16 aprile 2012

Vuoto per pieno

« Ci sono giornate che sono filosofie, che ci suggeriscono interpretazioni della vita, che sono appunti a margine, pieni di altra critica, nel libro del nostro destino universale. Questa è una di quelle giornate, lo sento. Ho l'assurda impressione che con i miei occhi pesanti e col mio cervello assente si stiano tracciando, come con un lapis insensato, le lettere del commento profondo e inutile. »

Fernando Pessoa


10 aprile 2012

Mafalda

Non dico arrivare a scoprire la meccanica celeste della burocrazia o della giustizia o del bilancio pubblico, ma almeno arrivare a chiedersi cosa sia il finanziamento dei partiti o il partitismo delle finanze…

Ma ripensare la politica partendo dall’aritmetica non è facile: le divisioni sono operazioni difficili. Meglio le addizionali. E le moltiplicazioni di parlamentari e sottosegretari… Alle sottrazioni ci pensano tutti, leghisti compresi.  

Il risparmio di pensiero pubblico è uno spreco enorme di risorsa umana (e di intelligenza).


6 aprile 2012

La Pasqua

... di risurrezione dell'Art. 18

C’è chi aspetta ancora, alle frontiere distrettuali, i profughi del Lavoro… E’ un viaggio anche quello! Un viaggio verso Italia…

2 aprile 2012

Il Cavallo bianco

E’ morto il «Caballo blanco». Dopo quattro giorni di ricerche lo hanno trovato in un'area remota del Gila National Park, New Mexico, dove era andato per una delle sue lunghe maratone.

Il «Caballo blanco» era Micah True, 60 anni, un ultra-runner. Un gran corridore capace di macinare chilometri in terre selvagge, magnifiche ed aspre.
Qualcosa di imprevedibile ha spezzato la sua maratona: probabilmente un malore, visto che non vi sarebbero segni di trauma.
True era partito in maglietta, calzoncini, scarpe da ginnastica e borraccia. Abbigliamento buono con il sole, ma decisamente leggero per la notte glaciale. E domenica mattina una delle tante squadre di soccorso ha rinvenuto il cadavere nei pressi del Woody's Corral.

L’uomo chiamato cavallo non era certo un tipo comune. Era diventato il «Caballo blanco» dopo un incontro con i Tarahumara, tribù abbarbicata sulla Sierra Madre messicana. Originario del Colorado, appassionato di corsa in terreni «ostili», True aveva conosciuto anni fa gli indios, rimanendone colpito dallo stile di vita spartano: lunghe corse, rinunce e lotte per la sopravvivenza in un territorio poco generoso.

Aveva imparato la lingua pre-azteca dei Tarahumara, si era abituato a nutrirsi di cibo semplice (come il mais tostato mescolato a erbe), aveva accresciuto la sua capacità di resistenza alla fatica. Ed aveva anche fatto propria la cultura del «korima»: se hai bisogno di qualcosa, conta sull’aiuto degli altri. L’acqua da bere, una ciotola con qualcosa da mangiare, un tetto per proteggersi, tutto deve venire dall’offerta - volontaria - di un amico o di chi incontri sul tuo cammino. La storia di Micah, affascinante e sincera come gli indios, non poteva restare un segreto della Sierra Madre. E infatti si era tramutata nel soggetto di un libro di grande successo, «Born to run», scritto nel 2009 da Christopher McDougall.

Il corridore si era trasformato in guida part time per condurre appassionati in escursioni lungo il Copper Canyon e in altre zone remote. Lavoro alternato a gare come l’Ultra Marathon e sfide toste in Colorado.

«Ho visto la bellezza dall’alto, dal basso e attorno a me», era la sintesi perfetta di Micah per le sue avventure. Un'emozione rapita dall'ultimo respiro...  


Le bollette

Al via da oggi i rincari sulle bollette di luce e gas che incideranno sulle tasche dei cittadini con un aumento superiore al 5 per cento, che potrebbe ulteriormente crescere nei prossimi mesi. A partire da questi aumenti è in corso in questi giorni un dibattito tra il Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera e il Ministro dell'Ambiente Corrado Clini sugli incentivi alle rinnovabili.

Il ministro Passera, considerando gli incentivi come i responsabili del caro bollette, ha annunciato i tagli con l'arrivo dei nuovi decreti ministeriali. Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha invece confermato la necessità di mantenere gli incentivi, sottolineando che "fermando le rinnovabili, rischiamo l'autogol e non tagliamo i prezzi; meglio tagliare gli aiuti al nucleare e alle acciaierie”.

Concordo con Clini: "mettere in contrapposizione la riduzione della bolletta energetica e il sostegno alle fonti rinnovabili" è "un errore strategico" perché rischieremmo di uscire dal settore delle rinnovabili mortificando la capacità innovativa del Paese, penalizzando l'industria nazionale, aumentando la disoccupazione: sarebbe come abbandonare la telefonia negli anni Ottanta, prima del boom".

La revisione degli incentivi deve però assicurare anche il futuro del fotovoltaico e degli investimenti nell'energia solare, uno dei settori di punta dell'innovazione tecnologica a livello globale, che dovrebbe portare nel giro di pochi anni ad un aumento dell'efficienza dei moduli dal 10-12% di oggi al 25%.

"Più aumenta la quota di rinnovabili nel nostro portafoglio energetico - ha continuato il Ministro Clini - più diminuisce la necessità di importazione, in particolare di petrolio e di gas naturale. C'è una certa rigidità del sistema italiano: probabilmente la produzione di elettricità dalle nostre centrali è in eccesso ed è vincolata alle forniture che sono forniture di lungo periodo, per cui paradossalmente siamo costretti a tenere alto il livello di importazione, anche se non ne avremmo più bisogno”.

Gli italiani pagano la dipendenza dai combustibili fossili e le troppe centrali termoelettriche a mezzo servizio. In pratica, il costo della maggior parte dei nostri consumi è ancora determinato dal prezzo del petrolio sulla piazza di Londra, un prezzo da lungo tempo impazzito. Le rinnovabili pesano sulla bolletta degli italiani per quote proporzionalmente modestissime.

E' stupefacente che tutta l'attenzione si concentri su quel 10% della bolletta elettrica legato agli incentivi alle rinnovabili, mentre nulla si dice sul restante 90% che riguarda il costo dell'acquisto di petrolio e carbone, i miliardari guadagni delle imprese, i sussidi al nucleare e ad altre voci assurde, oltre alle tasse.

E’ evidente che la regia di questa operazione è nelle mani e nella testa di chi ha interesse a difendere la produzione termoelettrica convenzionale, e a fermare il nuovo che avanza.

Ma questo è lo stile libero italiano…

30 marzo 2012

Le montagne

Questa mattina ho guardato le montagne. Poi la strada da percorrere e di nuovo le nevi, nello smarrimento solare, accecante. Sopra le campagne,  il duende, “el diablillo de la creadividad”, esiste e resiste nelle anime pendolari. Fa cantare senza voce, salire senza fiato. Mi fa angelo, tremendo come ogni angelo di Rilke, per volare nella bellezza, nell’altezza. Tra lo spirito delle terre alte, le semplici pietre, le piante. Gli animali, i montanari, i girasoli.

Le montagne sono là, ne abbiamo bisogno come di Mozart, Van Gogh o Michelangelo. Regno del freddo e della lentezza, del caldo e della velocità. Luci e ombre, armonie di opposti come vorremmo fosse la vita, l’universo. La ruota dello ying e dello yang ne risale le pendenze: il bianco e il nero si abbracciano nel passo. Un puntino nero all’interno del bianco e un puntino bianco nel nero, dall’alto dell’aquila che scruta. L’acqua e il fuoco, sole e luna salutano, inseguono. Perché non c’è piacere senza sofferenza e sofferenza senza piacere, in montagna. A mare…

Perché la prima montagna delle Alpi è a fil di mare (racconta Paolo Rumiz), poco a sud di Fiume. Si chiama Risnjak, “Monte delle Linci”. Lassù cominciano le Alpi, in un posto di nome Vrata, lo stesso termine che i dalmati usano per indicare gli stretti fra le isole e che in slavo significa “porta”. Sul valico come sul ponte di una barca: il vento gonfia le vele… e sotto, il mare.

Dall’altro versante dell’arco alpino, il rossastro massiccio dell’Argentera- Mercantour, primo grande castello di roccia tra le Alpi. Qui si scorge un altro mare, il Ligure-Tirreno. Quasi lo sfiora un’altra altura, che dà inizio alla “corsa” delle Alpi: è lo sperone su cui sorge il Trofeo di Augusto, alla Turbie, a due passi da Ventimiglia, quasi a picco sul principato di Monaco.

La montagna, come la parola, è una zattera nel mare del caos. E’ l’avventura di Barry Lindon, sintetizzata nell’ultimo fermo-immagine di Kubrick: il protagonista sale in carrozza, con le stampelle e una gamba sola, mentre un servo si precipita a sostenerlo. Ha sbagliato, ha sofferto, è mutilato. Ma è ancora vivo. Chi rifiuta le sfide e la natura, le fatiche e i sogni di una vita…  cancellerà il suo paesaggio interiore, le sue montagne. E le sorgenti, le nuvole, i venti, le cime e gli abissi della propria anima…

28 marzo 2012

Le catene

Non so quanti Marx o Engels si aggirino per la Rete. Di sicuro sono moltissimi. Ma lo spazio “infinito” li disperde a meno che non si “leghino” a tronchi di materialismo moderno, e ne salgano la cima con un gran lavoro. 

Innumerevoli menti pronte a smontare e rimontare filosofia, storia, economia… sono affacciati quotidianamente alla meravigliosa finestra di internet. Non hanno nulla da perdere se non le proprie catene? Possono guadagnarsi un mondo nuovo anche loro? 

Marco Belpoliti, su La Stampa di venerdì scorso scrive più o meno così: 
«Non hanno nulla da perdere se non le proprie catene», così Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista. Le catene definivano la classe operaia, il proletariato. Ma oggi le catene ci sono ancora? 

Ho la netta sensazione che ce ne siano sempre meno in giro. Ci sono le catene con lucchetti: cantine, solai, biciclette, motorini; poi le catene da neve. Forse si utilizzano nel bondage e nelle pratiche fetish, per quanto la corda prevalga per ovvie ragioni di comodità. Scomparsi i punk, le catene esibite su abiti e corpi sono sparite. Di certo si utilizzano sempre meno in agricoltura e nell’industria: per trainare cose, avvolgere oggetti, far funzionare macchinari. 

La catena di ferro è probabilmente l’emblema di un mondo oramai tramontato. Non si recano più in catene neppure gli arrestati o i carcerati, e le polizie di tutto il mondo usano manette di plastica, che pesano poco. Secondo un sociologo, la produzione e il consumo di catene sarebbe la misura della post-industrializzazione di ogni paese. 

Le catene sono diventate virtuali, come quelle per compilare le voci di Wikipedia, trasmettere una notizia, realizzare una mobilitazione. «Occupy Wall Street» è una catena di persone. Cosa scriverebbero Marx ed Engels redivivi? Se non ci sono più catene di cui liberarsi, cosa ne sarà della rivoluzione? 

Le catene si sono solo trasformate: ci sono molti e invisibili allacciamenti che ci tengono legati, che ci stringono e persino ci opprimono. Le catene attuali sono leggere e piacevoli, riguardano prima di tutto le nostre abitudini comunicative, il modo in cui ci colleghiamo con il mondo, e con gli altri. Ogni anno se ne fabbricano di nuove: computer, cellulare, Facebook, Smartphone, Twitter… Sono catene di secondo grado: catene di catene; non si distinguono più… 

Ma è importante restare collegati. Chi si scatena rischia di restare solo...

26 marzo 2012

19 marzo 2012

L'Atletica

18/03/2012 - Cross Trofarello
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15 marzo 2012

L'anniversario

È passato un anno dal disastroso terremoto e dallo tsunami che ha colpito il Giappone, ma il triste bilancio di Fukushima è sempre attuale. L’eredità radioattiva e i rischi sono impossibili da prevedere. 

Secondo la Commissione Regolatrice per il Nucleare degli Stati Uniti ci sono al mondo 400 reattori in funzione, e un incidente come quello di Fukushima, che coinvolge la fusione del nocciolo, dovrebbe in teoria verificarsi una volta ogni 250 anni: in realtà ne abbiamo già visti 3 in 32 anni: Three Mile Island nel 1979, Chernobyl nel 1986 e Fukushima nel 2011. 

L’impianto di Fukushima rimane instabile e altamente vulnerabile. La “pulizia” della zona richiederà decine di anni. Oltre ai reattori stessi e alla zona di esclusione di 20 km, l’intera provincia di Fukushima resterà contaminata per generazioni. La quantità di Cesio 137 (che ha un periodo radioattivo di circa 30 anni) liberato durante il disastro è circa 170 volte superiore a quello sprigionato dalla bomba di Hiroshima. 

Fukushima ci ricorda che il nucleare è una tecnologia ad alto rischio. 

In tempi di crisi, l’analisi costi-benefici è perdente su tutta la linea. La costruzione dei due nuovi reattori nucleari in Europa (tecnologia EPR, in Finlandia e Francia) ha raggiunto costi proibitivi, del cento per cento oltre il loro preventivo, con fine lavori sistematicamente rimandata. 

I costi nascosti del nucleare (l’estrazione dell’uranio, lo smaltimento delle scorie, l’assicurazione, lo smantellamento) e la sicurezza, sono enormi. 

Non avrebbe dunque molto più senso investire gli stessi miliardi di euro in tecnologie sostenibili che già esistono e possono essere ancora migliorate? 

Speriamo di non dovere aspettare un ulteriore disastro per convincere il mondo che è tempo di abbandonare questa tecnologia vecchia, costosa e rischiosa. 

Intanto, siamo in molti a pensarla come Nicola Armandi, chimico del CNR (intervistato a Presa Diretta lo scorso lunedì 11 marzo): con le energie rinnovabili ce la si può fare. Basterebbe pannellare una superficie pari alla provincia di Piacenza, circa 2400 kmq, per fornire il 100% del fabbisogno energetico italiano.

E allora, che aspettiamo? Rispecchiamoci, puliti, nell’energia che il sole ci offre e illuminiamo la strada alle future generazioni!





9 marzo 2012

Il marziano

Quando corro un po’ veloce guardo all’insù. L’Ares greco, il dio della guerra romano, Marte, è sicuramente da qualche parte che alimenta le sue battaglie. Conquistare i mercati, i popoli, le coscienze. Piegare alla volontà del più forte. Prendere senza dare al cielo la sua parte, lo spazio e la libertà…

Poi mi fermo e guardo in giù, sulla terra. E penso al marziano precipitato, scacciato dal dio perché in lotta solo con se stesso, atleta e non soldato... greco e americano, Dean Karnazes per l’appunto:    

<< Ieri sera - presso la Sala Buzzati a Milano - incontro ravvicinato con il guru del running mondiale Dean Karnazes, l’atleta americano dalle origini greche, quello delle 50 maratone in 50 giorni nel 2006, che tra un po’ affronterà 205 maratone in un anno, una in ogni paese del mondo; uomo North Face e corridore di professione per il piacere di farlo e non per competere.

Un ”fondamentalista della serenità” si potrebbe definirlo. Dietro quel suo aspetto da duro, palestrato, americanone, si cela un uomo che combatte perennemente con il motto che lo guida: “never stop exploring” come ripete spesso durante le interviste. E lo fa veramente, lo si vede in ogni gesto, in ogni espressione del suo viso, che si trasforma ad ogni battito di ali di farfalla. Attento a tutto, non lascia nulla al caso: alimentazione, stile di vita, lavoro, famiglia. Tutto è un amalgama che sfocia nel risultato finale della ricerca della perfezione.

Non fa mistero del suo stile di vita, che è impegnativo e quasi da “marziano”. Sveglia alle 4 del mattino per 3 ore di “corsetta” mattutina, preparazione della colazione per la famiglia, lavoro, pomeriggio ancora lavoro e corsa più veloce ma breve, poi di nuovo a casa a preparare la cena per la famiglia.

I suoi cavalli di battaglia sono: “mangio salmone 4-5 volte la settimana per gli omega-3, fa bene alle articolazioni”, “dieta a zona 40-30-30 come percentuale di carboidrati-proteine-grassi nell’ordine e “lavoro in piedi”: in ufficio ha i mobili ad altezza d’uomo, perché dice che non siamo fatti per stare seduti.

Non so se abbia ragione o meno, ma quando dal pubblico qualcuno chiede come gestisce gli infortuni, risponde con un'esclamazione tipica americana “knock on wood”  tocchiamo legno (come il nostro tocchiamo ferro) visto che ad oggi non ha avuto a che fare con nessun infortunio!

Forse la sua immagine di duro può fuorviare una poco attenta riflessione ed analisi su di lui, sicuramente forte il messaggio che passa dai suoi libri, potrebbe sembrare esibizionista e televisivo, ma vi assicuro che di persona è l’immagine del bambino che si diverte con il suo mondo, una ricerca del gioco perfetto al di là di ogni pregiudizio e valutazione. Chi si ferma all’apparenza compie un grosso errore: questo piccolo grande uomo è veramente convinto di quello che fa e lo dimostra in ogni suo gesto e parola.

E’ entrato in sala al buio con il sottofondo dei Queen “We will rock you”… che a questo punto andrebbe trasformata in “We will run you”… >>
Tratto da: “La Gazzetta dello Sport.it”, Elio Piccoli
DEAN KARNAZES


8 marzo 2012

I fusilli

In uno studio pubblicato sul "New Journal of Physics", ricercatori italiani dell'università di Padova, guidati da Fabrizio Tamburini (48 anni, astrofisico con stipendio di 1.380 euro al mese), hanno dimostrato la possibilità di trasmettere più canali su una sola frequenza radio grazie ad un particolare tipo di onde che procedono su percorso spiraleggiante che i ricercatori stessi hanno battezzato "a fusillo".

Questo fascio a fusillo, in prospettiva tridimensionale, vede ogni onda attorcigliata generata in modo indipendente, propagata e rilevata nella stessa banda di frequenza, e ogni onda si comporta come canale di comunicazione indipendente.

I ricercatori hanno effettuato una dimostrazione sperimentale, trasmettendo due onde radio attorcigliate, nella banda dei 2,4 GHz, quella che viene utilizzata Wi-Fi, sulla distanza di 442 metri da un faro sull'isola di San Giorgio nella laguna di Venezia verso una parabola situata su un balcone di Palazzo Ducale. La parabola è stata in grado di captare i due canali separati.

La scoperta potrebbe avere un forte impatto sulle telecomunicazioni, moltiplicando i canali a disposizione per ogni singola frequenza radio. Secondo Tamburini, si potrebbero ottenere 55 canali nella stessa banda di frequenza. La tecnologia appare già matura: ma occorrono finanziamenti per sviluppare le applicazioni.

E cosa aspettiamo? Che il mondo senta il ribollir di scienza e si scoli i nostri fusilli elettromagnetici?

San Guglielmo (Marconi), pensaci tu!

5 marzo 2012

L'Atletica

04/03/2012 - Corsa Trana
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2 marzo 2012

L’Album

L’Album è quello dopo “Banana Republic”. La mia adolescenza sfogliava quelle canzoni, le assorbiva una ad una, a memoria Futura (la preferita).

L’Album girava lento come gli anni di sole, terra e vento. La musica si sollevava, giostra di testi, nell’alto dei cieli.


E la sera dei miracoli, al parco della luna, incontravo Meri Luis…



1. Balla balla ballerino (5:50)
2. Il parco della luna (4:58)
3. La sera dei miracoli (5:17)
4. Mambo (5:04)
5. Meri Luis (4:36)
6. Cara (5:39)
7. Siamo dei (4:32)
8. Futura (6:07)


 << bye bye >>

28 febbraio 2012

La barchetta

Chi ha guardato il cielo in questi giorni ha potuto ammirare il nostro satellite sorridere o galleggiare, e sognare ad occhi aperti nello spazio profondo. Magari lasciarsi cullare dai puntini di sospensione di Venere e Giove, poco sotto la luna, luminosi interrogativi del cielo terso e quasi nero… 


Sono uscito a vedere e ho fatto questa foto al volo: 


La direttrice Sole-Luna interseca l’orizzonte a 90 gradi circa. Una posizione sicuramente rara e inusuale alle nostre latitudini, dal momento che vediamo solitamente la falce lunare sempre in posizione verticale, rispettivamente verso destra o verso sinistra a seconda della sua fase. Questo fenomeno invece è molto più comune a latitudini più meridionali, verso la fascia tropicale. 


Venere e Giove continueranno da soli il loro cammino per tutto il mese di marzo, rimanendo ben visibili ogni sera. Ma per rivedere la luna a barchetta dovremo attendere fino al 2023, e anche allora non sarà un sorriso così perfetto come quello di oggi.


L’arco di luce orizzontale è come il ghigno stretto e beffardo dello Stregatto, nel firmamento di Alice nel Paese delle meraviglie...




Chissà che un giorno non incontri una vera gatta, come la mia per esempio:



27 febbraio 2012

L'Atletica

26/02/2012 - Cross Borgaretto

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24 febbraio 2012

Il cuore brucia

Chi corre non ingrassa, neppure mangiando assai. Il vero podista inghiotte circa 50 km settimanali, e questo lo alleggerisce strada facendo delle calorie che imbocca per via del classico apparato digerente. Ci pensa il suo cuore, vero sentimentale ordigno da disinnescare prima di oltrepassare le soglie del tormento dantesco…

In pratica, uno studio italiano dell’Università Politecnica delle Marche, pubblicato sul Journal of Clinical Investigation, dice più o meno così:
Il cuore è una "centrale energetica" al centro del corpo che può far dimagrire. Il muscolo cardiaco, infatti, riesce a bruciare grassi; lo fa per battere e pompare sangue, e nel funzionare produce ormoni.

La ricerca ha scoperto che il cuore, attraverso due particolari peptidi cardiaci - prodotti e secreti sia a livello atriale che ventricolare - stimola la lipolisi e la termogenesi nelle cellule del tessuto adiposo.

È noto che il cuore produca ormoni, ad esempio favorendo l’eliminazione del sale che consumiamo con la dieta, contribuendo a tenere sotto controllo la pressione. Quello che non era noto è che questi ormoni agiscono sul tessuto adiposo facendo bruciare il grasso per produrre calore: il cuore partecipa dunque al metabolismo, ed è una novità importante.

Cosa fare per ottenere questo effetto? La risposta è: aumentare il metabolismo basale.

Il metabolismo basale è il dispendio energetico dell’organismo a riposo, e comprende l'energia necessaria per le funzioni metaboliche vitali (respirazione, circolazione sanguigna, digestione, attività del sistema nervoso, ecc.). Rappresenta circa il 45-75% del dispendio energetico totale nella giornata, ed è influenzato da fattori individuali, stati patologici, assunzione di farmaci, regime alimentare, ed attività sportiva.

Per “tarare” naturalmente il metabolismo basale a livelli più alti si deve, in ultima analisi, fare attività fisica, in particolare nuoto e corsa, o qualsiasi altra attività sportiva.

23 febbraio 2012

I neutrini

E così riprendo a correre, finalmente, dopo la pausa freezer e quella delle fibre di un polpaccio macilento, forse, o solo deboluccio di costituzione…

La ripresa non è cauta: l’istinto, come nervo scoperto, mi fa saltare senza progressione le tappe tra il fango residuo e le tante deiezioni di cani, ostacoli sul suolo pubblico. Ringrazio i padroni privi di palette, perché a loro devo la mia ritrovata velocità.

Certo potrei migliorare di tanto, e sono felice di poterlo pensare abbandonandomi a quelle sequenze di geni campani che inspiegabilmente si attivano. Li aspiro, napoletani, dagli albumi zuccherini che gonfiavano le torte della mamma di Tonino, figlio dell’immigrazione degli anni ’60. Memoria indelebile masticata per anni, gusto e consistenza che ora viaggiano più veloci della luce del tramonto, nei tunnel della corteccia frontale o laterale, o nel baule che trascino appresso. Pensieri immateriali che la metafisica accoglie nella sua mensa per i poveri della filosofia…

Però la Fisica non si tocca, ed è notizia fresca che:
I neutrini non sono più veloci della luce. E’ stato un falso allarme. La velocità della luce rimane una costante della fisica.

Lo scrive il numero in uscita della rivista «Science». L’errore non stava della relatività di Einstein ma in una banale connessione in fibra ottica tra il ricevitore GPS e il computer usato per calcolare il tempo impiegato dai neutrini a viaggiare dal Cern di Ginevra al Laboratorio sotterraneo del Gran Sasso.

Era il 23 settembre dell’anno scorso quando l’équipe dell’esperimento «Opera» diretto da Antonio Ereditato diede l’annuncio bomba. I neutrini prodotti a Ginevra, dopo aver attraversato la crosta terrestre sotto le Alpi e gli Appennini fino al Gran Sasso per 720 chilometri, sembravano guadagnare 60 miliardesimi di secondo rispetto alla velocità della luce.

I fisici di «Opera» furono i primi a stupirsi e decisero di comunicare il loro sconcertante risultato proprio per chiedere ai colleghi americani e giapponesi, che hanno esperimenti simili, di verificare come stessero le cose.

Subito dopo l’équipe di «Opera» si sono messi a controllare meglio il proprio esperimento. I fasci di neutrini erano un po’ troppo lunghi, non si poteva sapere se si catturava un neutrino della testa o uno della coda dei fasci: li hanno accorciati perché la misura fosse più precisa. Poi con i satelliti GPS hanno meticolosamente controllato la distanza Cern-Gran Sasso, riducendo l’incertezza a una ventina di centimetri. Il sospetto era che ci fosse un errore sistematico, perché la differenza di tempo saltava fuori in modo costante su 15 mila neutrini osservati. In effetti era così: l’errore sistematico si annidava in un pezzetto di fibra ottica, dove la luce non viaggia alla velocità della luce ma più lentamente, sia perché non è nel vuoto sia perché dentro la fibra viene continuamente rifratta. Era quel rallentamento a far sembrare i neutrini più veloci.

L’annuncio del 23 settembre ebbe un risvolto divertente. L’allora ministro dell’Istruzione e Ricerca Mariastella Gelmini fu anche lei più veloce della luce nel rivendicare al proprio ministero il merito di un fantomatico tunnel nel quale i neutrini disputerebbero le loro corse travolgenti da Ginevra all’Abruzzo. Non sapevano, il ministro e il suo ufficio stampa, che per i neutrini la materia è perfettamente trasparente perché sono particelle a interazione debolissima. E neppure che non esistono al mondo tunnel così lunghi, il che è geografia, non sofisticata fisica delle particelle.

Qualche riflessione dovranno fare anche gli scienziati. E’ vero, si impara sbagliando. Ma è anche vero che i media oggi hanno i nervi scoperti e ciò modifica il vecchio modo di procedere delle riviste scientifiche, dei controlli tra pari, degli esperimenti indipendenti che si verificano vicendevolmente.

20 febbraio 2012

Il Carnevale

C’è confusione tra la festa qualunque, il paese, e il Carnevale di chiunque. 

Il fruscio di colori qui attorno si mescola nell’aria e si spalma ondeggiando sulle maschere e i costumi, sui capelli porosi e su quel cappello da fata Morgana…

Gli occhi si perdono in antichi mestieri. Le vie e la piazza ricordano la cardatura della lana, la spannocchiatura del mais, la pulizia di lenzuola con acqua calda e cenere, la tipografia. Maschere di generazioni meccaniche travolte da questo fruscio riappaiono. La memoria di quell’Alpino ha riacceso negli occhi il focolare della nonna, una stufa piena di ceppi rossi come gli stop a led della nuova Golf… Una piacevole frenata, il vin brulè o la cioccolata. 

Si vendono i ricordi tra le bocche aperte e quelle chiuse di chi ascolta. Sono frammenti incollati dallo stesso fruscio di fondo che s’insinua dappertutto e isola bene, più vicini, i ricordi ancora caldi. Qualche coriandolo si stampa sulle pareti dei sorrisi e accenna una crepa di gioventù avanzata. Buttata lì dalla mano del figlio o dell’amico che raccoglie le tessere bagnate di ghiaccio (color terra), anche la vita riappare, e scompare; vittima della gravità altalenante della follia (di un equilibrio non proprio da Vasco). 

Si comprano cose dell’altro mondo, tanto per mascherare il tempo da Carnevale. Il carro delle arance è da un’altra parte, ma la battaglia è anche qui a mietere vittime umane, cadute insieme alla loro libertà… 


16 febbraio 2012

La patata

Finalmente il cielo si è trasformato ed ha cambiato le nostre facce. I colori sono usciti a correre sopra le teste, sulla tavolozza ancora ricurva per l’umidità.

L’inverno e la pestilenza di questo gelo si sono placati giusto il tempo di sognare nuovi raccolti più felici. L’immaginazione è ripartita da lì, dai volti sfumati che la giornata mi ha incollato nella retina emotiva e che ora riemergono davanti all’azzurro maculato che sfreccia poco sopra il mio cappellino, e la neve quasi sciolta del parco.

Riconosco i nasi a patata e le fronti a botte. I capelli lucidi e quelli ricci dei super tecnici folgorati da troppa informatica. Le nuvole sono sempre state il mio pongo. Sempre un passo indietro, la mia coscienza. E la scienza due.

Ma questa sera a farla da padrone è l’enorme naso a patata con narici scure, visto dalla pista innevata, in evoluzione plastica verso uno starnuto, forse, all’orizzonte (giallastro e striato di rosso sangue). Forse il naso di un malato, che certo non annusa felice l’aria di primavera…

Ed ecco che m’assale l’articolo di Guido Ceronetti, sulla stampa di sabato scorso, a proposito di patate che hanno cambiato la visione della storia…

“E io ripenso all’Irlanda del 1822 e alla terribile morìa della Patata che ebbe per conseguenza una gigantesca trasformazione dell’antropologia e della storia nordamericana.

In tutto il Nord Europa dei poveri, in quegli anni, la Patata, portata dal Sudamerica dagli spagnoli, era l’alimento principale. Riempiva la pancia, ma non riparava le inevitabili carenze e il suo contenuto di solanina la rendeva, in grandi quantità, tossica. Come in Sudamerica, anche le patate europee erano tuberi mostruosi, grandi come palloni da gioco; gli Irlandesi, quasi tutti poverissimi, le avevano adottate con favore di disperazione. Ma dopo un inverno simile a quello che stiamo sperimentando in Italia, la patata irlandese fu colpita da una misteriosa pestilenza. Una sera il signor O’Connor, contadino dei dintorni di Dublino, tornò a casa sconvolto, e annunciò ai famigliari che nei loro campi di patate da un giorno all’altro tutto il raccolto era perduto… Tutta la famiglia O’Connor e innumerevoli altre furono sterminate dalla denutrizione…

Venti anni dopo, la pandemia ancora imperversa, e dopo un milione di morti per fame e indebolimento cronico il popolo superstite decide di trasferirsi negli Stati Uniti, abbandonando per sempre l’isola di Smeraldo dai campi appestati.

E in America, tutti quei contadini voltano le spalle alle campagne e alle piantagioni, rassegnati al pane americano di mais, e si buttano a trafficare alcolici, si fanno agguerriti quartieri propri nelle città, si arricchiscono con l’industria, puntano alle amministrazioni, diventano la più forte presenza etnica di New York. Di origine irlandese è la stirpe dei Kennedy, cattolici, senza scrupoli, ricchissimi e decisi a portare uno di loro alla Casa Bianca.

Anche il padrone dei grandi macelli di Chicago è un discendente del contadino che tra i primi aveva sofferto della morìa della patata, tra la grande Depressione e il proibizionismo, Patrick O’Connor. E vende whisky agli indiani, come molte altre famiglie irlandesi. Insieme ai familiari parla la lingua celtica e non mangia patate, per rifiuto dell’inglese e orrore della pestilenza.

E così, l’emigrazione patatista del XIX secolo ha cambiato la faccia dell’America…

14 febbraio 2012

Il vento

Lo sento nella trachea se solo ci penso, al vento. Quando pronuncio, la prima vocale si schiaccia e-comprime l'addome nel centro; risacca sopra l’intestino prima di unire al respiro il suono o-stinato dell'ultima vocale, spartito banale.

Rimango sempre un po’ ostaggio delle ultime vocali, mentre leggo. Tagliano l’immagine, si portano via la parola. Una bora, ad est della scrittura, che dall’inconscio scompagina la frase fino all’ultimo rigagnolo d’inchiostro, e poi solleva il foglio e ondeggia con orgoglio. Sul nuovo, capitolo.

E mi chiedo se non valga la pena infilare la tuta e parlarci col vento, partecipare in corsa al suo gelido dipinto. Firmare un giorno speciale, fermarsi un istante, e svoltare.

Su La Stampa di ieri, il narratore Giuseppe Longo scrive più o meno così sulla bora: 
«Io ho con la bora un rapporto difficile, anche se vivo a Trieste da quand'ero piccolo. Dicono che i forestieri alla bora non si abituano mai e prima o poi alcuni devono tornarsene nei luoghi d'origine. Certo anch'io starei meglio lontano dalla bora: comincio a sentirla quando ancora non è arrivata, di solito la sera prima. 

E poi arriva: un tremitare urgente, un'agitazione secca e nervosa dell'aria; da remoti altipiani nasce il soffio della terra, scende dai contrafforti del Carso, ossa calcinose dei continenti, scuote i boschi, schiaffeggia le distese del golfo, forza i camini, le colombaie, i lucernari, fischia sui davanzali: la città muta aspetto, esce limpida e scintillante dalla foschia, affronta la bora a viso aperto, cristallina e sonora. 

La bora ti scava dentro, ti fa impazzire. Nelle notti di bora, l’appartamento dove vivo, esposto a tutte le raffiche come una banderuola, non mi dà nessun affidamento: fors'anche per essere una soffitta e non un vero e proprio appartamento, è il luogo di tutti i gemiti e di tutte le vibrazioni, è una cassa armonica, un amplificatore, una camera d'ascolto: insomma, quando soffia la bora qui è un inferno e vengo colto da un nervosismo e da una sovreccitazione insopportabili; dentro mi si rivolta tutto un fondo limaccioso di dolori e di ricordi. È una vera e propria tortura dell'anima. 

Sono convinto che c'è in questo vento impetuoso e brutale una forza negativa, un'influenza che si manifesta nella mente, oltre che nel corpo. Quasi ogni famiglia di Trieste ha un componente matto o almeno squilibrato o almeno strambo. Basta andare nella zona di via Giulia e osservare i passanti per vedere che guasti può fare alla psiche umana un vento come la bora che insiste da secoli se non da millenni su questa zona, levigando alberi e rocce e picchiando sulla nuca della gente, tanto che molti presentano un occipitale a filo del collo, scarso o addirittura privo di capelli, come per una badilata…»

13 febbraio 2012

La passeggiata

Sono salito a vedere i tetti di questo paese; mascherati da Pulcinella, trainati dai vapori dei camini, ondeggiavano dietro ai respiri. I tetti, dall’alto, possono riassumere dieci o cento vite in un colpo d’occhio di pochi gradi. Sotto zero, poi, non si distingue che qualche molecola di fumo fuggita dalla neve. Brucia il tempo ancora verde, là dove si alza l’albero grigio; e qui, sotto un cappello di lana, nel mio rifugio. 

Anche Gadda osservava i tetti e scriveva, a proposito di Milano, a metà del Novecento, così:
«Il fatto sta che i tetti palesano inclinazioni diverse, ma tutte pessime; poi dislivelli e salti quanto mai leggiadretti; poi fratture e interruzioni e gobbe e foruncoli d’ogni maniera. Vi si aggrappano lucernari e abbaini, vi si ergono birilli rossicci, i camini della miseria. C’è di tutto, sui tetti. Tubi di sfiato, rugginosi come le scarpe della Befana, serbatoi di lamiera o di cemento, torricole che paiono stie per i polli (con qualche piccionaia autentica e assai mèmore e cara), gabbie, antenne, reticoli, fili a vento, piccioni, gatti e ratti.»
Lo stile gaddiano, quando non nitrisce oltre misura, mi è congeniale. Lo sento vivo, con affinità animale…

Con un salto nell’estate, per riscaldarmi due minuti e prima d’immaginare la vita di questa sera, trascrivo una mia vecchia poesia in tema ascensionale, laterale di pensiero come un volo... 

Il bosco dei tetti 

Da qui a fondovalle
l’incastro dei tetti galleggia
in case abitate
come famiglie d’anatre lontane
dai becchi mattone,
da riva.


Salendo oltre vedo formiche su pance di mucche
in mutua simbiosi di corpi
che sfumano
in escrezioni di foglie d’insonnia.

Oltre ancora
il senso è febbrile punteggiatura

di parassita
di macula solitaria
di esploratore.

Il bosco dei tetti è sparito.

Sotto il mio dito
rimane una nuvola
scura, e l’unghia
che la ferisce,
dura…

11 febbraio 2012

La mèta

Quando ritrovo sopra il mento
le parole da strizzare
con dolcezza, quel tanto che basta
per asciugarle da te
tutto si ferma, credo
per un inchino

e un campanello si riprende
quel mistero, e quel destino
che da tempo ci riunisce
metà in basso
metà in alto (una mascella)
ad abitare l’universo
la gravità e
il tempo inverso.

9 febbraio 2012

Il maccarone

Nel  manifesto della Cucina Futurista (Gazzetta del Popolo,  agosto 1930, Torino) si legge che…

"Noi Futuristi crediamo anzitutto necessaria l'abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana...”

"Maccarone... m'hai provocato e io te distruggo, maccarone! Io me te magno!". (Alberto Sordi, Un Americano a Roma)
Il manifesto futurista prosegue più o meno così:
“Forse gioveranno agli inglesi lo stoccafisso, il roast-beef e il budino, agli olandesi la carne cotta col formaggio, ai tedeschi il sauer-kraut, il lardone affumicato e il cotechino; ma agli italiani la pastasciutta non giova; contrasta con lo spirito vivace e l'anima appassionata, generosa, intuitiva dei napoletani; nel mangiarla, essi sviluppano il tipico scetticismo ironico e sentimentale che tronca spesso il loro entusiasmo. A differenza del pane e del riso, infatti, la pastasciutta è un alimento che si ingozza, non si mastica.

Il pranzo perfetto esige un'armonia originale della tavola; cristalleria, vasellame, addobbi, coi sapori e colori delle vivande. Esige una raffinata plasticità…

Il Carneplastico, per esempio, è interpretazione sintetica dei paesaggi italiani. E’ composto da una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita ripiena di undici qualità diverse di verdure cotte. Questo cilindro, disposto verticalmente nel centro del piatto, è coronato da uno spessore di miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia che poggia su tre sfere dorate di carne di pollo. Ringraziamo il pittore futurista Luigi Colombo, in arte Fillìa…

Oppure il complesso plastico Equatore + Polo Nord, composto da un mare equatoriale di tuorli rossi d'uova all'ostrica con pepe, sale e limone. Nel centro emerge un cono di chiaro d'uovo montato e solidificato, pieno di spicchi d'arancio come succose sezioni di sole. La cima del cono è poi tempestata di pezzi di tartufo nero tagliati in forma di aeroplani bruni alla conquista dello zenit. Ringraziamo il pittore furista Enrico Prampolini…" 
A furia di provocazioni, le liti e le guerre...

Il futuro si è manifestato meno creativo, ma più buono, in cucina. Per fortuna, i
l "maccarone" condito riscalda ancora l'anima, la mia e quella della mensa aziendale...


I sogni

I sogni sono sfide impegnative, creazioni ed enigmi da risolvere...
"I sogni sono la letteratura del sonno"...
Buona lettura, Cocteau.



8 febbraio 2012

Il barone rosso



Snoopy immagina d’essere il tenente canadese Roy Brown, il pilota alleato che riuscì ad abbattere Manfred von Richthofen, detto il Barone rosso.

La mia gatta, invece, immagina d’essere Snoopy, e sul davanzale riscaldato della finestra, dietro i vetri, è sempre pronta a lanciarsi sulle mosche bianche, pattuglie nemiche di fiocchi di neve…

7 febbraio 2012

L’inverno scontato

Anche gli animali in letargo, il tasso
e il porcospino più largo della tana dei sogni
dell'inverno sapevano
che a rimandare gli anni di gelo
gli scambi ed i freni, i treni
- di avvisi spargisale e spazzaneve -
si sarebbero offesi nei tagli,
saldati con il sangue rappreso.

La generazione dei coltelli
della finanza e dei poker attesi
dall’ultima mano operaia…
ha fischiato d’allarme.
E il gusto del maltempo
s'è insinuato nella testa intrappolata 

dei giovani, ancor prima
di nascere...


5 febbraio 2012

Cavallo Pazzo

Sotto la finestra ti vedo correre e penso... 

Hoka Hey, giovane sportivo! Cavallo Pazzo dei Lakota che rincorri la prateria sopra questo ghiaccio di piè monte. A nulla serve coprire i tuoi riccetti con quel cappellino da soldato incurvato sulla fronte… Nella trincea si marcano manciate di gradi sotto zero! E sopra il ponte, il legno s’è spezzato in troppi punti per farci transitare pensieri di valore. Non è in gioco la libertà o l’onore. Non è ancora tempo di volare a bassa quota e calpestare le paure più vicine, sempre a un battito dal cuore più lontane...

Hoka Hey, giovane sportivo! E’ comunque un buon giorno per morire… 

Dal racconto della Danza del Sole dei Lakota:
“Un tempo il nostro popolo si trovava accampato in un bel posto, e gli anziani erano seduti in consiglio quando si accorsero che uno dei nostri uomini, Kablaya, aveva legato la sua coperta intorno alla vita e stava danzando tutto solo con le mani sollevate verso i cieli. Gli anziani credettero che fosse impazzito, perciò mandarono qualcuno a scoprire di cosa si trattasse; ma anche costui legò improvvisamente la propria coperta intorno alla vita e prese a danzare con Kablaya. Gli anziani pensarono che ciò fosse molto strano, e così andarono tutti a vedere di cosa si trattasse.
Quindi Kablaya spiegò loro: «Molto tempo fa Wakan Tanka ci disse come pregare con la Sacra Pipa, ma ora ci siamo rilassati troppo nelle nostre preghiere e la nostra gente sta perdendo la propria forza. Ma mi è appena stato mostrato, in visione, un nuovo modo di pregare; in questo modo Wakan Tanka ci ha mandato un aiuto»…
Quindi Kablaya parlò agli uomini, dicendo: «Questa sarà la nostra Danza del Sole, dobbiamo prepararla! Questa danza sarà un'offerta dei nostri corpi e delle nostre anime a Wakan Tanka, e sarà molto wakan (spirituale). Tutti i nostri anziani e i nostri Uomini Sacri dovranno riunirsi; un grande tepee dovrà essere innalzato e si dovrà disporre salvia al suo interno, su tutta la superficie».
«Dovrete avere una buona Pipa, e anche queste cose: tabacco, una pelle di vitello di bisonte conciata, corteccia interna di salice rosso essiccata, pelli di lepre, erba dolce, piume d'aquila, un coltello d'osso, pittura di terra rossa e azzurra, un'ascia di selce, sterco di bisonte, pelle non conciata, un teschio di bisonte, penne della coda dell'aquila, una borsa di pelle grezza e fischietti d'osso dell'Aquila Chiazzata».
«Dopodiché Kablaya chiese a tutti coloro che sapevano cantare di andare da lui quella sera, così che potesse insegnare loro i canti sacri; disse che avrebbero dovuto portare un grosso tamburo di pelle di bisonte grezza, con delle bacchette molto resistenti, ricoperte all'estremità di pelle di bisonte con il pelo verso l'esterno! E suonare, cantare e danzare»




Il carro del sole

Il gelo ha cucinato per me questa sera
il disco del sole, nel fondo a padella del cielo
giallino e rigato sul vetro (col fiato).
Sfuma la neve sul davanzale
e non basta a sfamare che la mia parte inferiore
seduta, stufata d’attesa.
Quanto pesa quest’ora di vita
sul carro a danzare sopra le nuvole
come pazzi cavalli di mare…


4 febbraio 2012

Il sentiero

A volte correndo si oltrepassa la Via. A volte, invece, si calpesta un destino dimenticato. Nel proprio sentiero, è fortunato chi riconosce lo sguardo del cuore: prima o poi trova la casa, e il suo fiore… 


Il Capo indiano a Jonathan, cresciuto come un figlio… 
“Non dimenticare mai le infinite stelle dell’universo, l’erba che cresce dalla terra… La luce della Luna sarà per te lo spirito di tuo padre e il calore del Sole sarà la tua forza…” 
Jonathan chiede al grande Capo indiano: “dove porta questo sentiero?” E lui: “da dove siamo a dove dovremmo essere; nessuno conosce il suo destino fino a quando non vede la Via.” “E qual è la Via, Piccolo Orso?” “La Via?... non c’è nessuna Via; è il nostro cammino a crearla... Nessuno può rubare il Paradiso perché un uomo, anche il più abile fra tutti, può sottrarre agli altri solo quello che può raggiungere. E il Paradiso, Piccolo Orso, è un posto che nessuno può rubare. E’ qui, è dentro il tuo cuore che devi trovare il coraggio di diventare quello che sei destinato ad essere!” 
Dialogo tratto dal film: “Jonathan degli Orsi”, diretto e interpretato da Franco Nero.

1 febbraio 2012

La linea sottile

Scendo, salgo e riparto.
Una linea bianca mi separa sull’asfalto.
E’ questo vivere ghiacciato che si ostina a slittare.
Non ha aderenza, è un ritornare
nelle ruote, senza catene,
all’alba dello stesso piazzale. 

Dove qualcuno ha fatto un pupazzo di neve 
e gli ha messo il sorriso nel naso
io guardo, e mi vedo sorpreso
a sognare
l’inverno caduto ai miei piedi.