10 marzo 2014

Maratonina del Lago Maggiore 2014

Domenica 9 marzo 2014, sul Lago Maggiore, lo stato maggiore della Podistica Torino ha dato, come sempre, il meglio di sé.
(Giancarlo il Presidente)
Una "perfetta macchina organizzativa" ci ha guidato serenamente attraverso i tempi ed i luoghi delle fasi evolutive dell’ homo orange, podista molto Sapiens. Reclute, soldati, graduati delle truppe arancioni. Ed ufficiali al comando senza esitazioni...

Tre pullman, per oltre centocinquanta iscritti della Podistica. Alle 7:15 si parte da Torino. Alle 9:15 si arriva a Verbania. Proprio di fronte alla Villa Giulia, dove si ritira la sacca per gli indumenti personali ed il pettorale. Senza code né attese, grazie al magistrale lavoro della Squadra che ha curato la distribuzione per i propri iscritti, addirittura per gruppi di cognomi.

Poi ci si cambia a gruppetti, nel soleggiato tepore mattutino che riscalda il praticello di questa maestosa Villa Comunale (un tempo Kursaal, Casa di Ritrovo del Forestiero, e ora sede del Centro Ricerca Arte Attuale). In pochi sanno che qui si digeriva, di fronte al lago, nelle fresche estati festaiole, a suon di Fernet. Perché in origine, la Villa era la casa di Bernardino Branca, l'inventore dell'Amaro famoso (il Fernet Branca), voluta da lui intorno al 1850 (Giulia ne era la nuora).



(Villa Giulia)
Ci si veste in stile Liberty, con la facciata della Villa rivolta verso il Lago e le nostre facce sparse, a volte comparse di propri fantasmi da sfidare, come dice Lorenzo.

Gli attimi prima della partenza sono puntine da disegno di stati emotivi. Si tengono in una mano o si innestano sul pettorale. Si controllano le puntine degli altri sorridendo a denti stretti, anche per qualche brivido di freddo. Qualcuno sembra non provare emozioni, ma è solo una maschera. 
Dietro la pelle, il sangue ribelle irrora tumultuoso ogni forma di pensieroSi è soli con il proprio destriero...

(Oltrepassare il Lago)
Il pelo d'acqua luccica e fa pensare alle vacanze. Poi si entra nelle griglie e tutto sparisce. Si diventa quell'unica entità selettiva sulle frequenze portanti, lo speaker, il garmin, i cori ed i canti. Si conta, in quel tempo che scorre più lento del normale. Si diventa importanti. Allo sparo si accende il fuoco sacro non appena la scarpa davanti agli occhi infiamma la sua gravità, e si solleva dall'asfalto.

Da qui in avanti si proietta un film del tutto personale. Senza sceneggiatura, senza inquadrature fisse, a volte scoordinato, ripetitivo fino alla noia di sequenze ravvicinate e insistenti, sfocate. Di rumori di apparati respiratori, di aspirapolveri fuori giri, di sirene e di ambulanze che vanno e vengono ad assordare quel pezzo di vita che sta tra la sofferenza e l'appagamento e che rimbalza tra le due cose troppo spesso per non condurre ad un esausto finale di contesa.

Parto vicino al triatleta Callegari, pettorale 203. La sua struttura è quasi perfetta. Lo tengo a vista, per i primi cinque o sei chilometri, ma pian piano si allontana e si dilegua. Mi ritrovo in mezzo a successivi gruppi colorati. Il tempo si richiude sulla propria isotropia quando al quindicesimo chilometro, nel bel mezzo della strada che porta al traguardo i primi kenyani, all'ora esatta che scocca solenne e agli applausi amplificati dal tripudio e dalle casse di grandi altoparlanti, vedo il Pimpe. E lo saluto, mentre lui ride e ricambia girandosi nella mia direzione, quella opposta al traguardo.


Perché la bellezza di questa mezza maratona è la striscia di 3+3 chilometri di strada che si percorre in direzioni opposte, sulla stessa carreggiata, prima di arrivare al traguardo. Così si vedono quelli che stanno arrivando alla propria sinistra (due o tre metri) e che hanno già corso fino a 6 chilometri in più, a scalare... Stratagemma per la psiche e scenografia di interminabili saluti, sorrisi e smorfie frontali di cui nutrirsi per interminabili minuti...
(Lo sprint finale)
 
Alla fine arrivo anch'io! Supero un altro triatleta. Sono 169 esimo su 2027 concludenti. Fierissimo del mio personale, alla terza mezza maratona ufficiale della carriera podistica: 1:26:55. Tre minuti sotto il tempo del precedente dello scorso anno (già cinque minuti in meno della prima).

(E' andata, Raffaele)
Un abbraccio a Gianni che arriva silenzioso alle mie spalle di soli 10 secondi! Un abbraccio a Raffaele, poco dopo e poi ad Andrea e ai nuovi compagni della Podistica Torino che 
inizio a riconoscere: Stefano che arriva con me in volata, Gabriele che ha ceduto negli ultimi tre chilometri un paio di minuti, Salvatore che lavora nello stesso mio palazzo, Andrea, Roberta, Barbara, Giancarlo che è il presidente, Vincenzo che ha il Caminito Cafè, Alberto che si prepara al prossimo ultratrail, Fernando che deve sistemare il suo calcagno... quelli che ricordo.

Ci si rifocilla e si finisce sopra una tovaglia. E poi, non è questo il vero traguardo? La vera medaglia?


(Gli Amici della Certosa, tra cui Marco e Silvia)
(Diego, Silvia, Gianni, Raffaele, Marco, Ennio ed io)





(Gira e rigira...)

(L'imbarco per l'Isola Bella)


(Pronti a rientrare)













8 marzo 2014

LMHM



Domani lungolago da cruciverba. LMHM = Less or More Human Mind. 
Domani, più o meno, la mente umana si divertirà a correre tra migliaia di specchi soleggiati. Ad occhi chiusi arriverò pure al traguardo senza resa. A Stresa, sarà anche il mio miglior tempo? Sicuramente il mio tempo migliore. Speso come vorrei. Ripagato. Ripiegato nel migliore dei mondi possibili...

Hurrah

4 marzo 2014

IX miglia di Bra

Orange Uniform

Bra è un bel paese. 50 km a sud di Torino e 50 km a nord-est di Cuneo. 

I Longobardi chiamavano "Brayda" ogni proprietà terriera adibita a pascolo esteso. E così, anche per contrazione di quegli originari prati erbosi, la nuova toponomastica si è fermata a "Bra", abbandonando il resto ad una nuova umanità, fino alla novità di una "nove miglia" alla ennesima edizione. Novità per me, non per gli appassionati del podismo piemontese.

Mi ritrovo così in arancione, in mezzo ad altri 1100 cuori pronti al battimento, al palpito cardiaco, al movimento. In strada, le zolle dell'asfalto in moto accelerato. In mente, le montagne da trail in Colorado, le montagne di Anton Krupicka, nella natura rocciosa e ancora più arancione della mia divisa.

Le sensazioni profonde sono tanto diverse. L'ambiente è un'altra cosa. Ma la spinta evolutiva che sta alla base dell'impresa è sempre uguale. Le montagne ci sono, sono bianche, piccole, lontane; il sole crea le cornici più abbaglianti e il piatto della strada batte in testa. Mi sforzo di trovare l'aria musicale nel respiro. Inutile ogni tentativo di pensare. I primi chilometri sono veloci come lepri del deserto. Poi si curva alla frazione Cà del Bosco e tutto prende fiato.

La Podistica Torino si distingue nel tracciato. E' sempre tra il rosso e il giallo dello spettro del visibile. Tanti, sparsi, avanti e indietro. A gruppi sorridenti. Giubbe arancioni accese, come i tifosi della gloriosa Pistoiese. La squadra è organizzata. E' efficiente. Da primato.

Mi sintonizzo anch'io sulla lunghezza d'onda dei seicento nanometri (l'arancione) e partecipo alla spremuta generale, al saliscendi intermedio, al ritorno nel Paese ed allo strappo, tra gli applausi, sul finale. Qui con disonore un certo "red" il rosso (626 di pettorale) mi supera sul traguardo senza avvisare. Complimenti, hai vinto un mandarino.

Comunque la corsa è stata magistrale. Qui ricordo i miei tempi al chilometro, da carnevale: 3:59, 3:55, 3:54, 4:01, 4:01, 4:05, 4:05, 4:15, 4:13, 4:14, 4:05, 4:09, 4:24, 3:58, 3:55, 4:01p.




Selfie con Carlo

26 febbraio 2014

Appointment

Alla mia sinistra la Grand'Hoche (2762 m). Alla mia destra la Guglia d'Arbour (2804 m). 

In mezzo, una sella di confine con la Francia. 
Da lassù vorrei ammirare i ghiacciai della Barre des Ecrins e della Meijie. Da lassù. Appuntamento per l'estate.




16 febbraio 2014

Index

Dice il saggio: "poco importa la lentezza della tua corsa; sarai sempre più veloce di quelli che restano sul divano". E poco importa la relatività delle divise a disposizione, la gara o il tipo di divano...

Conta l'indice cardiaco. Quello che correla il volume di sangue pompato dal cuore con la superficie del corpo? No, l'indice che indica. La direzione del gruppo. Di un gruppo di cuori battenti come il tuo. Immagino un elettrocardiogramma sociale, tanto per sintonizzare le onde cerebrali sulla frequenza di una passione comune, la corsa. Ritmica danza tribale del cuore. Coraggio di sapersi movimento del proprio destino. Un saltello e un picco. La depolarizzazione dell'apice del ventricolo sinistro, e poi un'altra onda. Da seguire fino al mare dei desideri. Fino al sonno finale.

Conta l'indice glicemico. Quello che misura la capacità di liberare una certa quantità di glucosio dopo la digestione? Che corrisponde alla percentuale di assorbimento intestinale? No, l'indice che indica. La libertà del gruppo. Dello stesso gruppo di budella come il tuo. Immagino una distribuzione degli zuccheri a campana, tanto per digerire insieme la colazione, e ancora sintonizzare le viscere sulla più lenta frequenza di una passione comune, la corsa. Periodica prova d'orgoglio del cuore. La corsa, ritorno all'infanzia quasi fragile. A colorare il bianco delle pagine...

Questo è stato, forse in sintesi, l'allenamento di oggi. Un gruppo di nuovi amici. Combattenti gli indici di tutte le pigrizie umane...

Un'altra freccia rossa... bio correndo!

14 febbraio 2014

Go away

Sul Freccia Rossa si corre abbastanza veloci. Ieri mi sono inarcato da Torino, con bersaglio raggiunto a Bologna, in due ore e sette minuti esatti di "Red Arrow". Trecentotrenta chilometri in centoventisette minuti. Se tolgo il tempo delle quattro fermate fanno due chilometri al minuto esatti di media-viaggio. Se chiudo gli occhi e li riapro lentamente sono passati centocinquanta metri, ma nessun pensiero s'è mosso dal binario, o forse un calcolo mentale che andrebbe rimosso. Rimango stazionario.

Alzo gli occhi e osservo il display colorato che rinvia all'infinito arsenale di frecce mascherate da Pininfarina, poi da Giugiaro, di alluminio, acciaio e musetto in kevlar, scoccate da motori ETR 500 in testa e in coda. Sono su un giocattolo o su un treno da cinquecentosettantaquattro posti, dieci carrozze, più una centrale ristorante? C'è chi viaggia in executive comodamente; chi in business, in premium o in standard di coda come me, e la maggior parte della gente.

Ci sono diversi livelli di padronanza dei propri spazi fisici e mentali. Il mio è occupato dal vicino che si spara dalle cuffiette a "Budapest", tumefacendo le sue orecchie, e le mie. Da lì, la bellissima voce di George Ezra sembra trafilata dalla faccia di bronzo.

Chiudo gli occhi e ti rivedo, Nonno, guarda! A parte i cretini, che meraviglia! Siamo a trecento chilometri l'ora e sembra d'essere in salotto. Dai, tentiamo il dormiveglia. Tu che facevi il fuochista, il macchinista, e poi l'anziano ferroviere della bocciofila. Ora, quasi un secolo dopo, sei a bocca aperta. Ti vedo brizzolato avvicinarti al Freccia Argento e suggerirmi che andrebbe messo su rotaie meno nuove, per correre da anziano. Poi sorridere al Freccia Bianca, mentre dici che con quella freccia il tempo non è più un batter delle ciglia, ma torna libero di rallentare mille miglia.

Il progresso è già successo, come qualcosa imponderabile di natura evolutiva. Un arco, una freccia, un bersaglio. Una figlia. Che meraviglia...

Poi, nel sogno, cerchi di capire che cos'è la Freccia Club, e cosa sono i "punti extra", e chi sono i soci d'Oro e chi di Platino. Soci, non sorci né diamanti. Figure mitologiche d'una nuova fantasia. Sono punti di sutura per piccole ferite dell'umanità. Tremila punti qualificanti in un anno di corse per rotaie fanno accedere alla rete informativa Freccia Oro, non so a quanti carati. Settemilacinquecento, invece, fanno guadagnare un salottino a bordo treno e un call center dedicato... Nonno, nonno, sveglia! Sai cos'è un call center? Non sognare un treno che deraglia!


Torino Porta Susa: Freccia Rossa AV9563 - SALERNO ore 07:25

9 febbraio 2014

By the way

Niente da fare, non riesco a non pensare alla solita conta, al mantra, che mi protegge ogni volta che la resistenza dell'aria e la pendenza affaticano troppo la sostanza, e non lasciano altro da fare se non riprendere a contare... Un due tre... nessuno sa contare più di me...

Quando affronto una salita, sento il guaito del lupo. L'ululato di un loop cerebrale che mi porta a re-incontrare quel solito stornello, e nulla-mente mi fa attraversare un chilometro in pendenza senza patire l'ignoranza (ma riconoscendo alla sofferenza il ruolo di mediatrice tra la vita e la mera sussistenza).

Anni fa non capivo la fatica ricorsiva del contare in fattoriale, del domandare in filastrocca, del riprodurre funzioni di se stesse... Non avevo ancora rovistato nel fondo senza ossigeno in cui si striscia a volte correndo. Strisciando in salita, si itera il respiro e poco più. Non c'è spazio per interagire con lo spazio circostante, per ricorrere a metafore. Non c'è più aria per divagare. Le parole umane si contraggono in lamenti e gli enti inutili vengono abbandonati come sputi.

Anni fa non capivo che "l'iterazione è umana e la ricorsione divina", proprio come ha sempre sostenuto il grande informatico L. Peter Deutsch.

Contare è facile, è basic come "For...Next". Richiamare, invece, nel senso di ricorrere a routine che richiamano se stesse, è un'espressione evolutiva, una regola che ha fatto della Natura un'esplosione di bellezza frattale, neurale, capillare...

Quando invece affronto la discesa, sento il ringhio del cinghiale. Il grufolare di tutti i sensi in cui è possibile rivivere l'esperienza infantile del movimento, la gioia della vita piena di destini, di futuri, di incisi, di continue inversioni soleggiate di colori, di rumori, di odori richiamati alla rincorsa di qualcosa ancora da scoprire.

La salita è umana, la discesa è divina.

By the way (per inciso) Lorenzo dice che "sopravvivere è condizione necessaria per vivere, ma non sufficiente". Salire è condizione necessaria per vivere. Scendere con eleganza è sufficiente, forse, a ritornare al punto zero.


Al punto zero

4 febbraio 2014

Raining

"It's raining again". E mi ritrovo in testa una consonante, "It's training again", poi una serie di saltelli ed è "It's running tonight"... Un'allegra corsa, anzi, una vera danza della pioggia, nella pioggia ricorrente. Una ricorsione meteorologica di umidità (che non capisco bene neppure io che significato possa avere)...

Però i Cherokee del nord America, al tramonto del sole, danzavano per la pioggia e per la purificazione della loro terra dagli spiriti del male, perché la pioggia, per la loro tribù, conteneva le anime dei valorosi guerrieri caduti in battaglia.

Così ho immaginato che in questi gerundi del raining, del running, del training... si potessero nascondere anche dei valorosi Indiana Jones...  A pensarci bene, ne ho proprio visti un paio che correvano come avessero il sole dentro, illuminati da chissà quale motore primo, o ibrida trasmissione d'energia; da fare invidia al mondo. Li ho inseguiti per un po'.

E poi ho sollevato l'acqua di una pozzanghera, come per entrare in un altro me stesso.


29 gennaio 2014

FCA

Per tutti i diavoli, che "marchione" è mai questo?

Dal Sole24 ore:
" Nel marchio le tre lettere vivono all'interno di una raffigurazione geometrica ispirata alle forme essenziali della progettazione automobilistica: la F, generata dal quadrato simbolo di concretezza e solidità; la C, che nasce dal cerchio, archetipo della ruota e rappresentazione del movimento, dell'armonia e della continuità; e infine la A, derivata dal triangolo, che indica energia e perenne tensione evolutiva.
Il marchio genera un linguaggio agile, moderno, capace di cambiare continuamente senza mai perdere la propria valenza identitaria. "
Fino a ieri FCA mi diceva solo "free carrier", che non significa libera carriera ma "franco vettore", ovvero consegnare la merce sdoganata all'esportazione, una modalità di scambio merci ben definita.

Oggi tutto cambia. FCA può sembrare una contrazione lassativa di qualcos'altro, qualcosa che può partire da una "fava di FuCA". Oppure può sembrare un orientamento anisotropo, come quello che permette di scorrere solo in avanti, senza scivolare indietro, delle fibre della favolosa "pelle di FoCA"...

In enigmistica, l'operazione di eliminazione di una lettera da una parola si chiama propriamente "scarto". FCA può dunque sembrare già in partenza uno scarto. Il marchione, a vedersi, non ha certo l'eleganza dell'acronimo completo di "Fiat Italia Chrysler America".

Certo, FCA sarà la deviazione standard, o scarto tipo, della soddisfazione (alla guida) di un povero italiano rispetto al valore atteso di soddisfazione di un ricco tedesco. Un indice di dispersione che io, deviato, non vorrei fosse la radice quadrata della varianza, ma il quadrato della speranza che è sempre l'ultima a morire.

Nessuna traccia di rimpianto. Viva il DNA (italiano), non la DuNA, però!


26 gennaio 2014

Il profumo

In questi giorni di allenamenti senza mete, di parole travasate da un respiro all'altro, di chiacchiere abbandonate ai tramonti ventosi e altre cose vissute correndo per caso, il naso è sempre stato il filtro magico verso un certo infinito.

Per correre come un cane a sei zampe basta un po' di voglia di stare sulle gambe, ma per svolazzare come un aquilone nelle sfere delle sensazioni è necessario respirare... con i neuroni.

Risalendo una braciola c'è chi raggiunge il paradiso dantesco. Ma io preferisco, solo per un pretesto, ricercare il profumo del vino. Quando corro mi faccio rapire dai cosiddetti "sentori", quelli primari, secondari e terziari...

E allora, come i sentori primari di un vino sono i profumi che dipendono dal tipo d'uva utilizzata e dal terreno in cui si coltiva, così i sentori primari della mia corsa sono profumi che dipendono dalla compagnia e da dove si corre (strada di città, viale di un parco, sentiero di montagna...).

Se i sentori secondari di un vino sono i profumi della vinificazione, trasferiti dalla pigiatura e dalla fermentazione, i sentori secondari della corsa sono i profumi della fatica e del sudore, dei lamenti, degli sbuffi, dei sorrisi e delle smorfie, delle storte e delle strette di mano che una volta nati devono vivere, e così fanno casa nella testa. Poi fanno comunità e sportivamente si sfrattano a vicenda. Il naso c'entra poco solo all'apparenza: di colpo qualcosa può assomigliare ad una pizza margherita o al gorgogliare di un caffè che non s'è bevuto.

E poi ci sono i profumi terziari, dovuti all'invecchiamento. E' ciò che resta dopo la doccia, e dopo un gran pasto ristoratore. All'esame olfattivo, il profumo di una corsa è più o meno intenso, complesso e di qualità. Proprio come un vino.

Poi c'è la poesia. Quella che creano la fantasia ed il bisogno di aromatizzare il nostro tempo. Il resto può essere più o meno vinoso, floreale o fruttato. Perché il resto (del tempo) risente di ciò che nasce dal nulla mentre si corre, e rimane nel tutto inesprimibile dell'inconscio.


Oggi l'allenamento è stato bello speziato, a volte legnoso, a volte tostato. Anche questo, ma non solo, la bellezza di 18 km di sterrato e oltre 600 metri di dislivello positivo.

Con Gabriele, all'attacco del Musinè

19 gennaio 2014

L'ombra

Nel tempo dell'allenamento (che salta per il maltempo) provo ad osservare l'ombra; non quella che con il sole mi può superare, ma quella che senza neppure la luna inchioda le tracce del nostro agire.  Penso a Jung: è lui che ha introdotto nella psicologia analitica il concetto fondamentale di “ombra“. 

L'inconscio contiene ricordi che sono andati perduti, traumi rimossi, percezioni non abbastanza intense da raggiungere la coscienza, contenuti non ancora maturi per la coscienza. L'inconscio corrisponde alla figura, variamente presente nei sogni, dell’ombra. 

Jung intende per ombra "il lato negativo della personalità, la somma di caratteristiche nascoste, sfavorevoli, di funzioni sviluppatesi in maniera incompleta". Aspetti primitivi e disprezzabili, inaccettabili per l’Io; e quanto più essi vengono scacciati dalla coscienza tanto più sarà pericoloso. 

Quanto più l’uomo non accetta di portare con sé il proprio passato, ossia “l’uomo primitivo e inferiore con tutte le sue bramosie e le sue emozioni”, tanto più sarà pericoloso.

Ognuno di noi è seguito da un’ombra, e meno questa è incorporata nella vita conscia dell’individuo, tanto più è nera e densa. Se un’inferiorità è conscia si ha sempre la possibilità di correggerla, ma se è rimossa e isolata dalla coscienza, essa non viene corretta. Anzi, in un momento di disattenzione potrà erompere improvvisamente”.

È questo un concetto fondamentale nella teorizzazione di Jung: non possiamo sfuggire ai nostri errori, al nostro lato oscuro, alla nostra inferiorità. Quanto più evitiamo di rimuovere l’uomo inferiore che abita in noi, tanto più gli impediremo di ribellarsi e di farci del male. Affrontiamolo, non lasciamo che diventi un persecutore.

Riconosciamo l'ombra, diamole voce. Non proiettiamola sugli altri per evitare l’incontro doloroso col nostro alter ego oscuro, il nostro doppio. L’ombra è la notte della coscienza, ma può diventare alba e nutrimento per la coscienza stessa. 


L’"individuazione" inizia proprio “quando si riesce a prendere coscienza dell’ombra”. 

Se riuscissimo ad assimilare la parte oscura che appartiene ad ognuno di noi, potremmo liberare l'energia che essa nasconde, e renderla disponibile all’Io.

Alziamo lo sguardo alle stelle, e scrutiamo l'infinito che si apre dentro noi. 



5 gennaio 2014

Walter Mitty

"Vedere il mondo, cose pericolose da raggiungere, trovarsi l’un l’altro, e sentirsi..." (slogan Life)

"È un Walter Mitty" è un neologismo popolare che si riferisce a chi passa più tempo sognando a occhi aperti piuttosto che a vivere la vita reale.

Il film si ispira a The secret life of Walter Mitty di James Thurber, un classico americano del 1939, una pietra miliare della narrativa a stelle e strisce. Stiller però, basandosi sull'adattamento scritto da Steve Conrad, lo sceneggiatore de La ricerca della felicità, aggiorna il racconto ai tempi moderni, descrivendo un uomo e la sua iperattiva immaginazione che lo porterà alla riscoperta della vita.

"Quello che mi piace di questa storia è che non può essere classificata", dice Stiller a proposito del suo film. "C'è la commedia, c'è il dramma, è una storia di avventura, è reale ed è fantasticamente iper-reale. Ma al centro di tutto questo c'è un personaggio nel quale, io credo, tutti possano ritrovarsi, qualcuno che sembra stia semplicemente passando attraverso la vita moderna e che in realtà ne sta vivendo una completamente diversa nella sua testa. Per me, lui incarna tutte quelle cose che immaginiamo su noi stessi e il mondo, ma che non diciamo mai".
Il Mitty di Stiller è un uomo mite che ha bisogno di trasformare nella sua testa i propri fallimenti quotidiani in qualcosa di molto più sorprendente. Ma nel suo regno privato di fantasticherie è un eroe. Il regista attore spiega: "Steve (lo sceneggiatore) mi ha detto: 'Dentro il petto di ogni uomo americano batte il cuore di un eroe' e volevo che il film avesse quel tipo di rispetto per tutte le cose che le persone normali devono attraversare ed affrontare, sia che si tratti di un ragazzo a cui nessuno presta attenzione o del presidente degli Stati Uniti. Il viaggio di Walter celebra il potenziale dentro ognuno di noi".
Il Mitty di Stiller, come molti di noi, si sente assediato da un mondo sempre più spersonalizzato ed elettronico che sta cambiando rapidamente ogni cosa, così che il suo stile di vita sta diventando obsoleto. È un uomo che è stato dimenticato, proprio come Life, l'ultima rivista di cronaca visiva della cultura americana che è stata trasformata – da apprezzato e riconosciuto strumento di informazione – in un sito web.
Per Mitty tutto cambia proprio in seguito alla sua ricerca dei negativi perduti di un famoso fotografo di Life, Sean O'Connell, un personaggio sfuggente che è diventato una sorta di rock star del mondo della fotografia, noto per il suo impegno incessante nel catturare una storia a qualunque costo. Lo interpreta niente di meno che Sean Penn: è lui l'iconica e la misteriosa figura che trascina Walter Mitty fuori, nel mondo reale.
"I sogni segreti di Walter Mitty" invitano a seguire l'ottica di Life, fermandosi ad osservare, e riempendosi profondamente di quei momenti speciali che sono "la quint'essenza" di una vita.
Ho indovinato il finale, l'ultima copertina di Life, e questo mi ha reso stupidamente orgoglioso.


4 gennaio 2014

Lasciare il segno



Pannello di controllo delle intenzioni

Ci sto provando...

L'ho sentito dire da poco...

Sono l'ombra di qualcun altro?

Sognate le caramelle al pistacchio.

Bradisismo devastante...

Tenendo i piedi per terra.

Una risata vi seppellirà...

Esatto, la realtà virtuale...

Compagni ed ex-colleghi...

Non c'è niente da ridere.




31 dicembre 2013

Buon 2014


Da tempo ho messo la testa a posto, ma non ricordo dove.
(Anonimo)

(mariano)


Fino all'anno scorso avevo un solo difetto: ero presuntuoso.
(Woody Allen)
(dada)


Il tempo che ti piace buttare non è buttato.
(John Lennon)


(dada)


Mi domando se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua.
(Antoine de Saint Exupéry)

(sara)

Mi domando se le stelle sono tatuate anche sull'anima.
(marianorun)


25 dicembre 2013

Natale 2013



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6 dicembre 2013

Invictus

“Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la vita. Io sono padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima”  

William Ernest Henley, dalla poesia Invictus

Nella cella di Robben Island, così piccola che per percorrerla bastavano tre passi, Nelson Mandela leggeva ogni giorno una poesia intitolata "Invictus" di William Ernest Henley. Leggeva la poesia e ne prendeva l'energia, per 26 lunghissimi anni. 

Mandela apparteneva alla famiglia reale dei Thembu, di etnia xhosa, la seconda popolazione di colore dopo i nove milioni di zulu, in una fertile valle del Capo Orientale, un villaggio di candide capanne. 

La sua biografia è proprio da leggere. E' stato il padre, ed ora sarà il simbolo, della lotta contro l'apartheid.

Voglio sostenere anch'io che la sua forza, almeno una parte di essa, sia da attribuire a questa grande poesia, dal titolo latino "Invictus" che significa "invittto", cioè "mai sconfitto".

Fu composta nel 1875 e pubblicata per la prima volta nel 1888 nel Book of Verses ("Libro di Versi") di Henley, dov'era la quarta di una serie di poesie intitolate Life and Death (Echoes) ("Vita e Morte (Echi)").


Per la cronaca, all'età di 12 anni Henley rimase vittima di una grave forma di tubercolosi ossea, il morbo di Pott. Nonostante ciò, riuscì a continuare i suoi studi e a tentare una carriera giornalistica a Londra. Il suo lavoro, però, fu interrotto continuamente dalla malattia, che all'età di 25 anni lo costrinse all'amputazione di una gamba per sopravvivere. Henley non si scoraggiò e continuò a vivere per circa 30 anni con una protesi artificiale, fino all'età di 53 anni. 


Henley era amico di Stevenson, che si ispirò a lui per il personaggio di Long John Silver ne L'isola del tesoro.


La poesia Invictus fu scritta proprio sul letto di un ospedale.



Invictus                                                                                         


TestoTraduzione
Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance

I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears

Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.

It matters not how strait the gate,

How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.
Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all'altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia anima invincibile.

Nella feroce morsa delle circostanze

Non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.

Oltre questo luogo d'ira e lacrime

Incombe il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,

Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.