere e catrame, con le “pupille abituate a copiare” di grigio in grigio, al palo d’un mondo che si sgretolava sul tramonto, veloce e sofferente.

E’ così che ho sentito d’improvviso la corsa senza traccia, dentro, di verde cresciuta, come erbaccia. In mezzo all’idea di libertà e di respiro c’era già la canzone di De Andrè che m’aspettava:

"Non più ottico ma spacciatore di lenti / per improvvisare occhi contenti, / perché le pupille abituate a copiare / inventino i mondi sui quali guardare. / Seguite con me questi occhi sognare / fuggire dall'orbita e non voler ritornare..."  (Fabrizio De Andrè)


Per i tornanti giù dalla montagna. Per i sentieri improvviso l’andatura. Scompare la paura. E la salita diventa come un sogno che di colpo si rivela allo svanire dell’impegno, come senso delle cose più profondo, sul punto di morire ancora in vita. La creazione, in una semplice salita, è quest'abbandonare il corpo a sé stesso, consegnandogli l'incertezza, l'improvvisazione e la bellezza...


P.S.: Ogni atto di creazione è, prima di tutto, un atto di distruzione. (Pablo Picasso)

12 aprile 2015

TrailLaghi 2015

E' stato tutto molto bello. Intenso, vissuto. Osservato con voracità. Gli occhi continuavano a sommergermi di informazioni. Ciò che ho appreso è molto più di ciò che ho dimenticato. E questo è già un potente antidoto...

Non riesco più a fare della cronaca; non è più quella, che mi interessa. Le sensazioni invece attraversano queste righe, saltando i raggi riflessi dagli specchi d'acqua, e che hanno ancora quel buio mattutino pronto a sospendere alberi e cerchi di legno e sentieri di foglie nel mezzo del loro lago. Tutto riappare per sentito vibrare. Non posso più semplicemente dire d'aver corso. E' stato un "percorso" ad ostacoli. La Natura ha messo ciascuno di fronte alla sua prova: equilibrio, velocità, pollini... Tutti da condividere almeno con un compagno, una compagna o un cane... 

Tra i famosi in gara, ho stretto la mano a Bruno Brunod ed al suo sorriso. Un uomo eccezionale, umile come solo i grandi sanno essere. Anche lui sostiene che "la psicologia legata allo sport è una frontiera ancora da valicare". Si tratta della psicologia del profondo, che si apre dentro l'uomo quando l'uomo decide di aprirsi. E di disfarsi di cose come l'orgoglio, la rivalità, la falsità... per scendere nella propria natura originale dove attingere l'energia della vita, dall'amore per la vita.

Non facendo più cronaca, non dico che ho faticato ad aspettare il mio amico, troppo lento per la mia psiche dopata (di oggi). Anche se nel giusto tempo speso per goderci lo spettacolo di una splendida giornata, abbiamo superato tre quarti delle duecento coppie al via. Un successo condiviso per passione. E questa è la sostanza della nostra missione...


Il solito selfie con Paolo...